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sabato 23 giugno 2012

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Argolis, Τετάρτη, 8 Φεβρουαρίου 2006


…mercoledì 28 novembre 2007


Gennaro di Jacovo


La luce nera


Bark Light



Argos&Rufus editore

Kart Antika



*** Roseti, 8 febbraio 2006



alpha







Marcet sine adversario virtus …

Lucio Anneo Seneca





Nigra lux levior aere ac durior


Louis camminava in una valle dall’erba rada e verdissima, interrotta da ciuffi alti di steli dorati, da siepi di arbusti fronzuti e gremiti di bacche cremisi.

Il cielo era d’un celeste intenso e sereno, senza nuvole.
Basse all’orizzonte ed enormi due grandi stelle rossastre, Rigel e Betelgeuse.

Il pianeta su cui erano sbarcati era Petra, lontanissimo dalla Terra e molto più grande, ma con la stessa intensità gravitazionale.
Akrab si era comportata benissimo.

I suoi meccanismi perfetti non avevano deluso le attese.
Era in grado di prevedere, misurare, valutare e programmare itinerari, obiettivi, mete, percorsi e velocità, evitando ostacoli e insidie d’ogni genere.

Con sé non aveva portato quasi nulla.
Indumenti, vestiti, documenti, libri.
Tutto quello che gli serviva era nel suo Alter, compattato in milioni di impulsi, nel suo elaboratore Yle&Loi, inseparabile.

Al di là di ogni cielo terrestre, al di là d’ogni limite immaginabile, lontano da ogni oltre, da tutto e da nulla c’era Petra, il pianeta smisurato dove lo aveva portato la sua astronave Akrab.

Tornato a bordo, accese Yle&Loi e girovagò a lungo fra i ricordi e i progetti, finchè non ritrovò un racconto autobiografico che anni prima aveva caratterizzato molto la sua vita, determinandone anche un clinamen, una svolta importante se non fatale, come definivano i latini tutto quanto era voluto dagli dèi, da qualcuno o da qualcosa che sovrastava e condizionava le stesse divinità.


Cominciò a leggere …


31 maggio 1971, ore 21

Siamo a Roma, nella stanza L.621 del Policlinico Agostino Gemelli.
E’ una stanza di superficie superiore ai trenta metri quadrati, con cinque posti letto e uno aggiunto.
Ha due ampie finestre che guardano a mezzogiorno da cui si vedono in lontananza le luci della città che si prepara per la notte.
Nell’ampio giardino verde che circonda la clinica ci sarà fra poco, a chiusura del mese mariano, la processione in onore della Madonna.

Il signor Caruso, un militare in pensione dell’Arma dei Carabinieri, con la sua tipica puntualità di soldato è di vedetta alla finestra per dare l’avviso della sfilata della processione.
Il Signor Mori, un personaggio tra lo scultore e l’attore di teatro, oggi è particolarmente affranto e non si muove dal letto.
Il Signor Borri, cameriere all’Excelsior in via Veneto, ricoverato proprio oggi, rimane a letto, ma più per apatia che per altro.

Il signor Quaglia, benché sofferente per malattia della pleura, ha preso posto presso l’altra finestra per godersi lo spettacolo della processione.
Il più piccolo delle comitiva, Salvatore, un simpatico ragazzo di dodici anni, paffuto e dalla capigliatura bruna, è in giro in attesa dello spettacolo televisivo.
Io stesso, Segretario del Comune di Monte Argentario, sono sdraiato sul mio letto, in attesa del primo segnale dell’approssimarsi della processione.

Ma l’attesa non è lunga. Si sente ad un tratto la voce d’un altoparlante e il coro dei processionanti che recitano l’Ave Maria.

Lo spettacolo dalla finestra è fantasmagorico.
Qualche centinaio di fiaccole multicolori, dalle tremolanti fiammelle, fanno scorta alla statua della Madonna che a bordo d’una macchina avanza lenta e maestosa.
Non ho la forza di stare in piedi e mi metto a sedere accanto al Signor Caruso che commenta estasiato e ammira la suggestiva bellezza dello spettacolo.

Poi la processione scompare sul lato orientale dell’edificio e ognuno di noi torna al suo posto.
La Mamma Celeste ha simbolicamente passato in rassegna tutti i malati ospitati nella casa di cura.
Si affronta la notte un un’aria di mistica religiosità.

*

A questo punto corre l’obbligo di chiarire al solitario lettore che è nelle mie intenzioni esporre le esperienze di due mesi di vita ospedaliera, ricche di ammaestramenti e di insegnamenti per rendere testimonianza ed omaggio di un miracolo o, se vogliamo, di una grazia della Madonna, ma per far questo è necessario rifarmi indietro di alcuni mesi.

***

Ai primi del mese di febbraio mia figlia Beatrice, di quattordici anni, studente di quarto Ginnasio, cominciò ad accusare, con una certa insistenza e preoccupazione, vertigini e mal di testa.

Cercammo di darle qualche distrazione.
Si fece qualche passeggiata all’aperto. Si andò da un oculista per sostituire le lenti. Si sentirono più medici e persino un neurologo e uno psichiatra.
Tutto era inutile.
Il malessere non accennava a passare e anche a scuola il rendimento cominciava ad essere scarso e insufficiente.

Quello che più mi straziava era di dover vedere scoraggiata e affranta quella mia bambina già tanto vivace, intelligente e piena di vita.
Chiesi alla Madonna di Pompei una grazia: se era necessario che uno della mia famiglia avesse dovuto offrire le sue sofferenze, quell’uno avrei dovuto essere io.

E la sera del 19 marzo venivo colto da un violento attacco di artrosi dorsale per cui dovetti essere ricoverato nell’Ospedale Civile di Orbetello.


Capitolo I


Nell’Ospedale di Orbetello

Alle tre della mattina del 20 marzo, dopo circa otto ore di indicibili sofferenze, il medico curante, Dottor Enrico Santinelli, dispone per il ricovero d’urgenza nell’Ospedale di Orbetello.

Stringendo i denti riuscii a fare a meno della barella.

Era la prima volta che la famiglia restava senza di me in simili circostanze ed un nodo mi serrava la gola.
Mia figlia Beatrice non si era svegliata.
Mia moglie rimase sul pianerottolo.
Con l’ambulanza della Sezione CRI di Porto Santo Stefano, condotta da Luigino, vennero solo mio figlio Gennarino e i Maresciallo dei VV.UU. Giuseppe Gagliardi.

Il viaggio da Porto S. Stefano di Monte Argentario a Orbetello si compì nella massima regolarità.

Ricordo solo il lampeggiamento azzurro.
Giunto in ospedale mi praticarono una iniezione di non so che cosa e mi assegnarono al letto n.10 della corsia medicina uomini.

Rifiutai la cameretta per paura della solitudine.

D’altra parte i miei forti dolori intorno a tutta la cassa toracica mi costringevano all’immobilità assoluta.
Per muovermi o per alzarmi avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse e mi sorreggesse.

Mi era assolutamente impossibile tenere il tronco eretto, senza appoggiarmi ad un sostegno.

Nella cameretta c’erano quattro letti. Il decimo era il mio. L’undicesimo era di Fulvio__________di Orbetello, camionista, tipo cordiale e aperto, chiamato il Commissario per via di un incarico al tempo della repubblica sociale, il dodicesimo era occupato dal Signor Landi Nello, carabiniere in pensione, il tredicesimo era rimasto vuoto qualche ora prima per la morte del suo occupante.

Riuscii a trovare faticosamente una posizione di respiro, se non di comodo, e riuscii anche ad appisolarmi.

Mi disse più tardi il “Commissario” che quando arrivai avevo una cera da far pietà.
Il contatto con il mondo della sofferenza e della morte era dunque stabilito.

I due nuovi conoscenti, il Commissario e Landi, mi furono subito di grande aiuto e di grande conforto
……
Poi improvvisamente la compagnia si sfasciò.
Il Commissario, fatti gli accertamenti lasciava il reparto medicina e rientrava in famiglia per un breve periodo di recupero onde poi sottoporsi ad intervento chirurgico sul fegato e sulla cistifellea.
Al suo posto venne un veccho Porto Santo Stefanese che aveva uno strano modo di tossire e di indispettire il prossimo.

Per fortuna quasi contemporaneamente si rendeva vuoto il letto n. 5 in un’altra stanza e vi venivo assegnato senza farne richiesta.

Gli altri occupanti erano l’Ing. Niccolini che vi era stato aggregato per mancanza di posti nell’ospedale di Grosseto, dove si era recato per ritirare la macchina offertagli in dono dal padre per non so quale ricorrenza famigliare, e un tipico agricoltore di Maremma, appena quarantenne, Bisti Nello, residente in Albinia in località Barca del Grazi.

Le giornate trascorrevano monotone, noiose, ugali, anche se non mancavano episodi di umorismo.

Ricordo che una sera a furia di ridere mi si squassò a tal punto il torace che poi passò una notte d’inferno a causa di tutti i dolori che mi si erano ridestati.

In una stanza attigua alla nostra c’erano altri tre ricoverati. Uno di essi, Agostino, di circa 78 anni, una sera si sentiva più affranto del solito e non aveva alcuna intenzione di parlare.

La vecchia moglie, che era stata autorizzata ad assisterlo anche durante la notte, credendo che si fosse aggravato e che stesse in fin di vita, fece subito chiamare Padre Cipriano, il Cappellano dell’Ospedale, un santo uomo della rispettabile età di 88 anni.

Questi appena giunto lamentò che lo si chiamasse solo quando non c’era più niente da fare, ma poi senza troppi indugi diede inizio alla estrema unzione.

A finire di complicare le cose la stanzetta dov’era il presunto moribondo era piombata nell’oscurità perché si era fulminata la lampadina elettrica.

Comunque Agostino stette al giuoco, solo che appena ultimata la funzione … mangiò una zuppa di latte e un piatto di mele cotte.

Intanto i giorni passavano e la mia artrosi non accennava a concedermi tregua.

L’ex carabiniere Landi era anch’egli andato via e anche Agostino aveva trovato la via di casa.

Al posto dell’ing. Niccolini era venuto prima un cantoniere della strada provinciale di Monte Argentario per il Convento dei Padri Passionisti, Giuseppe Alcamo, sposato a Orbetello, di origine siciliana ma dai tratti somatici tipicamente normanni, e poi un operaio trattorista di Orbetello.

Strano come si facesse presto a simpatizzare con tutti i nuovi arrivati!
Forse è il dolore più che la gioia che fa sentire gli uomini veramente fratelli!
Ma fra tanti movimenti due soli rimanevamo inchiodati ai nostri posti. Bisti ed io.
Bisti aveva ogni sera una febbre violenta, fino a oltre 40 gradi con intensi brividi di freddo e stato di prostrazione.

Fortuna che passato l’attacco si metteva in giro come se nulla fosse stato. Si parlava di malaria o di febbre maltese.
Io avevo sempre quei dolori intensi alla schiena e sul petto che mi impedivano assolutamente di stare in piedi e per di più avevo una dose piuttosto elevata di azotemia che preoccupava il primario Dott. Caltabiano e i collaboratori Dott. Pappalettere e Dott. Cornacchia.

Arrivammo così alla Domenica delle Palme (4 aprile) e alla Pasqua (11 aprile).

Intanto il tempo sembrava volgere al bello e si scendeva qualche volta in giardino a prendere aria, sole e luce e a coadiuvare padre Cipriano e le suore nei lavori di giardinaggio.

Altri mutamenti si verificarono nella nostra stanza.
Al posto del De Gregori venne un altro S. Stefanese, Pompilio Capezzoli, del rispettabile peso di 120 chili (scemato a 109 come ci tenne a precisare la moglie, una vecchina distinta e a modo) e al posto di un altro paziente era venuto il Sig. Magni Luigi, 71 anni, padre di Giulio dipendente di Monte Argentario.

E venne pure la Domenica in Albis.

Pensai allora di riconciliarni con Dio.

Mi accostai all’altare per la S. Comunione la Domenica successiva 25 aprile.

Mi tenne compagnia un dipendente del Comune, Federico Ricciotti, da poco sistemato come cantoniere fuori ruolo in soprannumero.

Non avrei mai creduto che fosse di sentimenti religiosi e cattolici, ne ebbi veramente piacere perché non poca parte avevo avuto come Segretario per la sistemazione sua e di altri 4 o 5 operai come lui nei ruoli del personale del Comune.

Si spegneva intanto serenamente GiuseppPicchianti, già anch’egli dipendente del Comune, che aveva sposato una Verdili, il cui genitore era arrotino, immigrato a P.S. Stefano da S. Elena Sannita, un paese della mia Provincia di Isernia, nel Molise.

Bisti frattanto scalava il più delle volte il termometro di quei pochi decimi di febbre che ancora aveva quasi tutti i giorni, per farsi dimettere, e mia moglie, anche per suggerimento del Prof. Caltabiano, si stava interessando per cercarmi un altro ricovero in una clinica specializzata per affezioni renali.

Ci salutammo con Bisti il 26 aprile.
Egli, sebbene non guarito, raggiungeva la moglie e i suoi tre figli sul podere che aspettava dopo circa 40 giorni il suo lavoro e la sua direzione.

Il 29 aprile successivo anch’io lasciavo l’ospedale di Orbetello, diretto a Roma. Il Sindaco aveva gentilmente messo a disposizione mio e della mia famiglia la macchina del Comune.
Ci fece da autista il Sig. Alfredo Wongher.

***
Tra le esperienze degne di rilievo vissute nell’ospedale di Orbetello meritano particolare menzione alcune visite ricevute da cittadini di Porto Santo Stefano, tra cui graditissima quella del Sindaco, del Conciliatore, del Vice Segretario Zolesi, del Ragioniere Aldi, del Signor Rossi, di M.A. Busonero, del Signor Ettore Bruni e di tanti altri di cui mi sfugge il nome, la conoscenza del Sig. Orlando Wongher, fratello di Alfredo, simpatica figura di autodidatta, credente e praticante, la conoscenza di un lavoratore del Valle di P.S. Stefano, colpito da infarto, la conoscenza di alcuni caratteristici tipi di Maremma che erano compagni di gioco nelle partite serali alle carte: l’app. dei Carabinieri Sig. Nenci, “Baffo” e il Sig. Fe di Caparbio, Ciccotti di Porto Ercole.

Avevo sempre sentito dire che i Maremmani sono un po’ chiusi e diffidenti e invece li ho trovati tutto cuore.
Se Iddio mi darà salute mi riprometto di andarli a ritrovare un giorno nelle loro case.

E un particolare atto di ringraziamento mi è doveroso inviare a tutto il personale maschile e femminile dell’ospedale comprese le Suore e compreso il buon Padre Cipriano per la preziosa assistenza morale e spirituale.


Cap. II

Nel Policlinico dell’Università di Roma


Siamo alloggiati a Roma, tutta la famiglia, nella pensione Villa alle Terrazze di Via Giovan Battista Morgagni.
La pensione giornaliera è di seimila lire a testa.
Una spesa eccessiva per il nostro portafoglio.
Il mio stipendio è di 200.000 mensili.
La pensione per tutti e 4 di famiglia ne richiederebbe 800.-

Comunque non oso dire nulla a mia moglie.
La prenotazione era stata già fatta da mio cognato Rinaldo. Si vedrà poi con l’aiuto di Dio.
Intanto è necessario sottoporre a visita sia me che mia figlia Beatrice, la quale per le numerose assenze fatte deve ormai rinunziare all’anno scolastico.

La mattina del 30 mi visita il cardiologo Prof. Angelini, amico di Rinaldo.
Non c’è nulla da fare.
La pressione sanguigna è crollata dai 140-150 di Orbetello a poco più di 100.
Ho uno svenimento.
Si impone il ricovero.
E vengo infatti ricoverato nella 1^ clinica medica Malattie Infettive, letto n. 7.
E’ per me un colpo, perché malgrado l’azotemia elevata (0,70) non avevo avvertito disturbi di sorta e i dolori al torace si erano ormai notevolmente attenuati, tanto da permettermi di muovermi con una certa facilità.
A letto dovevo però ancora conservare solo la posizione supina.

Compagni di corsia erano un napoletano Ispettore delle ferrovie in pensione, il Signor Bove Luigi, residente a Roma, il Signor Giambattista Veronese, funzionario dell’Agricoltura della Regione Siciliana residente a Siracusa e 2 ragazzi Gianfranco e Carlo convalescenti di epatite virale.

Il vecchio Ispettore chiamava tutti col numero del letto. Io instaurai subito il sistema nominativo e si fraternizzò presto.

Ma cominciò subito la rotazione: al posto di Carlo venne un altro ragazzo, Pietro Capogna di Torre Gaia, al posto di Gianfranco venne un sacerdote di Ascoli Piceno, Gilberto D’Angelo, che passò poi subito alla chirurgia, al posto di Giambattista venne un Signor Lorenzo Renzi impiegato postale, malato anch’egli di epatite, al posto del sacerdote venne un geometra di Campobasso, Di Nucci, la cui famiglia è oriunda di Capracotta.

Oh come è diventato piccolo questo nostro mondo!

Oltre al Di Nucci di Capracotta avevo conosciuto nel reparto il Medico De Simone di Schiavi d’Abruzzo.
Sono paesi a me familiari, perché visibili dalla mia natia Pietrabbondante, anche se per raggiungerli, essendo paesi di alta montagna, si debbono fare 22 chilometri per Capracotta e 50 per Schiavi!

Dopo una settimana di osservazione, ebbe inizio, sabato 9 maggio il trattamento della mia azotemia ma, fatto strano, invece di un miglioramento avvertii un peggioramento delle mie condizioni generali con crisi di vomito e perdita totale dell’appetito.

Il 15 maggio si dovette smettere ogni terapia senza per altro che il vomito cessasse.

Ricordo di aver detto a qualche mio parente che la settimana più brutta della mia vita è stata quella dal 10 al 17 maggio.

E il 19 maggio in um momento di crisi psicologica approfittando della venuta di mio figlio Gennarino mi feci dimettere dalla Clinica e rientrai a Porto S. Stefano.

Chiedo scusa anche in questa sede al Direttore Prof. Giunchi, al Prof. Avella, al Prof. Maddaluno, al Dott. De Simone e alla Dott.ssa Ciarla e ad altri di cui mi sfugge il nome per aver abbandonato la loro clinica in un momento di choc psicologico e li ringrazio per le cure che sapientemente mi prodigarono.

Ma occorre a questo punto precisare come arrivai alla fuga dalla Clinica.

Nella notte tra lunedì 17 e martedì 18 maggio avevo sofferto più del solito per il vomito ed avevo dovuto passeggiare a lungo nel corridoio del reparto.

C’era nella sala medica una statua della Madonna.

Tra le due e le tre le mie sofferenze erano divenute pressoché insopportabili.

Mi rivolsi allora alla Madonna chiedendole che se era venuta la mia ora ero preparato a ricercare la morte “corta e netta” come diceva il povero mio padre, se invece la mia ora non era ancora venuta < mi sarebbe piaciuto > che allora mi avesse concesso un po’ di respiro e mi avesse alleviato le sofferenze.

Mi parve di udire nel mio inconscio una voce che mi diceva: tu stai bene, tornatene a casa.

E così fu infatti il 19 a mattina quando arrivò mio figlio Gennarino, tra la meraviglia dei compagni di corsia e la costernazione dei miei parenti romani: mio cognato Rinaldo e moglie Irene, mio cognato Franceschino, la moglie Therese e la figlia Maria Pia, mio fratello Gino, moglie e suocera.

Quando arrivai a P.S.Stefano trovai mia moglie sul pianerottolo che mi ricevette sì a braccia aperte ma aveva il volto della disperazione.

Poco dopo venne il Dott. Birardi e, dopo aver esaminato il foglio di uscita dell’Ospedale, data l’azotemia notevole (più dell’1%) sconsigliò assolutamente la cura domestica.

Sentii letteralmente cadermi le braccia, perché ero convinto di aver ricevuto una grazia della Madonna.

Intanto mia figlia Beatrice era rimasta a Roma a casa di mio cognato Francesco.
Le sue condizioni di salute, dopo le visite e l’inizio della cura, sembravano tornate alla normalità, Dio ne sia ringraziato.

*

La permanenza nella clinica universitaria era durata esattamente 20 giorni. Altri fatti degni di menzione, verificatisi in tale periodo, sono la conoscenza di un ebreo canadese ricoverato per epatite virale, la comunione presa a letto Domenica 2 maggio, la partecipazione alla recitazione del SS. Rosario la sera di Martedì, quando rimasi profondamente colpito dalla potenza martellante dell’ora pro nobis della litania in onore della Madonna.


Cap. 3°

Il ritorno a casa. L’estasi


E’ questo il capitolo più interessante e più importante di tutto il mio racconto.

Cercherò perciò di essere minuzioso e preciso anche nei minimi particolari trascrivendo integralmente la parte dell’estasi registrata da mio figlio Gennarino.

Come ho già detto innanzi rientrai a casa nel pomeriggio di Mercoledì 19 maggio tra le ore 16 e le ore 17 con la macchina del Signor Franco, il portiere di uno stabile amministrato da Rinaldo.

Mi salutò all’arrivo solo il Signor Amato, il negoziante di calzature.

Riuscii a salire da solo le scale di casa.
Non so dove trovavo tanta forza.
Ma appena arrivato dovetti mettermi a letto e … il vomito non tardò a fare la sua comparsa.

Venne subito a farmi visita la Sig.ra Maria Gregori con la figlia Anna, il fidanzato Mario e poi anche il marito Stefano.
Non esitai a parlar loro di miracolo ricevuto dalla Madonna anche se i Medici non erano dello stesso avviso.
Secondo me era già iniziata la guarigione psicologica.
Quella clinica avrebbe seguito subito.

Si stava bene nel letto di casa.
Dalla ampia finestra vedevo rondini e gabbiani.
Il mare mi ubriacava con la sua luminosità intensa.
Mi incantavo a osservare i traghetti del Giglio, qualche motoscafo che faceva le prime prove in vista della buona stagione, qualche barchetta di vecchi pescatori, qualche vela di appassionati.

Era un’atmosfera serena e distesa e riuscii anche a ingerire qualche boccone, il che a Roma, nel Policlinico, non mi riusciva più di fare da una decina di giorni.

Ai 40 giorni di dieta verde dell’Ospedale di Orbetello ne avevo aggiunto una decina di digiuno assoluto nel Policlinico, per via di quell’incoercibile vomito che durava dalla notte tra il 10 e l’11 maggio.

La mattina del 20 maggio mi alzai di buon’ora. verso le 6, e presi un bel bagno ristoratore.
Poi mi misi a lavorare con Gennarino per riparare la molla della macchina da scrivere.
Fu un lavoro di pazienza che durò diverse ore, ma che alla fine portai felicemente a termine.

Durante l’esecuzione del lavoro volli ascoltare ripetutamente la canzone dei Beatles “Let it be” e ne rimasi affascinato per il significato delle parole che riuscii in gran parte a trascrivere.
E’ un inno religioso di rara potenza!
Mi meravigliai che non lo avessero fatto cantare nelle Chiese in onore della Madonna!

Eseguita la riparazione della macchina preparai la domanda di aspettativa.
Mio figlio mi ci fece togliere l’accenno alla guarigione miracolosa dicendomi che mal si addiceva ad una richiesta strettamente burocratica.
A sera, per la prima volta in due mesi, potei godermi sia pure dal letto lo spettacolo televisivo di Mike Bongiorno “Rischiatutto” col campione Fabbricatore.
L’indomani, Venerdi, mi sentii però abbattuto e affranto e riuscii solo a scrivere una lettera a “La Nazione” di Firenze

Anche da questa lettera mio figlio volle che togliessi l’accenno alla grazia ricevuta dalla Madonna.

La notte del venerdì parlai a lungo con mio figlio Gennarino.
Ricordi del passato, occasioni perdute, incertezza dell’avvenire. Lagrime di gioia e di commozione per quello che si era fatto e per quello che non si era ancora fatto.

Mio figlio mi fu di grande aiuto perché il vomito mi tormentava con maggiore frequenza anche durante la notte.
Ma riuscii alla fine anche a farmi qualche ora di sonno ristoratore.

Ed eccoci alla mattina di Sabato 22 maggio.

Mia moglie e mio figlio uscirono per le spese.

Rimasi solo in casa: mi feci mettere ancora una volta il disco “Let it be”.

Quando mio figlio rientrò, mi aiutò con la chitarra a meglio individuare lo schema elementare della musica della canzone.

Sentii commuovermi fino all’inverosimile per la bellezza della musica e la semplicità delle parole.

Ebbe inizio l’estasi che trascrivo qui di seguito come risulta dal nastro del registratore.



**



Antonino: “… Ma che cosa sono stati i Beatles? Anche di loro si è servito Dio per parlarci. E noi non li capivamo. Io non li avevo sentiti. Li ho sentiti adesso per la prima volta.

E quando la notte è buia, c’è una stella lì per me, brilla fino all’alba.
Si! E’ così …”
Gennaro:”Papà!”


Antonino: “No, no, no Gennaro, non sai che gioia! E’ un’estasi, papà … dice dolcemente … sia così … sia così … si, è così!

***

Salve, Regina, mater misericordiae, vita, dulcedo et spes nostra, salve, ad te clamamus esules filii Evae, ad te suspiramus gementes et flentes in hac lacrimarum valle.
Eia, ergo, advocata nostra, illos tuos misericordes oculos ad nos converte et Jesum benedictum fructum ventris tui nobis ostende.
O clemens, o pia, o dulcis virgo Maria” …

Oh, Madonna, Ti ringrazio, sono l’indegno ed unico Tuo Servo.
Perdonami.
Io accetto tutto quello che Tu vuoi.


***


Ma non vedete che è cambiato lì? … E’ buio in terra e luce in cielo! … Che c’è? … Il mare che mi accecava adesso è cielo …


Madonna … Madonna … qui vuoi il tempio …
Oh … quanta luce …


Roma era il tempio della cristianità, ma è diventato troppo rumoroso.
Tu vuoi la tranquillità.
Vuoi le bellezze della Natura.


***


*** Estratto dal dialogo trascritto nel maggio del 1986 e contenuto nel nastro da me inciso su registratore a bobine Geloso per volontà di mio Padre Antonino il 22 maggio del 1971.

Copia della bobina, con il testo integralmente scritto, è stata da me spedita nello stesso anno 1986 in Vaticano al Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, Karol Woitila. Il Cardinale Leonardo Sandri mi rispose affermando che il plico era regolarmente giunto al Papa. La lettera conteneva un saluto benedicente per me ed i miei, come nel 1984 e in seguito nel 2003 e nel 2004.






Il Dott. Santinelli, senza troppi preamboli, dispose il ricovero in clinica.

Mi portarono giù in barella i vigili urbani Carlo Wongher e Sergio Costanzo.


Con l’Ambulanza della CRI. fui trasportato a Roma nella Clinica Agostino Gemelli dove venni ricoverato in condizioni di estrema prostrazione col cartello “non far alzare”.-



Capitolo IV

Nel Policlinico Agostino Gemelli

Ho già descritta in principio la corsia in cui venni ricoverato e non mi ripeto. Aggiungo soltanto che mi prese in cura la Dottoressa Suor Cesarina.

Una figura apparentemente trasandata nel camice bianco, ma distinta, impeccabile, maestosa nell’abito nero del suo ordine, con un piccolo crocifisso nero infilato nella cintura di cuoio.
Nei primi giorni mi trovai in tale stato di spossatezza da non avere la forza di arrivare fino alle finestre a godermi lo splendido panorama di boschetti e di prati verdi che circondano la clinica, con sullo sfondo i nuovi quartieri di Monte Mario e, in lontananza, la cupola di S. Pietro “nuovo Olimpo innalzato in Roma ai Celesti”.

Ma quanta pace, quanta tranquillità, quanto amore entro le mura della clinica.
Ho detto di Suor Cesarina, la Dottoressa, ma come si fa a non menzionare Suor Olga e suor Paola, e come si fa a non parlare di quegli autentici angeli senza sesso che sono le infermierine affluite da ogni parte d’Italia?

E che dire poi del Direttore Prof. Rossi e dei suoi collaboratori Dott. Bombardieri, Dott. Schivino di Foggia, simpatico barbuto, della Dott.ssa De Rosa, anche lei di Foggia, e di altri di cui non ho conosciuto il nome e a cui chiedo perciò venia per la mancata citazione.

Ma l’estasi di sabato 22 maggio ha poi avuto due conferme: una nella notte tra il 25 e il 26 in cui durante il sonno profondo mi parve di sentire una voce che mi diceva che sarebbe stata disposta a triplicare il prodigio, l’altra nella notte tra il 27 e il 28 maggio, quando all’alba improvvisamente mi svegliai e mi parve di udire la solita voce che mi diceva che era tempo di agire e non di dormire.
Mi sembrò che la Madonna di Pompei volesse che a chiusura delle manifestazioni del mese mariano la Piazza della Basilica di Pompei risuonasse della canzone dei Beatles.

Purtroppo non riuscii a far altro che a far telefonare a Pompei da mio figlio, ma non ho saputo cosa è stato fatto.


In definitiva la Madonna mi ha chiesto che si costruisca una Chiesa in Suo onore a Porto S. Stefano e che in suo onore si canti, in tutte le Chiese, la canzone dei Beatles “Let it be”.-





Conclusione



Lo scopo di questa mia narrazione, come ho già avuto modo di dire in precedenza, voleva essere quello di testimoniare che la Fede può smuovere veramente le montagne e che lo Spirito di Dio pervade effettivamente il Mondo.



Mi auguro di esserci riuscito e di aver così contribuito, nei limiti delle mie possibilità e delle mie forze, al rinsaldamento del sentimento di religione in qualche cuore titubante e di aver reso imperituro omaggio alla nostra Mamma Celeste, che ci dovrà un giorno dischiudere le vie della pace e della serenità eterna, mostrandoci il frutto benedetto del suo seno, Gesù.



A chi si benignerà di leggere queste mie scarne pagine aggiungo solo un suggerimento: in tutte le vicende della vita abbiamo la certezza che la Madonna è sempre tra noi.




A tutte le donne



con l’auspicio che sappiano ritrovare
nella Madonna
la difesa
della loro alta dignità umana
e che diffondendo il culto della Madonna
tra i loro figli
possano validamente contribuire
a costruire un mondo migliore.





***
Finì di leggere.
Per diverso tempo aveva conservato con sé il manoscritto che Antonino, il padre, aveva scritto nel policlinico Agostino Gemelli, a Roma, quando era ricoverato per una grave affezione ai reni, come risultava dalle analisi.
Non si era più rimesso dai giorni intorno al 19 marzo ed era passato dal San Giovanni di Dio di Orbetello alla clinica universitaria Umberto II.
Quindi era passato al Gemelli e lì era morto il 9 luglio 1971.
Quasi a metà di questo itinerario doloroso aveva voluto ritornare a casa, e qui aveva passato qualche giorno per non farvi poi ritorno e riposare nella natìa Pietrabbondante.
Era nel cassetto della scrivania dove studiava, dove preparava le lezioni e correggeva i compiti, alla sua sinistra.
Era un piccolo blocco per appunti a quadretti con le pagine scritte in una grafia nitida, assai familiare a Louis e con qualche poesia in fondo insieme ad alcuni disegni e dediche.
Quando prendeva il quadernetto, negli anni settanta, veniva colto da una grande emozione, quasi da sentirsi incapace di leggere serenamente.
Man mano che passavano gli anni, fu in grado di padroneggiare l’emozione, trasferì la registrazione dell’estasi sel 22 maggio dal nastro Geloso ad una cassetta, facendosi aiutare da un tecnico di Orbetello.

Già precedentemente aveva sistemato le lettere che Antonino gli aveva scritto quando Louis aveva dovuto assentarsi da casa per otto anni e studiare in un collegio.
In questa occasione aveva rivissuto tanti anni in pochi giorni. Addii, ritorni, saluti, nostalgie e speranze.

Quando ormai il suo lavoro sembrava avviato, insegnava da una decina di anni, e lo studio, la preparazione delle lezioni per gli alunni si faceva ormai di tipo quasi automatico, dovendo ripetere ogni anno gli stessi argomenti, la mente, una sera, in tempo di Natale, gli tornò al quaderno di Antonino.

Aprì il cassetto della scrivania di legno marrone, simile a quella degli uffici, simile ad una cattedra scolastica, ma più elegante e familiare, e cominciò a rimestare fra i vecchi, cari oggetti che ogni tanto sistemava.

Una penna antica, una Waterman, carte e cartoline ancora da scrivere, ormai vecchie, biglietti di auguri.
In fondo, insieme ad alcuni autografi importanti, ereditati dalla famiglia, di Gabriele D’Annunzio e Benedetto Croce, e ad altri dedicati a lui, di gente che gli aveva scritto in risposta a varie lettere, c’era il blocco notes in una copertina con Dante Alighieri stampato in vernice dorata in basso a destra.

La lettura era sempre piena di emozione, ma sarebbe arrivato il giorno in cui lui avrebbe letto senza che il cuore sussultasse, distraendo la mente, che oscillava e vagava come una nuvola chiara nell’oscurità del cielo ventoso della notte, a quella lettura.

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gennarino.diiacovo@istruzione.it

gennarino.diiacovo@istruzione.it

g_diiacovo@virgilio,it




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Al Dirigente scolastico,
al consiglio di Istituto
ed al
Collegio dei Docenti
ITC Vittorio Fossombroni - Grosseto


Al Capo del Personale Ministero Pubblica Istruzione
Onorevole Professore Giuseppe Fioroni - Roma

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RELAZIONE SULL’ATTIVITA’ DELLA
BIBLIOTECA SCOLASTICA
ITC VITTORIO FOSSOMBRONI GROSSETO


I prestiti, gli interventi di ricerca informatica e le consultazioni sono state quest’anno nel numero di seicentosessantuno prestiti cartacei e consultazioni informatiche registrate a cura degli Utenti.

Nella Biblioteca vengono raccolte le Gazzette Ufficiali degli ultimi anni, dietro richiesta della segreteria e della presidenza.

Viene anche conservata temporaneamente (un anno scolastico) copia del Sole 24 ore.

Non sono stati acquistati che pochi libri, da quando sono in servizio, dal 2001, e per questo ogni anno mi sono preoccupato di sollecitare nelle relazioni annuali, a questo proposito, l’intervento del Collegio dei Docenti, del Dirigente e di altre autorità scolastiche.

Proposi anche nel 2003, il 16 ottobre C1/ 2446, con regolare richiesta alla Scuola e regolare progetto per Figura Obiettivo, dopo averne parlato in Provveditorato, di occuparmi della biblioteca come Docente referente, ma non mi fu data questa opportunità, che ritenevo utile e che avrei svolto anche senza aggravio di spesa per l’Istituto, come scrissi nella stessa richiesta\progetto.

Sono stati introdotti volumi di economia divulgativa, di informatica di Storia, ad uso della Scuola, e di storia locale, a cura della Amministrazione Provinciale .

E’ sempre stato necessario ed opportuno informare docenti, Alunni e personale tutto sulle semplici e dire universali regole di consultazione e prestito, dedotte dall’uso d’ogni biblioteca, da me redatte nelle relazioni degli anni precedenti quali proposta ai docenti ed al personale direttive e fissate nei punti essenziali dalla Scuola nella circolare n. 20 del 13 ottobre 2006.

***
Quanto alla sistemazione del locale della biblioteca, pare sempre più opportuno consolidare le strutture di ricambio d’aria, sostituire le fatiscenti persiane e le fragili finestre, ampliare la superficie radiante dei termosifoni, assolutamente insufficienti a riscaldare l’ambiente nei mesi invernali, da Gennaio ad Aprile, fornire il locale di telefono o citofono, arredare meglio il locale, fornito di sette sedie piccole e di due tavoli rimediati dai locali laboratorio ed isolare il locale stesso dai vani adibiti a servizi^ igienici contigui, che comunicano nella parte alta .
*
E’ necessario altresì controllare spesso la centralina antincendio e i
due estintori a getto in dotazione alla sala.

* Avevo proposto anni fa di climatizzare con sistemi ergonomici il vasto ambiente, come è stato effettivamente realizzato per i locali della segreteria\presidenza, ma la proposta non ha avuto ancora seguito per la biblioteca ed i laboratori Cisco, adiacenti.

Delle due scrivanie, assai utili, che si trovavano nel locale, resta una sola, usata da me
***
So bene che queste mie sono delle proposte operative, e del resto nel ribadirle voglio dire che non ho mai avuto l’intenzione, nel consigliare miglioramenti, in alcuna sede privata e pubblica, di avvantaggiarni di persona, ma solo di rendere più efficiente il servizio a vantaggio della comunità.

Quanto al resto, porgo cordiali saluti a tutti.

**
*
Grosseto, giugno 2007


Gennaro di Jacovo

ITC Vittorio Fossombroni GR







Prof. Gennarino di Jacovo - ITC Vittorio Fossombroni
Funzione Biblioteca Via Sicilia 45 - 58100 Grosseto GR

Al Presidente della Repubblica Italiana –
Quirinale – Roma
& Fondazione Mezzogiorno Europa – Napoli
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Al Ministro Istruzione Pubblica –
Viale Trastevere – Roma
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Al Provveditore agli Studi
via Damiano Chiesa 51 58100 Grosseto

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Al dirigente scolastico
ITC V. Fossombroni
Via Sicilia 45 -
58100 Grosseto GR


Oggetto: formazione e aggiornamento prof. DI IACOVO Gennarino in servizio presso l’ITC Vittorio Fossombroni di Grosseto quale bibliotecario con 36 ore si servizio settimanali e nessuna possibilità di svolgere lavoro straordinario, come spiegato in un’ampia relazione del luglio e dell’agosto scorsi spedita a Dirigente, Direttore SGA e Provveditore, al fine di indurre una maggiore organizzazione e considerazione dell’attività di biblioteca.

Riferimenti:

lettera al Direttore CSA del 27 ottobre 2003 n.prot.11715.
Richiesta al preside Agrario GR del 19.9.2000.

Alle lettere sono stati allegati tutti gli attestati
relativi, spediti anche al Professionale di Orbetello,
all’Agrario Leopoldo II ed al Commerciale di Grosseto.

A proposito della personale formazione e aggiornamento,

… alle 38 ore di:

a. educare alla sessualità, novembre \ dicembre 1996, Grosseto, 4 ore;
b. tossicodipendenze,: problemi e soluzioni, Isola del Giglio, 26, 27, 28 aprile 1996, 10 ore;
c. prevenzione dell’Aids – per docenti referenti, Siena, 29\30 novembre 1996, 16 ore;
d. aggiornamento per docenti referenti \Provv.to agli Studi di Grosseto, 26 marzo 1996, 8 ore dallo scrivente svolte in Corsi di Formazione e Aggiornamento, documentate con gli attestati rilasciati dagli Enti Organizzatori (fra cui la USL di Siena e il Ministero P.I.) e consegnati ai Presidi dell’a.s. 1994\95 e
1995\96 presso il Liceo Dante Alighieri di Orbetello, insieme alle altre 137 ore svolte e allo stesso Preside dichiarate per l’attività finalizzata
alla stesura della Charta o Karta dei diritti e dei doveri nella scuola,
per la cui parziale (110 su 137) attribuzione al sottoscritto si fa
riferimento alle richieste presentate a suo tempo (1996) dall’autore della presente al Liceo Dante Alighieri in Orbetello, GR, come per esempio la lettera prot. 2247FP del 6 settembre 1996 indirizzata al Preside del Liceo Classico Dante Alighieri ed al Collegio dei Docenti, sono state aggiunte (lettera dell’autore della presente al Preside della precedente Scuola di titolarità, l’Istituto Prof.le Raffaele del Rosso di Orbetello del 25 aprile 2000):
a) 3 (tre) ore relative a :Incontro sul Volontariato, a c. Prof.
Maddalena Pinto, in Grosseto, l’11 gennaio 1996, nella Scuola Elementare in via Einaudi, 2 ore, e a c: prof. Ada Corsini nella Scuola Media Madonna delle Grazie sempre in Grosseto il 30 maggio 1996, 1 ora. In occasione di questi incontri non mi sono stati rilasciati attestati scritti.
Al primo erano presente anche l’allora Preside del Liceo Dante Alighieri di Orbetello.

b) le 61 ore di formazione e aggiornamento svolte nell’anno
s. 98\99 per la
1. Formazione all’uso del computer (progetto PIA, 8 ore, 25 nov 97\24 feb
98) presso l’Istituto Prof. per i servizi commerciali e turistici Raffaele del Rosso \ Orbetello (GR);
2. Autonomia scolastica e Autonomie locali, a Firenze (8 ore, 3 dic 97);
3. Aggiornamento “Building Europe Together”\Fondazione Piaggio e Commissione Europea (8 ore, 12\13 feb 1998), a cura del Distretto Scolastico 37 in Orbetello (GR);
4. Disagio minorile e istituzioni del territorio, Direzione Didattica statale IV Circolo G. Marconi, Grosseto, 23 aprile 1998, n. 3 ore;
5. Informatica di base - Uso di Windows 95 e applicazioni didattiche, presso la Scuola Media Giuseppe Ungaretti in Grosseto, dal 23 febbraio al
25 maggio 1999, per n. 16 ore.
§
c) Le 18.30 (diciotto ore e trenta minuti) ore di formazione e
aggiornamento svolte nell’anno s. 99\2000 per la:
1. Didattica legata ai nuovi programmi di Storia (16 ore), 6 e 7 marzo 2000;
2. Borsa Valori, 2.30 ore, 21\24 e 25 febbraio 2000 (tre ore9).

§
A queste 118 (centodiciotto)) di aggiornamento e formazione svolte,
documentate strada facendo alla ex1\scuola di titolarità, l ’ I.P.S.S.C.T. Raffaele del Rosso di Orbetello, con Liceo Dante Alighieri aggregato, si aggiungano, come da attestati che si allegano alla presente spedita alla mia attuale Scuola di titolarità, l’I.T. Agrario Leopoldo II di Lorena in Grosseto, le seguenti altre 98 (NOVANTOTTO) ore, svolte a Grosseto dallo scrivente:

Corsi documentati con lettera del 19.9.2000 al preside Agrario GR:
n. 98 ore, a.s. 1999\2000:
1. 4 ore di aggiornamento sulla definizione del profilo del coordinatore
di classe, presso l ’ I.P.S.CT Luigi Einaudi di Grosseto.
2. 24 ore presso lo stesso Istituto per l’acquisizione, come sembra avvenuta, delle Competenze necessarie a condurre un gruppo di lavoro’;
3. 72 ore relative al Corso di Inglese con esame il 2 maggio 2000 (voto
90\100) a cura del Trinity College of London per l’Associazione Culturale Antonio Rosmini di Grosseto;

§§
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Secondo l’art. 4 comma 2 del D.P. 10801 del 27.05.98 (vistato dalla
ragioneria Provinciale il 13.08.98, cron.n. 1248) allo scrivente è stato assegnato per la progressione economica un monte ore di 86 (ottantasei) ore globali da svolgere, come sono state svolte, entro il 02 febbraio 2002.
L’Istituto Professionale R. del Rosso ha inteso colmare questo spazio nel luglio del 2003 con ore dedicate alla stesura della Carta dei diritti e dei doveri nella Scuola, mettendo in pagamento a favore dello scrivente 24 ore su 110 riconosciute, contro le 137 computate dallo stesso, come chiarito e ribadito nel seguente paragrafo.

Alla data odierna, anno scolastico 2003\4, lo scrivente ha effettuato n.216 (duecentosedici) ore, senza contare i tempi di trasferimento e le 137 ore * dedicate nell’a.s.1995\96 alla stesura della Carta dei diritti e dei doveri nella Scuola per conto del Liceo Classico Dante Alighieri, istituto in cui lo scrivente era ordinario di Latino e Greco, e che ora risulta unito all’Istituto Professionale Raffaele del Rosso. Tale scuola nel luglio del 2003, dopo sette anni, ha riconosciuto economicamente i diritti su 110 ore, giuridicamente riconosciute dal Liceo Dante Alighieri in Orbetello, GR, il … 4 novembre 2000, precisamente … il 2 luglio 2003 prot. 3154\C1, provvedendo al pagamento di 24 ore e riferendosi al DP n. 10801 del 27.05.1998, vistato dalla RPS il 13.08.98, dove si prevede per il docente il passaggio alla successiva posizione economica previa frequenza di n. 86 ore di attività formativa.
Nessun riscontro tuttavia è ancora pervenuto allo scrivente della
attuazione di simile ‘passaggio alla successiva posizione economica’, nemmeno dalle scuole successive in cui ha prestato servizio, Il Leopoldo II. ITA Agrario, il Professionale Einaudi ed il Commerciale V.Fossombroni, queste tre ultime di Grosseto.

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Tutta la situazione di cui si parla è stata dal consueto scrivente
ripetutamente illustrata nel corso degli anni, dal marzo\ottobre1996,
quando ultimò la stesura della Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola per il Liceo Dante Alighieri di Orbetello, ove allora insegnava dopo avervi svolto anche per due volte mansioni di preside, e negli ultimi mesi ai provveditori agli studi, nonché ai vari presidi e dirigenti del Liceo Orbetello, Agrario, Professionale e Commerciale Gosseto con il risultato di vedermi riconosciute finora solo 110 ore su almeno 137 documentate , come si spiega sopra, per la Carta dei Diritti del Liceo Dante di Orbetello, Scuola da cui fu persuaso a separarsi nel 1996\97 da un atteggiamento fieramente ostile non del contesto, ma di una organizzata
minoranza di genitori di varia estrazione culturale, religiosa e politica, fino ad accettare, obtorto collo, l’attuale mansione di bibliotecario all’ITC Vittorio Fossombroni di Grosseto, ove è stato accettato prima come docente, poi come insegnante esonerato dalla docenza (con quattro abilitazioni all’insegnamento) dopo un colloquio con la commissione preposta alla assegnazione delle compatibilità attitudinali.
**
Ha anche svolto, come precedentemente scritto nel CD spedito alla
Presidenza del Consiglio dei sia del passato che del presente Governo, mansioni amministrative negli uffici di segreteria e nella Biblioteca dell’ITC Vittorio Fossombroni di Grosseto.

In questa sede organizzava anche i viaggi e gli stages degli Alunni del Fossombroni.
Ha raccolto il mio lavoro, piuttosto complesso, in un CD consegnato alla Scuola ove presta servizio.
Attualmente nella biblioteca ove opera, è ospitata la Gazzetta Ufficiale, naturalmente con ogni onore.
Tutto questo è meglio espresso nella Relazione sulla Biblioteca presentata nel luglio\agosto 2004, spedita anche ad altri soggetti interessati alla questione di un biblioteca non ancora immessa, sebbene tutto sia pronto, nella rete delle biblioteche provinciali, sebbene sia informatizzata con ISIS e Cds ISIS con catalogo informatico dei libri, capace quindi di connettersi con Internet e compatibile allora di un legame in rete con altre biblioteche, quando decideranno di renderlo operativo.

Quindi praticamente, hic et nunc, una biblioteca potenzialmente fra le più efficienti di Grosseto, tenendo conto del rapporto numero libri, esigenza di aggiornamento degli stessi facilmente colmabile e personale addetto alla organizzazione.

Si tenga naturalmente presente che per rendere veramente completa la biblioteca, è necessario che la Scuola ove si trova la corredi, cosa
estremamente semplice e realizzabile in breve tempo, ove la si decida, di testi aggiornati di narrativa, informatica ed economia e di una normativa d’uso informatico e di consultazione che già è stata in buona parte fissata negli anni precedenti e dalla Dirigente attuale.

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cfr. per le ore di cui si parla, confronta e vedi le numerose richieste
del 7.nov.2003 al provveditore di Grosseto ed al dirigente ITC
V.Fossombroni e del 4.genn.2004 ai dirigenti dell’ITA Agrario Leopoldo II e dell' ITC V.Fossombroni di Grosseto ( ove preciso che richieste analoghe di riconoscimento della formazione e aggiornamento sempre da me effettuati per tutte le scuole di servizio erano sempre rimaste senza nemmeno una risposta scritta da parte dei presidi del 1995\96 nel Liceo Dante di Orbetello, nel Professionale di Orbetello degli anni 1996\2000, e dell’Agrario di Grosseto).

• … Cfr. … richiesta scritta prot.2247FP del 6 settembre 1996 indirizzata
al Preside ed al Collegio dei Docenti del Liceo Classico Dante Alighieri,
Orbetello (GR) per il riconoscimento di n. 137 ore per la stesura della
Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola.

• Documento spedito al Ministro PI del 1996, il cui collaboratore, prof Cattaneo incoraggiò e guidò la stesura della Charta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola dallo scrivente redatta per il Liceo Classico Linguistico Dante Alighieri di Orbetello, ed al Liceo stesso il 26 luglio 1996, con il computo delle ore e la richiesta legittima di riconoscimento del lavoro svolto.
… Riconoscimento effettuato fra il 2000 ed il 2003 dai presidi del Liceo in quegli anni..

Si è allegato copia, sulla cui autenticità si garantisce in fede, degli
attestati dei Corsi seguiti nell’a.s. 1999\2000, per n. 98 ore alla
lettera al preside Agrario GR del 19.9.2000. . Gli originali sono in
possesso dello scrivente. Per gli altri Corsi, e per la composizione della Charta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola per il Liceo Classico Dante Alighieri, tutta la documentazione è depositata presso l’Agrario Leopoldo II, l’ITC Fossombroni di Grosseto ed il Professionale R. del Rosso di Orbetello (GR).
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Con la presente si chiede il riconoscimento formale, giuridico ed
economico, secondo le modalità previste dalla legge, delle sopra
descritte 216 (duecentosedici) ore di aggiornamento, come già nella richiesta presentata, senza ottenere risposta, al Preside dell’Agrario GR il 19 settembre del 2000 e successivamente agli altri Dirigenti sopra esposti e si prega di trasmettere i dati contenuti nella presente ai competenti Uffici del Ministero dell’Istruzione per le necessarie formalità d’ufficio, così da rendere operativo il DP 10801 anche per la parte concernente la Ragioneria Provinciale.
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§
Si vuole aggiungere a quanto sopra scritto ed a suo tempo comunicato al Ministero della Pubblica Istruzione in Roma (Ministri Moratti e Fioroni), al Provveditorato agli Studi di Grosseto ed a tutte le Autorità scolastiche interessate indicate all’inizio della comunicazione e immediatamente a contatto con lo scrivente nelle scuola in cui presta o ha prestato di recente servizio, che negli ultimi anni, ossia dal 1996 al 2007 lo scrivente ha svolto servizio non per 18 (diciotto) ore settimanali di cinquanta minuti, come i ‘colleghi’ docenti, ma per 36
(trentasei) ore settimanali, con assenze quasi nulle e recuperando i mesi di servizio che gli furono deliberatamente interrotti dalle necessità di effettuare ‘colloqui’ sulle competenze attitudinali da lui, absit injuria verbis, non voluti né richiesti dalla Commissione preposta a tale incarico.

Per effetto di questi colloqui è stato esonerato dalla didattica attiva e
utilizzato in biblioteca e segreteria, ove ha cercato sempre di rendersi utile, provvedendo periodicamente a inviare relazioni sulle necessità urgenti, a suo avviso, per la biblioteca Fossombroni, ove operava, senza dimenticare le biblioteche tutte, soprattutto scolastiche e tutti coloro che si trovano in analoghe condizioni.

Le sue richieste, ragionevoli, aspettano ancora con umana fiducia d’essere accontentate, nell’interesse degli Utenti, docenti ed Alunni, non certo per capriccio del ‘bibliotecario’.

Allo stato attuale, essendogli stato prescritto dall’ITC Vittorio
Fossombroni di registrare con cartellino elettronico le presenze sempre regolari a scuola, in orario sempre concordato con la Presidenza e reso noto a tutti, specie all’Ufficio Personale, ove si cura quanto attiene ad orario e servizio, poiché effettua oltre sei ore al giorno di servizio,

per essere sicuro di fare il suo dovere e perché gli è sempre stata negata la possibilità di razionalizzare economicamente il suo lavoro eccedente, mentre notifica a codesta Amministrazione che la sua salute è … hic et nunc … eccellente grazie anche al contributo delle locali Autorità medico diagnostiche (lo scrivente presenta idiosincrasia agli zuccheri in genere e segue una
rigorosissima dieta priva di apporti derivanti da carni di Animali),
comunica e informa di avere effettuato per conto della Scuola ove adesso presta servizio almeno …

… 1.355 … milletrecentocinquantacinque … ore di servizio eccedente le sue sei ore giornaliere di servizio, negli ultimi cinque anni, pari a 7 (sette) mesi oppure 225 duecentiventicinque giorni.

Chiede pertanto che sia verificato sollecitamente sul computer
dell’Ufficio Personale in Segreteria quanto a lui stesso consta, come ha già lui stesso chiesto varie volte verbalmente in segreteria già da tempo ed anche ultimamente, e che gli siano certificate queste ore eccedenti, in modo da essere pagate come lavoro straordinario oppure riconosciute ai fini di un recupero durante i mesi estivi o i periodi natalizi e pasquali.
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§

Lo scrivente si augura venga adottato lo stesso trattamento per tutti
quelli che si trovano nella sua condizione, in quanto è giusto, aumentando
il monte ore, provvedere ad adeguare lo stipendio.
In attesa d’una risposta sollecita, informa che è sua intenzione,
trovandosi al 39° anno di servizio, provvedere a lasciarlo come la legge
vuole allo scadere del quarantesimo, previa presentazione di regolare
domanda.

Nel caso che la sua Scuola voglia provvedere ad attrezzarsi secondo le
elementari richieste elencate nelle relazioni numerose alla stessa
presentate e di cui il Ministero è a conoscenza, è disposto a prendere in
esame la possibilità di protrarre il servizio per altri anni, senza limiti
se non quanto la legge conceda.

Vive cordialità.

Grosseto, 6 luglio 2007

Gennaro Di Jacovo

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Dentro la cartellina aveva sistemato una sua lettera, mai spedita, dedicata simbolicamente ad una dottoressa immaginaria a cui tentava di spiegare, lui paziente, la sua situazione dopo anni di ricerca e di studio sulla sua vita e la sua mente.

Gentilissima Dottoressa,

non è per presunzione o arroganza che nel passato ho provato una sensazione prima di fiducia, poi di sgomento e spaesamento, direi, e quasi straniamento di fronte alla parziale o addirittura spesso mancata applicazione pratica della psichiatria e della psicologia, forme di pensiero di grande fascino con possibilità di un qualche mutamento anche biunivoco del rapporto contestuale.

Tantissimi anni fa mi iscrissi a psicologia, a Roma, ma la scuola ha poi catturato tutti i miei interessi ed il mio tempo.

Ho comunque sempre coltivato da insegnante e da operatore delle lettere una grande attenzione al mito, al fattore sociale di carattere profetico ed allo studio degli atteggiamenti tipicamente ‘romantici’ nella letteratura.
Ossia all’alternarsi di titanismo e vittimismo, come si diceva un tempo.
Ora si dice ‘depressione’ ed ‘euforia’.
Con una vecchia parola greca.
Non che mi ritenga un romantico, magari ‘ di insuccesso ‘, ma evidentemente, come succede ai ricercatori più appassionati, qualcosa dell’atteggiamento studiato deve avermi contagiato.

Non posso dire di ignorare la mia indole, che un tempo era decisamente univoca e aperta, ma certo non posso passivamente e quasi pigramente condividere qualsiasi diagnosi basata solo su episodi di carattere effimero e fenomenico.


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In genere un qualsiasi malessere induce alla ricerca del rimedio e si accetta la figura del medico non solo come di ‘ colui che sa ’, ma anche di ‘ colui che può ’.


Che può diagnosticare di propria iniziativa o sollecitato, che può indurre alla guarigione indicando la via, sollecitando i comportamenti, condizionando con placebo anche involontari ed persino con deterrenti non sempre terapeuticamente costruttivi.


Ma se tutta la medicina è intrisa di filosofia e di profezia (tanto che solo da poco essa si caratterizza come una scienza sia pure con basi umanistiche, mentre fino a poco tempo fa si confondeva con alchimia, altre rudimentali pratiche su cui sorvoliamo o addirittura altre pratiche perseguitate spesso dalla società ‘civile’ con processi severissimi) più che solo di reale pura scienza, la psichiatria addirittura, a mio modo di vedere, sconfina con la religione ed il sogno, in quanto nulla vi è in essa di assolutamente dimostrabile e molto vi abita di solo fenomenicamente tangibile e solo per questo vagamente diagnosticabile.


Non che io voglia a tutti i costi riscoprire la miriade di tendenze profetiche medievali, spesso espressione d’un’autentica ricerca analitica sulla società umana, o addirittura interessarmi della stregoneria, ma quante persone disarmate e indifese, sagge persino e forse solamente troppo audaci nell’allontanarsi dalle mode comuni sono state annientate o soffocate dallo stormo, da una maggioranza che ha sempre e comunque ragione e schiaccia, soffoca, emargina chi si in qualsiasi modo oppone?

Ma forse, per evitare altri ‘roghi’, è meglio mettere qualche moderno ‘profeta’, magari assai dilettante, in una polverosa, grigia biblioteca.

Così sono, purtroppo, tante biblioteche scolastiche.

E invece, proprio le noiose biblioteche sono la madre della sapienza e della scuola stessa, che non sono altro che buffi questionari e discorsi sconnessi senza la capacità di documentarsi e documentare, scrivere e parlare magari poco, ma bene.
In effetti, ero ad altra mansione forse proprio quando insegnavo.

Avevo preso quattro abilitazioni, come un pescatore pessimista che gira con quattro grosse reti per prendere due poveri pesciolini.


Adesso mi pare di essere al mio posto, mentre sto organizzando, con molto impegno (ma potrebbe essere solo l’impressione di un disforico isteroide) questa biblioteca, ed ho l’impressione che questo lavoro ‘provvisorio’, in una scuola che non mi ha nemmeno inserito fra i ‘funzionari dipendenti’ nel suo ‘sito web’, fra ‘docenti’ che nemmeno mi possono vedere nelle loro riunioni o in quelle sindacali, a cui non sono peraltro invitato, sia sempre stato il mio ‘lavoro provvisorio per sempre’.

Non sono più di ruolo dome docente, ma in effetti dal 72 al 2000 ho insegnato tanto, e conosciuto tanti alunni che in confronto a Platone ed Aristotele, o Socrate, o Seneca o anche Dio, che ha avuto una dozzina di alunni, e a dire il vero nemmeno tanto fidati, posso dire: ho esagerato, ed è ora forse di prepararsi a rientrare nei box, con l’aiuto della Mamma Celeste.


Ormai siamo nella civiltà delle icone, delle immagini.

Del web.
Dico di quelle informatizzate, mediate e medianiche, come si sente dire.
La sostanza delle cose e la loro forma si confondono. In senso negativo.

Certamente è necessario però sempre conoscersi.



Così Socrate, riecheggiando Apollo, il dio della luce, della conoscenza e della profezia, della sapienza e della poesia, della medicina, ove Esculapio era un dio decisamente minore.

** Un tempo insomma la religione e la filosofia si nutrivano a piene mani del concetto della bipolarità.
Apollo era sovrano del passato e de futuro, che però sono strettamente connessi al presente.
Dioniso era il dio dell’attimo, del presente.
Molti esseri erano comunque dotati di una bipolarità evidente.

Le sirene, i minotauri, i centauri lo erano in maniera ipertrofica e visibile, non certo criptata.
Lo stesso Dio dei cristiani è Padre e Figlio, con diversa sostanza ma con diverse caratteristiche. O con differenti funzioni.
Il Figlio senza che mai sarà Padre ed il Padre che mai era stato Figlio.
Ma erano lo stesso, non il medesimo.
Come Apollo e Dioniso, l’uno era legatissimo al presente, con il suo martirio, la sua testimonianza assai simile, nel suo svolgersi storico, alla tragedia come la concepivano gli Ateniesi, con Eschilo, in Prometeo.
L’altro era il passato, il futuro, il Tempo tutto e per sempre, l’alpha e l’omega.

**

Oserei dire che ancora adesso molte creature, il nostro stesso pianeta, sono un miscuglio di bipolarità.


Il dottore che mi seguiva precedentemente a Grosseto ha voluto leggere i miei scritti.
Mi ha fatto anche qualche complimento, e questo non guasta, ma debbo confessare che sono fermo sempre allo stesso punto.
Al punto di partenza.
Però ormai ho molto addolcito certe mie asprezze.

Avverto un atteggiamento nuovo in me.
Questo è vero, e di questo ringrazio chi mi ha seguito fino ad ora, certamente.

***


Nella biblioteca dove lavoro ora non si comprano libri da anni, privilegiando altre spese.
Ma mi hanno detto proprio qualche giorno fa, Venerdì 18 febbraio, che, come avevo consigliato in una relazione sulla biblioteca del luglio\agosto scorsi, si prevede un congruo stanziamento di fondi a proposito, e questo mi rallegra, perché era fonte di qualche mio ‘cruccio’.
Anche se questo stanziamento, da me sollecitato negli anni scorsi insieme a tutta una maggiore attenzione per la vita e l’organizzazione della biblioteca, dovesse arrivare tardi, magari quando io non ci sarò più, sono contentissimo lo stesso.


I computers, che ho anche personalmente curato e sistemato da profano quale ero visto che insegnavo un tempo Greco, non hanno una password, sono vecchie macchine prima usate in segreteria.
Ma a me non dispiace quanto è vecchio.
L’importante è che abbia vivacità e salute discreta.

Voglio bene comunque alla ‘mia’ vecchia biblioteca del Fossombroni ed ai suoi computers che ora funzionano discretamente.
In essi è contenuto un programma Isis di catalogazione preparato dalla Biblioteca Pedagogica Fiorentina, indispensabile per la ricerca della collocazione dei libri, ottenuta in pochi secondi.

Non esiste un regolamento per i prestiti e la restituzione dei libri, cosa che invece ritengo indispensabile, la sala lettura e consultazione è frequentata anche da Alunni che ‘non fanno religione’, e che quindi in qualche modo sono sotto non so quale mia responsabilità, in contraddizione con il mio ‘esonero dalle attività didattiche’.
Non che io sia contro i contatti con la gente della scuola, ma ritengo sia contro quanto prescritto a me da chi mi ha precluso quel genere di contatto con la classe che è la ‘lectio’, la lezione.

Ma non voglio lamentarmi
Li promuovevo tutti, i miei Alunni, per principio, ma solo dopo aver dato tutto per farlo.
Solo dopo aver provato ogni risorsa.
Il mio era un metodo certamente ‘antieconomico’.
Non bocciavo e non rimandavo almeno dal 1982.

Adesso la scuola vuol fare questo, vuole realizzare il sogno di un insegnante d’un tempo che non c’è più, ma per farlo ha creato un sistema di ‘didattica commerciale’, che usa formule come ‘credito’ e ‘debito’ formativo, ‘portfolio’ e così via.
Pare, secondo le ultime indagini, che i ‘debiti’ sia pure formativi stiano sommergendo e ingolfando la scuola ostacolando il regolare iter educativo.


E pare stiano danneggiando tutta la ‘bottega’ scolastica, e specialmente i suoi veri proprietari: gli Alunni.
Ma questo ormai mi interessa solo come ‘osservatore’ scolastico ed operatore biblioculturale.
Nell’epoca delle windows, sono al centro della Scuola e la guardo dalle finestre, come Leibniz forse dirò che la scuola è una moane, senza porte e senza finestre?

La mia colpa è forse di aver preceduto da solo la massa dei miei ‘colleghi’? Sono forse un microPromèteo che ha anticipato la magnanimità di Zeus rubandogli un piccoli fulmine?
Il mio è ‘mini\titanismo’?


Ma adesso, come dice Ungaretti, non ho voglia


… di tuffarmi in questo gomitolo di strade


lasciatemi qui
con queste quattro capriole del focolare.


***
Molti anni fa mi fu lasciato un quaderno da papà Antonino, Segretario Comunale di Pietrabbondante e Monte Argentario, oltre che di altri bellissimi paesi molisani.
Mens molisana in corpore molisano …

Era una sua relazione sulla personale degenza negli ospedali di Orbetello e di Roma.
Certa letteratura, come quella di Manzoni, nasce dal verosimile.
Altra, come quella di Polibio, storico, dall’osservazione diretta (autopsia).

Ma fra le tante lettere, come i vestiti e le stoffe, mi attrae quella che nasce dall’esperienza diretta, soggettiva, che non è, come le altre, immune da errori, abbagli, interpretazioni e connotazioni personali e quindi non sempre controllabili, ma che presenta un tono certamente più sofferto e schietto.

Non è la letteratura della maggioranza, qualunque essa sia, è la letteratura di chi è al di là del successo e dell’insuccesso.

Il racconto di papà aveva pochi testimoni, ed io, che tra l’altro non sono il più autorevole di essi, non posso fare altro che
credere in mio Padre e nella sua esperienza unica, semplice e piena di immensi insegnamenti.
Antonino per me è sempre stato un Amico, un compagno di sport, il mio Maestro.

Era anche, questo racconto, un accorato appello all’amore reciproco per tutti gli uomini che lo avessero letto.
Diceva anche che aveva avuto un contatto con Dio, visto come una grande luce.
Ero presente quel 22 maggio 1971 e registrai tutto col mio vecchio registratore.

Ho raccontato la cosa con molta prudenza.
Temevo che prendessero mio Padre per un povero malato visionario, questa è la verità.

Era malato e vide, e comunque io fui il segretario del Segretario, e a lui resto figlio, amico e fedele, dopo aver adempiuto alla promessa che forse nemmeno gli feci, perché un suo desiderio per me era qualcosa da esaudire, di provvedere alla famiglia che lasciava, e che io allora giovanissimo ho dovuto servire.

Mi confidai nell’84 e nell’86 con il mio ‘contesto’ orbetellano.
Parlai con i Vescovi Binini e D’Ascenzi, fui nominato Coadiutore del Centro Culturale Tre Fontane.

Le nomine della Chiesa non hanno scadenza, a ancora adesso sono paradossalmente il Coadiutore del Vescovo di Orbetello, sul piano culturale.

Quel 22 maggio del ’71 Antonino disse di scrivere alla Basilica di Pompei.

Si era invaghito d’una canzone, Let it be, che in effetti è anche una bellissima preghiera.


Quando sono nei guai
Madre Maria viene da me
e dice dolcemente:
lascia che sia così …


E quando la notte è buia
c’è una Stella lassù per me
brilla fino all’alba:
lascia che sia così …


Papà stava molto male, ma non per questo sarei mai stato giustificato se avessi tradito il suo sogno.
Sani o malati, solo Dio lo sa, occorre realizzare i sogni giusti degli uomini, e direi anche degli animali, che hanno anch’essi anima e affetti.
Non io, ma un inglese ha scritto la frase paradossale: ‘più conosco gli uomini e più amo le bestie’.

Così ho cercato di realizzare le cose che Antonino mi chiese nella notte del 21\22 maggio 1971.
L’ho fatto senza clamori, senza chiasso se non quello provocato da qualche imprevisto assolutamente non desiderato.

Ho servito sempre mia madre e mia sorella, sia pure con qualche scivolone, e proprio loro, in un periodo forse per me difficile, quando, proprio il 22 maggio del 1986, subii l’aggressione di un gruppo di giovani che nemmeno conoscevo per imprevedibili motivi, mi hanno accompagnato dal dottor Caliari, da cui quindi sono andato non di mia iniziativa.

**

Nella relazione scritta da Antonino, che ho fatto leggere anche al Suo predecessore, si ringrazia tutto il personale medico e paramedico del S.Giovanni di Dio, dell’Umberto II e dell’Agostino Gemelli.


Ho incontrato qualche difficoltà in più di 33 anni, dal 1971, a rendermi credibile, e non ne sono certo uscito e forse non ne uscirò senza qualche cicatrice, ma voglio che quando mio Padre mi vedrà possa dirmi che ho cercato di dare qualcosa di me ai miei Alunni ed anche al suo Maestro.

Tuttavia dal Vaticano ho ricevuto diverse lettere in cui mi si impartisce la speciale benedizione apostolica di Giovanni Paolo II, e questo almeno mi consola, dato che, sebbene io sia sempre molto prudente in tutto, più di quel che si pensi, ritenevo mio dovere informare e non mi aspettavo certo di essere considerato uno dei tanti opportunisti delle visioni, da cui immagino a Roma si tengano alla larga.

Io non so, ma la Luce che vide Antonino non era la solita cosa, la solita figura vestita d’azzurro che impone enigmi e misteri.


Immagino che la luce, quella reale e ‘vera’ non sia quella che noi vediamo ordinariamente, quella del Sole, Aton, o della lampadine, ma sia una luce assolutamente priva della nostra ordinaria luce, e non dipenda da nulla di fisico.
Immagino che la Luce sia Nera, e che sia in un punto infinitamente piccolo, immenso.


Ho sempre amato sia mia Madre che mio Padre, Allo stesso modo, ma certo con stile diverso. Ognuno di loro voleva la stessa cosa, ma non la medesima.

Con Antonino si sciava, si nuotava, si facevano le salite in bicicletta, si studiava, con Ines si badava alla vita quotidiana, si studiava l’amministrazione della Casa (Eco\nomìa), si cucinava.
So che tutti scelgono, e so anche come.
Io mi sono preso il lusso di essere un antiedipo, in un certo senso.

Quanto agli ‘episodi’, non più di due, in cui sembra che io sia entrato in collisione con il ‘contesto’, o viceversa, ma questa ipotesi sarebbe davvero ‘antieconomica’, ho chiarito in ogni sede possibile la mia perfetta buona fede, l’assenza di volontà di nuocere a chicchessia e il fatto stesso di non aver recato nocumento alcuno, ma anzi di averlo quasi subito.

E tuttavia non c’è in me risentimento o rancore alcuno.
Parto dal presupposto che nessuno non mi abbia mai offeso, quindi non mi ritengo colpito da nemico alcuno.
Ci si fa più male facendo una discesa con gli sci, giocando a calcetto che urtando nella vita qualche ‘avversario contestuale’.
Lo scorso 25 marzo fui investito da un giovane con un furgone Mercedes.
Ricaddi sull’asfalto.
Era presente un’auto della Polizia. Vennero i Vigili.
Lentamente mi ripresi.
Fortunatamente, a parte una miriade di dolori dopo lo spaventoso e atterraggio di schiena, mi accorgevo pian piano che nulla era compromesso.
Ancora più fortunatamente nessun veicolo mi investì, una volta a terra.

Il ragazzo che mi aveva atterrato non si era fermato allo stop. fra via Mameli e via Matteotti, continuava a dirmi ‘mi scusi’ e mi tirava per un braccio per farmi alzare.
Gli dissi di non tirarmi.
Mi alzai e dopo una quindicina di minuti, giunta Anna Maria, salii sulla bici e piano piano mi avviai a casa.

Quel giorno grandinava, quando caddi.
Al collo avevo un collare amaranto che apparteneva ad Argo, il mio Pastore Belga morto diciotto giorni prima.
Qualcuno, Argo, Antonino, Ines? … deve avermi tirato con quel guinzaglio.
Dissi a Polizia e Vigili che non c’era bisogno di nulla, né fu del resto chiamato il medico, in quell’occasione.

Soltanto oggi mi ricordi di quell’episodio e di quel ragazzo che parlava con accento slavo e che si chiamava Sergio, come aveva pensato di chiamarmi Mamma, quando nacqui.

In sede giudiziaria, per due volte la magistratura mi ha dichiarato in regola per le modeste critiche rivoltemi, e una volta è stata proprio l’Asl di Orbetello a provocare senza nessuna plausibile attenuante la mia prima visita in pretura nel 1991 dopo che il Comune aveva provocato la rottura di vari vetri al Liceo e, malgrado avessi avvertito l’Ufficio Tecnico, un’ispezione dell’Asl mi aveva ‘multato’ per intervento del Tribunale.
La cosa, lunga da risolvere, non rappresentò nulla di positivo per me.

Per fortuna il Pretore di Orbetello interpretò compiutamente la questione.

La seconda volta fu un gruppo di genitori del Liceo Linguistico nel 1996 ad organizzare una forma di protesta definita ‘sguaiata’ dall’Ispettore Ministeriale Lupi, il cui parere specialistico non fu comunque affatto seguito a conclusione della vicenda.
Si trattava di una manifestazione assolutamente illegale indirizzata nei miei confronti, tollerata sostanzialmente dalle autorità scolastiche, organizzara ostacolando il servizio scolastico nonostante avessi avvertito in anticipo su tante irregolarità da me avvertite nel contesto scolastico in cui operavo, il 26 luglio dell’estate precedente, il Capitano in servizio al Comando CC di Orbetello.

A questo Comandante avevo anche spedito e consegnato la copia ultimata della Carta dei Diritti del Liceo, spedendone copia anche al Provveditore Cinà, al Ministro Berlinguer ed al preside del Liceo, che allora era il prof Palermo e che non rispose nemmeno due righe.
Tengo a precisare che avevo conosciuto quel Capitano durante un Corso di aggiornamento organizzato dall’Asl e svoltosi all’Isola del Giglio, nell’Aprile del 1996.

Molto probabilmente mi ero procurato diversi avversari con la mia ‘fragile intransigenza’, con il mio ‘mite efficientismo’, come se non bastasse forse già noto ormai al contesto come un ‘sintomo di forma ciclotimica’.

E’ comunque penoso, come si legge dalla relazione dell’Ispettore Lupi, come i miei ‘colleghi’ orbetellani di allora fossero a conoscenza di particolari sul mio ‘stato clinico’ che invece avrebbero assolutamente dovuto ignorare, per un fatto di riservatezza ma anche di umana educazione.

Pagai con alcune settimane di ostruzionismo, di ‘contestazione’ anni ed anni di lavoro scolastico che non si è comunque affatto interrotto.

A scuola, ho scoperto, si finisce con l’insegnare sempre, e lo avevo intuito, tranne quando si è costretti ad ‘insegnare’ come Antigone impediti e obbligati da mille legacci e impedimenti.

Adesso penso ai libri, e le biblioteche in realtà sono la sorgente della scienza, della medicina, dell’insegnamento.
Entrare nella mia biblioteca del Fossombroni o in quella di Alessandria, per me richiede lo stesso amore e impegno.
Certo, qui non ci sono milioni di volumi, ma in un qualsiasi cervello ci sono milioni di idee, di cellule.
Se non proprio una sorgente, la mia Biblioteca è una piccola fontanella, una ‘pilarella’, come dicono a Santo Stefano.

Se proprio debbo essere sincero, avrei potuto fare diversamente, ma avevo compiuto certe scelte tanto tempo prima, quando avevo rifiutato le ripetizioni facili, le bocciature dei fragili e le amicizie comode.

Il mio errore è a monte, ed ora che il monte è lontano, posso dire che diminuiscono le possibilità di essere un uomo sempre eccessivamente drastico.

**

Perché in psichiatria tutto è labile?

Forse perché le ‘malattie’ mentali non esistono, perché non esistono semplicemente le malattie.

Esistono delle risposte alle sollecitazioni contestuali.

Nella storia individui che adesso sarebbero ‘curati’ perché melanconici o euforici, hanno compiuto cose ammirevoli.
Gesù oscillava paurosamente fra esaltazione (beati i poveri di spirito …) e depressione (Padre, perché mi hai abbandonato? …).

Certo sarebbe stato bello curarlo, farlo invecchiare, non permettere che si facesse uccidere, lasciare che assistesse Maria …
Insomma, è il contesto che arma e disarma gli individui, e allora cosa fare? E’ dispendioso indagare sul contesto, sui placidi orbetellani, sulle brave alunne di Albinia … è molto più economico dire che Sempronio è sempre stato un illuso, che sogna di andare in bicicletta col Padre, che è sempre stato con la Madre, e non per onestà e lealtà, ma. solamente perché non voleva o sapeva socializzare, passare il tempo con gli altri, al bar

o in parrocchia, perché è importante star bene con sé stessi e star bene con gli altri, non per fare grandi cose, ma solo magari per fare quattro chiacchiere e … ammazzare il tempo.

Insomma, questa autoanalisi che compio sempre forse farà di me un bipolare pentito.

Ma ritorniamo alla storia.

Nel 1996, dopo aver compiuto da solo e non per mia scelta (i dieci ‘colleghi’ scelti per lavorare con me si ‘defilarono’) il lavoro di stesura della Carta dei Diritti nella Scuola per il Liceo Dante Alighieri di Orbetello, fui sistemato dal preside nuovo del Liceo, ove insegnavo Latino e Greco, al primo e secondo Linguistico, ad insegnare italiano, storia e geografia.

Confesso che non mi sentii offeso e nemmeno diminuito.
Comunque dovetti avvertire come uno ‘straniamento’ per questo cambiamento che non avevo richiesto e che non mi era stato nemmeno anticipato o spiegato in alcun modo.
Poteva essere una specie di fortuna, visto che avrei dovuto lavorare molto meno, dato che insegnare Greco non era affatto leggero, e lo facevo da decenni, ma fu l’inizio di una serie di incomprensioni che indussero i miei Alunni della 2^ linguistico in breve a scrivere un foglietto di quaderno, in modo anche sgrammaticato (come fu osservato da un Ispettore di Polizia che mi interrogò il 22 Ottobre, mio … compleanno, in Procura), che guarda caso finì a Grosseto in Provveditorato, per poi essere ‘brevi manu’ consegnato alla Giustizia. Tutto questo presumibilmente per intervento di persone ben informate su certe procedure.

Le accuse che mi venivano rivolte avrebbero dovuto essere pubblicate da qualche parte e studiate in qualche sede, tanto erano esilaranti, ma anche crudeli.
Era davvero come se un elefante mi avesse accusato d’avergli schiacciato il piede col mio alluce. E non è un’iperbole.
Secondo i miei Alunni li avevo aiutati, specie durante i compiti, forse tanto da impedire loro di consegnare i terribili ‘fogli in bianco’, avevo qualche volta parlato di mia Madre e del mio lupo belga Argos, di cui sempre mi chiedevano notizie e di cui certo non parlo volentieri, perché credo molto nella riservatezza e poco nelle chiacchiere.

Ero accusato di aver strappato un foglietto che mi aveva consegnato il preside, ma assolutamente nessuno avrebbe potuto dimostrare che avevo strappato un foglio ormai di mia proprietà.
Di aver avuto atteggiamenti simili al professore dell’Attimo Fuggente, ma io avevo sempre spiegato ogni aspetto della letteratura, specie il teatro, che trattavo nella letteratura greca con la satira, la tragedia e la commedia, mettendo in guardia su quanto Platone dice della Poesia, vista come attività anche pericolosa e fuorviante dalla verità, che è qualità delle idee pure.

Mi accusavano di avere persino chiesto loro scusa addirittura inginocchiandomi, nel caso li avessi in qualche modo offesi.
Questo particolare sfiorava il grottesco.
Viviamo del resto in un paese, mono o bipolare o tetrapolare che sia, in cui lavorare, allacciarsi le scarpe, parlare di letteratura e dei suoi temi fondamentali, attaccare un chiodo per una carta geografica o allacciarsi le scarpe sono considerati gesti insani.


***

Nessuna delle accuse era veramente grave e nessuna riguardava atti definibili come scandalosi.
Mi accusavano, ma questo termine non era nel lessico della loro paginetta che del resto fu presa dagli inquirenti, sempre unici in questa storia cortesi e gentili con me, fino a consolarmi quasi (sapesse quante denunce fanno a me ..).
Ma certo, consolare un bipolare deve essere tempo sprecato.

**

Mi accusavano di cose che nel modo più assoluto non erano reati, né colpe, ma solo fumo negli occhi.
Sono assolutamente certo che se il preside del 95\96 e il suo ‘successore’ avessero, come avrebbero dovuto, rispettato la mia professionalità e le mie competenze e mi avessero tenuto almeno al Ginnasio del Liceo, senza trasferirmi al linguistico, non si sarebbe verificato quel ridicolo e grottesco incidente didattico che mi ha del resto permesso, ma solo dopo otto anno posso iniziare a constatarlo, di lasciare definitivamente una scuola che per venti anno ho servito, assistendo ad ogni genere di prevaricazione didattica e direi anche superficialità umana.

Come preside, nel 1989\90, mi ero di fatto impegnato a tenere insieme, con buon successo, tutte le classi della scuola in assemblea perché i professori ritenevano non poterlo fare.

L’ho fatto.
Rinunciavo a lezioni private facendo quasi vita monastica (altro che bipolare) mentre di fronte a me una collega aveva trasformato casa sua in una specie di scuola privata.

Non sono uno che si ritiene una nullità, e nemmeno in Padreterno.

Conosco anche troppo i miei limiti. Sono abituato a leggere Montale, ma anche a lavare il pavimento, e lo faccio spesso anche a Grosseto.

Ma la santa verità è che, con la mia borsa sempre piena di libri, mi sentivo un autentico babbeo in una scuola di geni dove tutti o quasi andavano con le mani in tasca e tutt’al più con il registro azzurro o amaranto sotto il braccio, quando non mandavano un alunno a prenderlo.
C’era anche qualcuno, che aveva casa a pochi metri, che si presentava con lo zaino multicolore degli studenti.
Io stesso sono stato fra i primi ad usare questo tipo di ‘biblioforìa’ quando raggiungevo la scuola in bici, facendo quasi trenta chilometri.
Per uno che voglia rispettare i libri, una borsa adeguata è cosa assai migliore.
Ottimo per i giovani ma poco funzionale per contenere bene libri, agende ed altro materiale.
Però faceva tanto trendy.

Ne avrei tanti di episodi da raccontare, ma non posso che pensare a quanti sono stati accusati di dabbenaggine dopo aver dato una mano a tanti.

Nel 1994 proposi al collegio dei docenti di chiamare la Biblioteca col nome di Vieri Nencini.

La proposta fu accettata, anche se sentii i proff Bertelli e Stilli bisbigliare che per me si trattava di menopausa.
Vieri è un po’ il mio Alunno prediletto.

Morì la notte fra il 12 e il 13 dicembre 1975.
Ero il suo docente di Storia dell’Arte.
Soltanto un’ora settimanale.

Insegnavo anche Greco in un’altra classe e Italiano e Storia a Manciano.
A Grosseto frequentavo il pomeriggio i corsi per conseguire l’abilitazione all’insegnamento.
Presi tre abilitazioni, a maggio.
Una quarta nel 1978.
Una cattedra multipolare, quella mia del ’75.
Fra libri e benzina, non restava molto.

Tutte le accuse, che poi accuse non erano ma sapienti allusioni e osservazioni artatamente estemporanee e astutamente corali proprio come nella vecchia straniante e catartica tragedia ateniese o greca, furono scritte, per quello che capii, alla presenza del preside, che una mattina, il 2 ottobre del 1996, portò via dall’aula, certo senza il mio consenso, come annotai sul registro che sicuramente sarà ormai stato gettato, l’intera classe, dopo che un alunno, che aveva il nome dell’astro che ci riscalda di giorno, aveva iniziato una interrogazione in latino, interrotta dal rumore di una delle vetrate situate ad almeno tre metri di altezza.
Rifiutai qualche mese dopo la proposta presentatami informalmente, come purtroppo costume delle nostre scuole spesso, di andare ad organizzare un opuscolo celebrativo della scuola, ove non si fa menzione della mia vicenda, che evidentemente era un avvenimento poco rilevante.
Sono citato in quel libretto fra i presidi passati, ma solo una volta, mentre ho dovuto farlo per due volte, ricordo, certo senza molto arricchirmi nemmeno nello spirito.

Era poco rilevante anche parlare in quel Liceo di Vieri Nencini.
Sarebbe stato meglio, e credo nel frattempo lo abbiano fatto in laguna, recuperare non solo i carnevali, specialità della zona, ma anche i momenti di amarezza, per non ripetere antichi errori.

Io non credo che ci sia gioia senza dolore, e anche la festa ha in sé qualcosa di crudele.

La mia proposta di intestargli la biblioteca fu accettata, ma non si passò al piano operativo.
Insomma, ho visto una targa con su scritto ‘biblioteca Vieri’, ma l’ho commissionata qui a Grosseto per certi miei libri di casa.

Ho un difetto infantile: realizzo sempre e comunque ogni progetto, ogni programma, ogni impegno.
Certamente, non sempre posso vantare il totale consenso del contesto.

Ma sono sicuro che il consenso, come il ricatto, può essere silente.

Ho un altro difetto infantile: spesso i miei progetti sono piccoli sogni, ma poi li rivedo realizzati in grande dal contesto.

Per Platone la l'imitazione, l'emulazione, è alla base dell’arte.
A me pare che sia alla base di tutto, ma giustamente il grande greco osserverebbe che l’arte non è altro che l’antonomasia della intera realtà, della natura.

Nel quaderno di Antonino si parla di Donne e di Giovani, a cui dedica i suoi voti augurali.
In quel tempo non si parlava di cose del genere, se non di capelli lunghi o minigonne.
In seguito questi due termini sono diventati dei progetti importanti.
Nel 1986 una mia classe svolgeva una ricerca sulla condizione della Donna.
Per svolgerla meglio scrivemmo all’Onorevole Nilde Jotti, che scrisse mandando due libri autografati della Costituzione.
Quello dato alla scuola non fu catalogato dalla bibliotecaria , per disinteresse, forse, della stessa preside.

Non omnes abusta junant humilesque myricae …

Ci mandarono libri dalla presidenza del Consiglio.
Spadolini telefonò per fissare una visita alla Camera.
Susanna Agnelli mi scrisse per i libri che le avevo chiesto, ma le persona a cui mi mandò, un geometra, fu avara nel modo più completo.
Inviò però a me il suo libro Vestivamo alla Marinara.

Proprio nel maggio di quell’anno si verificò un grottesco episodio ‘pugilistico’.
Fui affrontato da un nutrito gruppo di ‘giovani’, in piazza. e debbo dire che me la cavai con una grande e provvidenziale buona sorte, per così dire.

Prima di questo episodio potevo compiacermi in parte delle simpatiche lettere che avevo ricevuto.
Dopo, era tutto sintomo d’un mio probabile malessere.
Questo significa mettere dei limiti.


Adesso, quando ricevo una lettere da una persona in gamba, penso subito che vantare conoscenze importanti è sintomo di bipolarismo.
Ma come fa un disgraziato a dire ai suoi conoscenti che non sono conoscenze importanti?
Sono forse importanti solo pontefici e senatori?
Se mi scrive Di Pietro su un argomento giuridico, a me interessa il suo parere, non che sia l’eroe di mani pulite e dei primi anni novanta, è evidente.
Se mi scrive il mio amministratore condominiale su una questione importante, sono felicissimo, ma non posso certo far vedere ad un amico quanto mi si scrive sulla diminuzione d’una rata o sul fatto che ho avuto un rimborso dalla ditta che fornisce il gasolio.
E’ forse un delitto ricordare forse tutti gli Alunni?
Per me erano più importanti degli stessi figli che non ho.
Mi sono stati tolti nel giro di poco tempo e in tutta buona fede si è proceduto su una rotaia sola, univocamente, e mi si permetta che certe musiche occorre siano stereofoniche.
Adesso addirittura di usano anche più di otto amplificatori per rendere bene il suono di un CD o di un DVD.

Qualche anno dopo tutte queste vicende ho scritto ad Antonio di Pietro, e non solo a lui, per sottoporgli il mio caso.
Volevo proprio vedere cosa mi avrebbero detto, se mi avessero risposto, i più grossi esperti di ‘contestuologia’ d’Italia.

Quando era Ministro dei Lavori pubblici ed era calda l’aria della contestazione verso di me, gli chiesi sfacciatamente di interessarsi per la costruzione d’una scuola per il Liceo ed il professionale di Orbetello, che effettivamente ne sono sprovvisti.
Chiesi questo mentre mi trattavano come fossi un povero Aristide molisano.
Chi può pensare mai che ci sia astio o rancore in me?
E per chi?

Gli studenti delle Superiori di Orbetello sono ‘ospiti’ di altre scuole e del Comune. Non hanno una sede loro.


“Il consiglio che mi sento di darle è di non arrendersi mai, nonostante le incomprensioni di qualche collega, e di svolgere il suo lavoro con correttezza e competenza”.


Così mi ha risposto lo scorso anno, dopo sette anni di lontananza dal ‘mio’ Dante, e non mi si dica che sono anche fanatico, perché non sono convinto di essere affatto il cavaliere bianco e bello nella valle brutta e nera.

Praticamente quello che mi avrebbe risposto un altro Segretario Comunale come lui, mio Padre, che si chiamava Tonino, allo stesso modo … resistere.
Nella correttezza, possibilmente e necessariamente, e nella competenza, auspicabilmente.

L’accusa comportamentale da parte della classe del linguistico che solo l’anno prima mi voleva un gran bene mi tenne per più di un anno impegnato in una posizione di estrema prudenza e mi convinse fermamente che non avrei mai più dovuto mettere piede in quella ‘scuola’.


Una scuola che in definitiva si era lasciata inspiegabilmente prendere dal panico nei miei confronti, fino al punto di tollerare, se non armare, una campagna ostracizzante nei confronti di un piccolo docente di letteratura antica e di abbandonarsi a decisioni che, nelle dichiarazioni che mi furono fatte da alcuni suoi esponenti, avevano decisamente l’aspetto della determinata e deliberata durezza della crudeltà.



Era venuto, nella seconda metà di ottobre, un Ispettore , ma solo a maggio dell’anno successivo, il 7.5.97, il Provveditorato si decise, dopo quasi otto mesi, ad assegnarmi al Distretto Scolastico di Orbetello ed altri centri (distretto assai vasto), come Coordinatore delle Biblioteche Scolastiche di Orbetello, Caparbio, Magliano e Manciano.

Il suo parere, che lessi soltanto quando fui chiamato a febbraio in provveditorato, senza che il provveditore, che pure avevo difeso anni prima quando due professori aspiranti alla presidenza gli avevano fatto ricorso coinvolgendo me ed il mio collega preside del Professionale, mai mi ricevesse, era che mi si comminasse una sospensione breve e una censura.

Escludeva trasferimenti, vagheggiati dal provveditore, e cambiamenti vari, ossia quelle cose che furono poi effettivamente realizzate.

Questo il parere dell’esperto inviato dal Ministero della Pubblica Istruzione, sezione di Grosseto.


In conclusione, in base ad accuse dei genitori e degli alunni dalle quali sono stato poi assolto, su contenuti delle mie lezioni che avrebbero dovuto essere strettamente riservati e segreti, non comportando atteggiamenti scandalosi tali da suscitare lo sdegno di tanto popolo, la Commissione Medica Provinciale ha di fatto confermato l’interruzione per due anni, assegnandomi ad un lavoro non ben precisato nel distretto scolastico, in un ufficio sprovvisto di servizi igienici, con mansioni assai ampie, della mia carriera di docente di Greco e latino, peraltro già compromessa dalla decisione del Collegio dei Docenti del 1001 che aveva di fatto eliminato una sezione del liceo. quella con il Greco, inserendo una sezione di Liceo Linguistico.

Per una fatalità della sorte, che è sempre più giusta degli umani, l’attuale Provveditore, che conosco dal 1976, si chiama Greco.
Direi che sono sempre un professore … di Greco.
Nessuno può togliermi le mie quattro abilitazioni, tre più del necessario.
Una di queste dice che sono e sarò sempre un Professore di Greco, nel senso compiuto.

Absit injuria verbis … Senza nessuna offesa …


Non sono tornato quindi nel ’98 nel ‘mio’ Liceo, nella sua biblioteca piena di opere classiche, ho dovuto improvvisarmi ‘tecnico’ (nel … senso platonico) dei computers, usare personal che vengono messi in biblioteca quando sono vecchi per le segreterie, insomma ho completamente rischiato di perdere la mia professionalità e persino la mia identità, visto come sono stato trattato a volte.

E dire che proprio Antonino, mio Padre, volle iscrivermi al Liceo di Campobasso, dicendomi che era la strada più lunga e difficile … the long and winding road …

Non ci tengo ad essere chiamato ‘professore’, ma in questi anni mi son sentito chiamare in modi assai pittoreschi.

Ho dovuto frequentare, e l’ho fatto seguendo anche un praticantato di volontariato in Ospedale, fino a quando è stato necessario, un collega che letteralmente mi aggrediva con accuse assurde, augurandomi le cose meno gradevoli.

Dovevo ascoltare le sue ‘telepatie’, le sue invettive, i suoi epiteti.
Diceva di essere Nessuno, ossia una specie di Ulisse.
Mi augurava il carcere e praticamente me lo imponeva in biblioteca al Fossombroni, mi diceva di andare in pensione, di cambiare scuola e via dicendo.

Tutto questo, sia ad Orbetello che a Grosseto, in sé non offende, se offesa c’è, me, che posso tanto parlare di Dio e della letteratura lirica greca quanto lavare la lettiera dei gatti o passare il cencio in terra, ma quelli che hanno trattato il mio caso e che si sono interessati di me.

Infatti mi sorprende come il parere dei medici sia stato espresso alquanto frammentariamente nei confronti dello scrivente.

Su un grosso foglio inviato dalla ex Commissione Medica Provinciale al Professionale di Orbetello e mai a me reso noto ufficialmente, lessi, quando dovetti vidimare un docu-mento, che la diagnosi era tale da condizionale negativamente per la mia attività tutto il contesto scolastico e cittadino.
Si tenga conto della facilità di relazionare e verbalmente socializzare diffusa nella ridente cittadina lagunare, a me ancora molto cara, visto che sugli oltre 2.000 alunni che ho l’ avuto, solo una ventina si sono ‘lamentati’ trovando del resto pronto credito.
Ora non posso e non voglio stare a sottilizzare, ma come potevo essere considerato nella cittadina di Orbetello una volta che le impiegate della segretaria della scuola avessero informato tutto il santo contesto di questa iperbolica e pittoresca diagnosi?
E’ consono e conforme al giuramento di Ippocrate, fatto in nome di Apollo, dio anche dell’arte e della poesia, divulgare di fatto gli elementi cognitivi di una diagnosi di qualsiasi genere?

Non era meglio scrivere, semmai, disturbo bipolare, così che fossi considerato alla stregua dell’Italia, che ha un sistema politico omonimo oppure un tipo simile al nostro simpatico pianeta?
Oppure, come mi disse un illustre luminare, che avevo solo la caratteristica di De Niro e di Gassman?
Solo apparentemente sono faceto.
Diceva Orazio che si può dire la verità anche sotto forma di facezie.

Ma a parte le battute, che comunque sono la terapia migliore per la malinconia, purché non si ecceda, non è deleterio mettere un individuo in difficoltà serie divulgando informazioni linguisticamente approssimative e superficiali capaci di mettere in seria difficoltà qualsiasi individuo e rendere difficili anche quei rapporti contestuali che difficili ancora non sono?

***

Per quanto mi consta, questa non era una diagnosi, ma solo una formula capace di provocare danni cospicui in un contesto quale una segreteria d’una piccola scuola di provincia ad un povero paziente assegnato ad altra mansione.

Un medico non può favorire l’assegnazione ad altra mansione, che non sia una mansione dequalificata o una seie indistinta di mansioni, di un funzionario pubblico che ha lavorato senza demerito per decenni, non può mettere un docente di letteratura classica a disposizione d’una scuola senza precisare nel dettaglio cosa può e deve fare, e senza sapere che nelle nostre scuole il lavoro di biblioteca, essenziale, è disprezzato ed evitato come la peste.
Nel caso mio, sono stato messo nell’arena nei gladiatori e ho dovuto fare l’impiegato, il custode, le pulizie, il bibliotecario, il docente e vivaddio anche il preside e il provveditore, ma solo virtualmente, certo, se mi si permette questa iperbole.

Spesso qui a Grosseto a scuola, come accade il sabato o al corso serale, il preside è assente, certamente occupato in altre mansioni connesse con il suo ufficio, ed io, come insegnante più anziano, mi trovo ad assumere involontariamente responsabilità che un giorno, in casi di emergenza, paradossalmente potrebbero essermi presentate in conto.

E in questo momento credo di aver vinto ogni sentimento negativo, come se avessi scelto io, e non altri, di fare questa esperienza.

Esperienza di segreteria e di biblioteca che dovrebbero fare tutti i docenti, come tutti dovrebbe essere controllati psichiatricamente e psicologicamente, a mio avviso.
E’ un privilegio da rendere comune, da non lasciare come appannaggio per pochi individui.

Lo scorso anno ho voluto fare un esperimento.
Sono andato da una psicoterapeuta che mi visitò per conto della scuola nel ’96 in Ospedale a Grosseto.

Volevo sentire il suo parere, dopo tanti anni, e volevo parlare ancora con lei, visto che nella sua relazione di allora si … parlava non male del mio caso.

Ebbene, dopo varie sedute mi ha detto che non mi trova cambiato, non erano peggiorate le mie condizioni generali.
Tuttavia … non mi consigliava di tornare all’insegnamento.
Ci restai un po’ male, perché ero quasi pronto a farlo.


In ogni caso, uno stato patologico non può che migliorare o sparire.
Se non peggiora, questa è una guarigione o un miglioramento in sé.
A questo punto si dovrebbe ricercare nel contesto.


***

Gli Alunni mi mancavano fino a poco tempo fa come il cielo ai piccioni, o come le tortorelle al muro della mia scuola (la mattina sbriciolo qualche pacchetto di biscotti per loro, quando è ancora presto, verso le 7,10), e quasi sarei tornato volentieri.
Ma la scuola evidentemente mi vuole usare diversamente.

Una terza visita d’una Commissione rinnovata mi tenne, credo definitivamente ormai, ‘ad mansionem alteram’.
Che poi, linguisticamente, assegnare ‘ad altra mansione’ un funzionario, senza precisare, significa affidarlo a qualsiasi cosa, a tutto meno quello che avrebbe dovuto fare se avesse fatto quello che farebbe nel caso facesse quel che faceva.
E’ una vita difficile e non ritengo sia né catartica né terapeutica…
A proposito, l’Ispettore Lupi che parlò a lungo con me nella stanza che era stata il mio ufficio quando ero preside ad Orbetello osservò che ho la tendenza, un tempo assai lodata, di usare periodi troppo complessi. Otto anni fa. Ma è purtroppo la complessità dell’argomento a complicare la sintassi.

Il fatto è che … nomina sunt consequentia rerum.

Ho insegnato per un paio di decenni nel Ginnasio Liceo della cittadina lagunare prospiciente il Monte Argentario, senza fare quasi mai assenze, con due incarichi di Preside, e quindi mi ritengo di essere ‘sazio’ di quel piatto così pepato.

Quella scuola non mi era mai del tutto piaciuta, ma l’ho servita con amore trattando gli Alunni come Figli e rispettando tutti, tanto che ne scrissi la Carta dei Diritti, lavoro che mi è stato riconosciuto solo quattro anni dopo, al tempo dell’incarico del 2001 all’Agrario.
Il lavoro fatto di 137 ore con un abile stratagemma mi è stato pagato in minima parte, senza contere le centinaia e centinaia, per usare una litote, di giorni passati a scrivere lettere al provveditore, al ministero dell’Istruzione e a tutte le Autorità competenti per ottenere una giustizia che ho avuto al minimo, ma pure ho avuto.
Spero la mia vicenda sia di esempio per il futuro, per quelli che si troveranno nelle mie condizioni, affinché si giudichi Tebe, prima di condannarne il re.
Non che io mi assimili al povero Edipo, ma purtroppo la psicologia è rimasta ferma ad Edipo, ignorando il dramma di Antigone, di Oreste, di Agamennone stesso e di tutta la folta schiera degli eroi tragici che gli idioti chiamano, forse per autoassimilazione, ‘capri espiatori’.

Non voglio che episodi di questo genere d’ora in poi invadano ancora la mia memoria, come le api dentro l’arnia, anche perché non sono affatto incline alle ripicche, ma non mi facilita la vita ricordare e raccontare esperienze che mi sembrano più errori di percorso, e non solo miei, che esperienze puramente negative.Anzi, credi di avere imparato molto più all’Agrario, che mi ha messo sul suo sito web ed al Commerciale, che mi ospita e a cui ormai voglio veramente bene, che nel ‘mio’ vecchio Dante, che per me ha finito con l’avere un valore profetico.

Ed in effetti, credo di avere come ho potuto onorare Dante e Savonarola, due grandi profeti, ossia due intellettuali capaci di ‘parlare prima, a proposito e a favore’.

Credo nel valore positivo di ogni evento, di ogni fatto, anche il più sgradevole.
E credo anche di aver compiuto qualche sacrificio e di aver sostenuto qualche lotta per amore, magari nemmeno ricambiato, ma non so, della giustizia.
Non si può pretendere di credere a Orbetello o a Porto Santo Stefano, nei piccoli cerchi degli organizzatori dei miei viaggi in Maremma, che io abbia lavorato e studiato o scritto per il ‘mio’ Liceo Dante Alighieri, che abbia avuto modo di battere qualche nasata solo perché il mio carattere oscilla fra melanconia ed euforia.

Ho sempre tenuto conto di questa possibilità, e infatti quando compio una scelta ho sempre paura di rischiare e azzardare troppo.

Ma fu proprio Benedetto a incoraggiarmi a fare il preside nel Liceo di Orbetello, cosa che ancora adesso considero la mia somma imprudenza, e sempre lui caldeggiò la mia decisione di sposarmi e di cambiare residenza.

Non è stato per niente facile ambientarmi a Grosseto.
Sono stato qui insegnante al Professionale ed all’Agrario.
Del resto nell’Agrario, la scuola del grande Leopoldo II, un vero mito della Maremma, sono accadute cose veramente eclatanti e gravi dal punto di vista etico e comportamentale sotto il preside De Pietro, che tanto si dette da fare per farmi andare al Commerciale, da quando sono andato via.
Ma non è tutto questo che mi angustia, ormai.
Ci si abitua, ed ho una certa esperienza di mansioni umili, le ho sempre abbinate alla … poesia, alla musica, alla letteratura.
Come sono abituato a vedere fatti gravissimi passare inosservati e quisquilie essere dilatate e sovradimensionate.

**


Quello che mi dispiace è rilevare come nella scuola e nella famiglia sia in definitiva assai diminuita ogni considerazione per le mie competenze e attitudini, proprio in sintonia alla terapia che pubblicamente, sia pure senza personali clamori, sono stato nell’86 indotto a intraprendere.





Curarsi va bene, ma spesso l’effetto catartico e terapeutico viene sminuito da un’assenza completa di dialogo col medico e da un atteggiamento contestualmente derisorio.
Si aggiunga un effetto antiplacebo derivante dalla particolare situazione di chi, dovendo lavorare con la testa e per le teste, si trova a dover frequentare una struttura posta al centro d’un piccolo paese a cui l’ignoranza e la superficialità popolare hanno sempre attribuito un valore funesto.


**

Insomma, per concludere, certamente non ho la pretesa di aver ‘avuto ragione’ quando, come dice Jung, per la realizzazione del mio ‘processo di individuazione’ ho dovuto affrontare qualche momento di baruffa contestuale, e certamente mai se non con un’esigua parte del contesto in cui mi trovo e mi trovavo.

Coccia k n’n parla è kkoccia,. testa che non parla, è zucca

Purtroppo, parlando si offende sempre qualche imperatore nudo, e allora è la grandine.
E quando grandina, come sapeva Padre Cristoforo, il grande albero raccoglie i suoi rami e aspetta che sia finita.
Il piccolo albero, invece, aspetta che lo mettano in serra, o che la grandine non lo tronchi.

Posso senza difficoltà dire che i miei antagonisti contestuali potevano avere tutte le loro brave ragioni per diffidare di certi miei atteggiamenti, ammesso che questi atteggiamenti non fossero condizionati dalla loro volontà di adeguarsi più alla necessità comune che alla ricerca della comprensione reciproca.

Quando il 6 novembre 1996 fui sospeso per sei giorni dall’insegnamento, con decisione assolutamente inopportuna e poi revocata, e con atteggiamento ostentatamente violento dal preside del liceo,ero spaventato, ma sapevo anche che qualcosa di nuovo sarebbe accaduto per me.
Certo, proprio non sapevo cosa …

Una cosa certo evitai, di dimettermi, come mi aveva consigliato inopportunamente un amico medico.
Per me sarebbe stata la rovina certa.
Se non proprio certa, certamente economica, senza altro reddito che quello, diciamo pure modesto a conti fatti, ma provvidenziale tuttavia di insegnante.

Mi fu consigliato poi di mettermi in pensione anche dalla Commissione Medica che mi visitò nel 2001, ma chiesi fermamente di permettermi di continuare a lavorare.
Evidentemente il mio deve essere proprio un caso disperato, ne convengo e ormai comincio a pensarlo anch’io.

Venni al Commerciale, dove fui tenuto per un certo tempo in attesa operativa in Presidenza, quasi fossi una specie di osservatore muto, seduto ai bordi d’un bel tavolo antico e per un mesetto ripassai bene le mansioni del collaboratore vicario del preside e del preside.

Poi fui messo in biblioteca.
C’era un altro bibliotecario, anche lui da oltre vent’anni ‘in altra mansione’, che per quasi un anno mi ha rivolto accuse di opportunismo, miste ad altre di spionaggio e roba del genere, dicendomi che sarei dovuto andare in via Saffi, in carcere, e non al Fossombroni, che avevo sbagliato indirizzo e via dicendo.

Questa forzata ‘terapia antiergastica’ che prorpio non mi aspettavo è durata un anno quasi.

La biblioteca aveva dei computers vecchissimi e tutto era in disordine.
Non potevo parlare, alzarmi, usare i computers, leggere i libri né potevo avere le chiavi degli scaffali, se non quando lo decidesse il mio compagno di sala.
Le finestre erano aperte in pieno inverno.
Venivo lasciato solo nel vasto locale, seduto ad un panchetto.
Mi veniva in mente …


… San Michele aveva un gallo …

Tanti anni prima avevo visto uno sceneggiato in cui un carcerato, chiuso in una cella senza possibilità di uscita, senza poter vedere nessuno, per non impazzire ripassava tutta la sua vasta cultura di scienze e filosofia, ed ogni tanto canticchiava una nenia che aveva imparato da bambino

… San Michele aveva un gallo
rosso bianco verde e giallo
e per farlo poi cantare
gli dava latte e miele …

L’attore che impersonava il prigioniero eretico era Giulio Bogi, che aveva giò recitato come Enea nell’Eneide televisiva.

***

Quello non è stato un anno brillantissimo.
Quando uscivo, evitavo persino le librerie, che sono i miei negozi preferiti.
Un pensiero mi atterriva: forse la vita era quella.
Non avevo voglia di comprare abiti, CD, libri, niente, e risparmiavo diverse lire.
Un atteggiamento decisamente dimidiato, per metà lodato per metà no dagli esperti di psicologia o psichiatria o psicoterapia.

Assenza di desideri, e quindi saggezza, risparmio, e quindi prudenza, ma anche apatia, abulia e atarassia, grandi qualità per gli stoici ed i cinici, ma atteggiamenti non propensi ad una vita soddisfacente.

Non so dove avevo letto o sentito, a dire il vero, che risparmiare era considerata una qualità eccellente dagli psicologi.
Forse lo avevo sentito in ambiente medico, o lo avevo letto sui testi di psicologia che compravo spesso.
Dopotutto, ero una matricola di psicologia, iscritto a Roma e senza
nessuna intenzione, per i troppi impegni scolastici, di mettersi a ‘dare esami’
e laurearsi.
E con quale tesi?

Il bipolarismo politico ed il corrispettivo patologico?

In effetti non sono mai stato un grande risparmiatore.
Così con malinconia pensavo che la depressione è essere insultati, fare un lavoro dimezzato, impossibile e non aver voglia nemmeno di comprare un paio di pantaloni decenti.
Ma se ero proprio al Commerciale, allora dovevo adeguarmi.

Andai così, dopo una trattativa paziente con direttore amministrativo e preside, a lavorare in segreteria, e lavorai tanto.
Visto che non c’era la possibilità di restarvi, dato che il segretario ed il preside non mi avevano dato un incarico certo, fino a quando dietro mia segnalazione me ne fornirono il 20 maggio uno assai provvisorio e parziale, nonostante il mio impegno in ufficio ed a casa, dove completavo il lavoro d’ufficio, tornai in biblioteca, dove il collega era un tantino migliorato nei suoi atteggiamenti, o forse, stupefatto dal vedermi attivo, efficiente e capace di scrivere tanto, era meno diffidente e mi trattava meno bruscamente, ut ita dicam.

Lavorare in biblioteca era difficile, perché ogni cosa doveva essere conquistata con un paziente e lungo lavoro di insistenza e resistenza, sempre con la paura di essere mandato via.

I professori avevano un atteggiamento distante e talora sprezzante, senza sapere che io ho quattro abilitazioni, e se prof è un insulto, ne ho diritto a quattro.

Spesso è necessario, magari quasi di nascosto, fare le pulizie, spolverare qua e là, come sono sempre stato abituato, anche nella sala della biblioteca, senza certo voler far concorrenza a nessuno, non lasciare nulla in disordine, anche se per natura, a lasciarmi fare, non mi dispiacerebbe un pizzico di confusione, ma solo in ambienti privati.

Dove entra gente, occorre decoro, senza ipocrisia e ostentazione.

Adesso la biblioteca è davvero ‘un buon ufficio’, ‘bonum negotium’ , funziona ed è efficiente, anche se i libri sono vecchi e stanchi, ma tuttavia sempre in forma.

Eppure non stata inserita sul sito della scuola, né il mio nome figura nello stesso.

Ma non per questo dirò: il mio nome è Nessuno … come Terence Hill in certi vecchi film.
Occorrerebbero libri nuovi, di narrativa, economia, saggistica ed informatica.
Occorrerebbe una mentalità diversa nelle scuole, una riscoperta del libro, della lettura anche informatica, ma non solo e non necessariamente solamente leggera e puramente ludica, anche nel rispetto assoluto del concetto wittgensteiniano del concetto di ludus quale gioco&apprendimento, direi una nuova specie di musica bibliotecaria, visto che le Muse ispiravano le Arti, la Poesia … la ‘musica’, che dovrebbe avvolgere e comprendere una serie di attività di vasta lettura, naturalmente non solo di libri.

Ma del resto, lo stesso concetto di libro è destinato a svilupparsi ed estendersi.
Mi viene in mente che anni fa organizzai anche la biblioteca del reparto psichiatria in ospedale, su indicazione del dottor Morlitio e del Dottor Forrieri.
Fornii una certa quantità di libri, ma poi non sono stato più chiamato e a dire il vero sono stato travolto dalla mia … carriera fossombroniana.
Nella Biblioteca Vittorio Fossombroni funziona anche Internet ed è possibile connettersi con varie biblioteche d’Italia oltre che con la provincia.
Ho così visto che il mio libretto di poesie Le foglie del Nespolo, del 1983, si trova alla Chelliana ed in certe biblioteche della Romagna e della Lombardia.

Non omnis moriar, multaque pars mei vitabit Libytinam …

Per concludere, davvero, e senza alcun problema adesso
la barca naviga in acque più tranquille, e tuttavia sorvegliamo bene l’acqua perché qualche insidia sempre vi si nasconde.

Del resto una cosa ho imparato, che le cose più pericolose per me sono state due o tre cadute terribili, dalle quali mi sono rialzato senza rancori né per il contesto, né per chi mi aveva fatto cadere.
So bene che qualche volta si cade anche da soli.
O … da Lune.


*** Voglia accettare i miei più cordiali Saluti e gli Auguri per un buon lavoro.

Saluti ed Auguri naturalmente anche per tutti i Suoi Pazienti, i suoi Parenti, Conoscenti ed i Suoi Collaboratori.




Grosseto, 23 febbraio 2005



Louis Onussen



La lettera spiegava tutta una questione assai nota a Louis.
Era una sorta di simulazione.


Anni prima, quando era non proprio agli inizi della sua carriera, ed era un solitario ed impegnato insegnante poco dedito a futili e dispersivi contatti sociali, era stato contattato da un alto prelato della sua zona.

Gli aveva proposto di svolgere una azione utile al Cristianesimo e al suo mondo, non potendo lui essere accettato ufficialmente nella Chiesa, come avrebbe preferito, dovendo provvedere alle esigenze della famiglia.

In effetti Louis sentiva una certa inquietudine ed aveva pensato di entrare nella Chiesa, ma avrebbe dovuto allontanarsi dalla zona e non immaginava proprio come avrebbe potuto praticamente lasciare la madre, sola nel paese dove abitavano.

Così era nata quest’idea della collaborazione per così dire esterna.


Gli era stata conferita la carica di Coadiutore del Centro Culturale Tre Fontane, dell’Abbazia vescovile, con una biblioteca tutta da organizzare.

In quell’epoca Orbetello era una piccola città piuttosto vecchia nelle strutture e nella mentalità.

***

Un corso, che era anche sala riunioni e zona decisionale,salvo che venissero ratificate le scelte negli uffici il giorno dopo, alcune strade collaterali, un po’ di negozi, un duomo bisognoso di restauri che tardavamo e qualche muro spagnolo.

All’ingresso, venendo dall’Argentario, un elegante rimasuglio di mura etrusche ciclopiche che ricordavano quelle del teatro sannita di Pietrabbondante.

Non era affatto facile operare nel piccolo liceo cittadino.

Ma lui lo faceva da tanto, e ne ricordava gli inizi.

Anzi, a dire il vero gli sembrava di essere sempre agli inizi e si impegnava con l’entusiasmo di un missionario. O di un bambino, come diceva una bella canzone di Massimo Ranieri.


***












beta







Dal Prof. Gennarino di Jacovo - ITC Vittorio Fossombroni
Funzione Biblioteca Via Sicilia 45 - 58100 Grosseto GR
Al Presidente della Repubblica Italiana – Quirinale - Roma
Al Presidente del Consiglio dei Ministri – Palazzo Chigi - Roma
Al Ministro Istruzione Pubblica – Viale Trastevere - Roma



*** Al dirigente scolastico di
a. ITC V. Fossombroni
Via Sicilia 45 - 58100 Grosseto GR
b. Istituto Tecnico Agrario Leopoldo II
via Barberi - 58100 Grosseto
c. I Prof \le R. del Rosso - Orbetello GR




Oggetto: formazione e aggiornamento prof. DI IACOVO Gennarino in servizio presso l’ITC Vittorio Fossombroni di Grosseto quale bibliotecario con 36 ore si servizio settimanali e nessuna possibilità di svolgere lavoro straordinario, come spiegato in un’ampia relazione del luglio e dell’agosto scorsi spedita a Dirigente, Direttore SGA e Provveditore, al fine di indurre una maggiore organizzazione e considerazione dell’attività di biblioteca.




Riferimenti: lettera al Direttore CSA del 27 ottobre 2003 n.prot.11715.
Richiesta al preside De Pietro del 19.9.2000.
Alle lettere sono stati allegati tutti gli attestati relativi, spediti anche al
Professionale di Orbetello, all’Agrario Leopoldo II ed al Commerciale
di Grosseto.




A proposito della personale formazione e aggiornamento, alle h38 ore di:

a. educare alla sessualità, novembre \ dicembre 1996, Grosseto, 4 ore;
b. tossicodipendenze,: problemi e soluzioni, Isola del Giglio, 26, 27, 28 aprile 1996, 10 ore;
c. prevenzione dell’Aids – per docenti referenti, Siena, 29\30 novembre 1996, 16 ore;
d. aggiornamento per docenti referenti \Provv.to agli Studi di Grosseto, 26 marzo 1996, 8 ore

dallo scrivente svolte in Corsi di Formazione e Aggiornamento, documentate con gli attestati rilasciati dagli Enti Organizzatori (fra cui la USL di Siena e il Ministero P.I.) e consegnati ai Presidi dell’a.s. 1994\95 e 1995\96 presso il Liceo Dante Alighieri di Orbetello, insieme alle altre 137 ore svolte e allo stesso Preside dichiarate per l’attività finalizzata alla stesura della Carta dei diritti e dei doveri nella scuola, per la cui parziale (110 su 137) attribuzione al sottoscritto si fa riferimento alle richieste presentate a suo tempo (1996) dall’autore della presente ai Presidi G.Palermo e A.Signoretti, come per esempio la lettera prot. 2247FP del 6 settembre 1996 indirizzata al Preside del Liceo Classico Dante Alighieri ed al Collegio dei Docenti, sono state aggiunte (lettera dell’autore della presente al Preside della precedente Scuola di titolarità, prof. Giulio Scotto, dell’Istituto Prof.le Raffaele del Rosso di Orbetello del 25 aprile 2000):

a) h3 (tre) ore relative a :Incontro sul Volontariato, a c. Prof. Maddalena Pinto, in Grosseto, l’11 gennaio 1996, nella Scuola Elementare via Einaudi, 2 ore, e a c: prof. Ada Corsini nella Scuola Media Madonna delle Grazie sempre in Grosseto il 30 maggio 1996, 1 ora. In occasione di questi incontri non mi sono stati rilasciati attestati scritti. Al primo era presente anche l’allora Preside del Liceo Dante Alighieri di Orbetello, Gerardo Palermo.
b) le h35 ore di formazione e aggiornamento svolte nell’anno s. 98\99 per la
1. Formazione all’uso del computer (progetto PIA, h8 ore, 25 nov 97\24 feb 98) presso l’Istituto Prof. per i servizi commerciali e turistici Raffaele del Rosso \ Orbetello (GR);
2. Autonomia scolastica e Autonomie locali, a Firenze (h8 ore, 3 dic 97);
3. Aggiornamento “Building Europe Together”\Fondazione Piaggio e Commissione Europea (h8 ore, 12\13 feb 1998), a cura del Distretto Scolastico 37 in Orbetello (GR);
4. Disagio minorile e istituzioni del territorio, Direzione Didattica statale IV Circolo G. Marconi, Grosseto, 23 aprile 1998, n. h3 ore;


5. Informatica di base - Uso di Windows 95 e applicazioni didattiche, presso la Scuola Media Giuseppe Ungaretti in Grosseto, dal 23 febbraio al 25 maggio 1999, per n. h16 ore.
c) Le h18.30 (diciotto ore e trenta minuti) ore di formazione e aggiornamento svolte nell’anno s. 99\2000 per la:
d) La h27 ore che non sono state ancora riconosciute dal Liceo Classico Dante Alighieri per la stesura della Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola. Ne sono state riconosciute 110 dal preside Antonio Signoretti quattro anni dopo l’ultimazione del lavoro, ossia quante erano state necessarie per la composizione della Carta dei Servizi, a fine a.s. 95\96. A settembre lo scrivente aveva presentato la stesura finale con le variazioni suggerite dal Ministero durante l’estate, come risulta agli atti scritti. Il lavoro fu spedito per Raccomandata RR al preside Gerardo Palermo senza però ricevere ufficialmente risposta.
1. Didattica legata ai nuovi programmi di Storia (16 ore), 6 e 7 marzo 2000;
2. Borsa Valori, 2.30 ore, 21\24 e 25 febbraio 2000 (tre ore9).

***

A queste h118 (centodiciotto) ore di aggiornamento e formazione svolte, documentate strada facendo alla ex1\scuola di titolarità, l’ I.P.S.S.C.T. Raffaele del Rosso di Orbetello, con Liceo Dante Alighieri aggregato, si aggiungano, come da attestati che si allegano alla presente spedita alla mia attuale Scuola di titolarità, l’I.T. Agrario Leopoldo II di Lorena in Grosseto, le seguenti altre h98 (novantotto) ore, svolte a Grosseto dallo scrivente:



Corsi documentati con lettera del 19.9.2000 al preside Alfonso De Pietro:

n. h98 ore, a.s. 1999\2000:

1. h4 ore di aggiornamento sulla definizione del profilo del coordinatore di classe,
presso l ’ I.P.S.CT Luigi Einaudi di Grosseto.
1. h24 ore presso lo stesso Istituto per l’acquisizione, come sembra avvenuta, delle
Competenze necessarie a condurre un gruppo di lavoro’.
2. h72 ore relative al Corso di Inglese con esame il 2 maggio 2000 (voto 90\100) a
cura del Trinity College of London per l’Associazione Culturale Antonio Rosmini
di Grosseto.




Secondo l’art. 4 comma 2 del D.P. 10801 del 27.05.98 (vistato dalla ragioneria Provinciale il 13.08.98, cron.n. 1248) allo scrivente è stato assegnato per la progressione economica un monte ore di 86 (ottantasei) ore globali da svolgere, come sono state svolte, entro il 02 febbraio 2002 .



L’Istituto Professionale R. del Rosso ha inteso colmare questo spazio nel luglio del 2003 con ore dedicate alla stesura della Carta dei diritti e dei doveri nella Scuola, mettendo in pagamento a favore dello scrivente 24 ore su 110 riconosciute, contro le 137 computate dallo stesso, come chiarito e ribadito nel seguente paragrafo.



Alla data odierna lo scrivente ha effettuato n. 216 (duecentosedici) ore, senza contare i tempi di trasferimento e le 137 ore * dedicate nell’a.s.1995\96 alla stesura della Carta dei diritti e dei doveri nella Scuola per conto del Liceo Classico Dante Alighieri, istituto in cui lo scrivente era ordinario di Latino e Greco, e che ora risulta unito all’Istituto Professionale Raffaele del Rosso.



Tale scuola nel luglio del 2003, dopo sette anni, ha riconosciuto economicamente i diritti su 110 ore, giuridicamente riconosciute dal preside Signoretto il 4 novembre 2000, precisamente il 2 luglio 2003 prot. 3154\C1, provvedendo al pagamento di 24 ore e riferendosi al DP n. 10801 del 27.05.1998, vistato dalla RPS il 13.08.98, dove si prevede per il docente il passaggio alla successiva posizione economica previa frequenza di n. 86 ore di attività formativa. Nessun riscontro tuttavia è ancora pervenuto allo scrivente della attuazione di simile ‘passaggio alla successiva posizione economica’, nemmeno dalle scuole successive in cui ha prestato servizio, Il Leopoldo II. ITA Agrario, il Professionale Einaudi ed il Commerciale V.Fossombroni, queste tre ultime di Grosseto.



Tutta la situazione di cui si parla è stata dal consueto soggetto scrivente ripetutamente illustrata nel corso degli anni, dal marzo\ottobre1996, quando ultimò la stesura della Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola per il Liceo Dante Alighieri di Orbetello, ove allora insegnava dopo avervi svolto anche per due volte mansioni di preside, e negli ultimi mesi ai provveditori agli studi S.Cinà e A.Greco***** nonché ai vari presidi e dirigenti, Palermo, Signoretto, Baldi, De Pietro, Vittori e Casapieri, con il risultato di vedermi riconosciute finora solo 110 ore su almeno 137 documentate , come spiego sopra, per la Carta dei Diritti del Liceo Dante di Orbetello, Scuola da cui fu persuaso ad allontanarmi nel 1996\97 da un atteggiamento fieramente ostile non del contesto, ma di una organizzata minoranza di genitori di varia estrazione culturale, religiosa e politica, fino ad accettare, obtorto collo, l’attuale mansione di bibliotecario all’ITC Vittorio Fossombroni di Grosseto, ove sono stato accettato prima come docente, poi come insegnante esonerato dalla docenza (ho quattro abilitazioni) per problemi di salute che personalmente non ritengo determinanti per dovermi imporre tante distrazioni dal mio mestiere vero, quello di ‘insegnante’, che comunque è in effetti una derivazione ed una specializzazione di quello caldamente impostomi di bibliotecario, visto che da esso è nato.

** Ho anche svolto, come precedentemente Vi ho scritto nel CD precedentemente spedito alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, ove lo scorso anno il dottor Valentini ebbe la compiacenza di voler leggere qualche mio appunto analogo, e come potrete trovare anche nel CD che allego, mansioni amministrative di carattere eterogeneo e quasi estemporaneo negli uffici di segreteria. In quella sede organizzavo anche i viaggi e gli stages degli Alunni del Fossombroni. Ho raccolto il mio lavoro, piuttosto complesso, in un CD consegnato alla Scuola ove presto servizio. Attualmente nella biblioteca ove opero, è ospitata la Gazzetta Ufficiale, naturalmente con mio grande onore, ma solo perché … in segreteria non c è posto né, come penso, absit injuria verbis …, pazienza per faldonarla (mi sia permessa l’espressione), cosa che regolarmente realizzo, sia pure nel disordine in cui mi si consegnano le copie. Questo è meglio espresso nella Relazione sulla Biblioteca presentata nel luglio\agosto 2004, spedita anche ad altri soggetti interessati alla questione di un biblioteca nemmeno ospitata su sito web dell’ITC, trascurata almeno che io sappia dai bilanci scolastici ITC eppure molto più efficiente di quattro anni fa, quando vi entrai, informatizzata con ISIS e catalogo dei libri, capace di connettersi con Internet e compatibile di un legame in rete con altre biblioteche, quando decideranno di renderlo operativo qui a Grosseto, e quindi praticamente, hic et nunc, fra le più efficienti di Grosseto, tenendo conto del rapporto numero libri, aggiornamento degli stessi (gli acquisti sono nulli) e personale addetto alla organizzazione. Si tenga naturalmente presente che per rendere veramente completa la ‘mia’ biblioteca, è necessario che la Scuola ove si trova la corredi di testi aggiornati di narrativa, informatica ed economia e di una normativa d’uso informatico e di consultazione.




** Dal momento che sul sito web della scuola non esiste una descrizione della Biblioteca e del suo modesto bibliotecario, tutti sono quasi virtualmente autorizzati a pensare che lo stesso non esista e che io sia un burlone.


E questo è perfettamente in linea con il ‘trattamento contestuale’ di cui mi si onora. Comunque … sono su Internet, se mi si cerca sul sito dell’Agrario, che ringrazio di essersi ricordato del mio nome, della Biblioteca Chelliana, ove si trova un mio libretto di poesia, Le Foglie del Nespolo, pubblicato nel 1983 a Forlì dalla Forum\Quinta Generazione, presente anche in Romagna, in Lombardia e altrove. A dire il vero, lo spedii anche al Papa e mi giunse una gradita benedizione dal Cardinale Giovan Battista Re, seguita fino allo scorso anno da altre dei Cardinali Sandri e Caccia, cui avevo spedito un ‘memoriale’ di mio Padre Antonino.



Con il mio lavoro in segreteria e con la cura della GU ho onorato proprio Lui, mio Padre Antonino, splendido Segretario Comunale nel Molise e nella Maremma Toscana. All’Argentario. Ho voluto essere una specie di suo funzionario, il segretario del Segretario. In effetti sto ‘sbrigando’ una pratica che mi ha affidato più di trentatre anni fa, un giorno di maggio pieno di sole e di rondini, e non chiederò a nessuno di riconoscermi queste ore …




*****
cfr. per le ore di cui si parla, confronta e vedi le numerose richieste del 7.nov.2003 al provveditore di Grosseto ed al dirigente ITC V.Fossombroni e del 4.genn.2004 ai dirigenti dell’ITA Agrario Leopoldo II e dellITC V.Fossombroni di Grosseto ( ove preciso che richieste analoghe di riconoscimento della formazione e aggiornamento sempre da me effettuati per tutte le scuole di servizio erano sempre rimaste senza nemmeno una risposta scritta da parte dei presidi Palermo e Signoretto nel 1995\96 nel Liceo Dante di Orbetello, Majori e Giulio Scotto nel Professionale di Orbetello, De Pietro nell’Agrario di Grosseto





(cfr. richiesta scritta prot.2247FP del 6 settembre 1996 indirizzata al Preside ed al Collegio dei Docenti del Liceo Classico Dante Alighieri, Orbetello (GR) per il riconoscimento di n. 137 ore per la stesura della Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola. Documento spedito al Ministro Berlinguer ed al Liceo stesso il 26 luglio 1996, con il computo delle ore e la richiesta legittima di riconoscimento).




Si è allegato copia, sulla cui autenticità si garantisce in fede, degli attestati dei Corsi seguiti nell’a.s. 1999\2000, per n. 98 ore alla lettera al preside A. De Pietro del 19.9.2000. . Gli originali sono in possesso dello scrivente. Per gli altri Corsi, e per la composizione della Charta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola per il Liceo Classico Dante Alighieri, tutta la documentazione è depositata presso l’Agrario Leopoldo II, l’ITC Fossombroni di Grosseto ed il Professionale R. del Rosso di Orbetello (GR).



Con la presente si chiede il riconoscimento formale, giuridico ed economico, secondo le modalità previste dalla legge, delle sopra descritte 216 (duecentosedici) ore di aggiornamento come già nella richiesta presentata, senza ottenere risposta, al De Pietro il 19 settembre del 2000 e successivamente agli altri Dirigenti sopra esposti e si prega di trasmettere i dati contenuti nella presente ai competenti Uffici del Ministero dell’Istruzione per le necessarie formalità d’ufficio, così da rendere operativo il DP 10801 anche per la parte concernente la Ragioneria Provinciale.

***


Colgo l’occasione per porgere i più cordiali saluti ed i più vivi Auguri di Buon Lavoro e di ogni Personale Soddisfazione al Capo delo Stato, al Presidente del Consiglio, al Ministro che governa la nostra Scuola, ai Funzionari ed al personale tutto della Scuola.



Grosseto, 1° marzo 2005, S. Albino
* modifiche del9\3\2005, S.Giovanni di Dio


Gennarino Di Iacovo


****
Louis ricordava come se fosse un sogno lontano nella notte e nella mente le lettere che invano aveva scritto per avere un minimo di giustizia.
Ma ormai tutto era un ricordo lontano, anche se non certo sbiadito nella mente.

Sulla Terra chiamavano ‘insegnamento’ tutta una serie di attività che servivano spesso più per far dimenticare che per far imparare determinate nozioni e concetti che per farli sviluppare e ricordare.

Si chiamavano ‘scuole’ poi certi edifici più o meno grandi, più o meno attrezzati e capaci atti ed adibiti ad ospitare gli utenti dell’operazione dell’insegnamento, gli ‘alunni’, i giovani uomini e donne.
In quelle sedi sarebbe stato necessario e opportuno raccogliere i giovani, divisi per età, convincerli con vari rituali – la spiegazione, l’interrogazione, il dialogo educativo – a starsene seduti in un silenzio relativo per almeno cinque, sei, sette ore per ‘insegnare’ loro varie discipline.
In effetti ‘insegnare’ in sé era impossibile. La struttura stessa dell’animo umano rifiuta qualsiasi ‘travaso’ cognitivo.
L’uomo ama ‘scoprire’ il vero e il falso.
Nucleo, madre dell’insegnamento, della ricerca e delle ‘scuole’ era stata la ‘biblioteca’, un’invenzione curiosa e geniale quanto primordiale e ingenua.
Si trattava di raccogliere in una stessa sede piccolissima o enorme un nucleo di testi scritti di qualsiasi materiale, dalla’argilla alla carta
Catalogare, ordinare, conservare.
Unica vera legge, conservare e proteggere.
Mai disperdere.
A poco a poco intorno al curature dei testi si raccolse un gruppo di ‘lettori’ assidui.
Questi quasi si specializzarono nelle letture di vario genere. Si sviluppò lo spirito della universitas, dell’interesse verso una direzione precisa, pur conservando la cultura antica un assetto globalmente unitario e compatto.
La scienza, l’astronomia andavano a braccetto con le lettere e la poesia.
Poi, attraverso il tempo, le biblioteche erano divenute luoghi ritenuti noiosi ed erano state quasi disertate, abbandonate. La lettura era divenuta non creazione, amore e conservazione, ma prestito e fatica, noia.

Louis era stato bibliotecazio diverse volte.
Forse lo era sempre stato, senza mai essere all’altezza certo dei celebri e geniali bibliotecari alessandrini.
Ma nelle scuole essere bibliotecario significava attirarsi l’antipatia di tutti.
Nessuno voleva leggere, né far leggere.
Cosa faticosissima, a parere di tutti, anche se nessuno lo ammetteva.
Nelle biblioteche i docenti soggiornavano per fare tutto e interessarsi a tutto, tranne che leggere e parlare di libri.
Il libro veniva preso in ‘prestito’, come il denaro, e restituito con estremo comodo e con tutto ritardo.

Tranne lodevoli eccezioni.

I docenti più coscenziosi, quelli che amavano la chiarezza, gli onesti per lo più poco inclini alle manovre di corridoio ed alle chiacchiere, quelli che veramente forse avrebbero, ammesso che fosse esistente, veramente applicato l’insegnamento, quelli venivano ibernati nelle povere biblioteche scolastiche.



Prot. n. 2086 \ C1 del 16\07\04
prof Gennaro Luigi di Jacovo
Servizi Biblioteca
ITC Vittorio Fossombroni Grosseto

Al Dirigente scolastico ITC Vittorio Fossombroni … Grosseto
Al Direttore SGA … … ITC Vittorio Fossombroni … Grosseto


Al termine del servizio dallo scrivente compiuto nella Biblioteca dell’Istituto Fossombroni per il terzo anno, con una parentesi di impegno nei servizi di segreteria, sembra quasi doveroso puntualizzare in una breve relazione alcuni elementi utili per l’organizzazione futura dell’attività di biblioteca.

All’inizio di quest’anno, trovandosi ad operare per quattro giorni settimanali in orario serale, aveva scritto diverse lettere al Dirigente proponendo una serie di interventi a favore della Biblioteca ed a beneficio di tutti gli Utenti scolastici.



In effetti tutto quanto proponeva, Regolamento prestito, uso di Internet e computers; acquisto volumi di letteratura, economia e informatica; eventuale costituzione di un gruppo di docenti qualificato ad organizzare le richieste di libri dei docenti ed altre attività biblioteconomiche, era anche contenuto in una comunicazione del sottoscritto al collegio dei docenti del 21 ottobre 2003 (prot.2646/C1 del 16.X.2003).

Il verbale del collegio dei docenti svoltosi il 21 ottobre 2003, cui aveva offerto in un Progetto per l’attività connessa al Servizio Biblioteca per la Scuola (prot. N. 2646/C1 del 16 ottobre 2003) la sua gratuita collaborazione come figura strumentale per le attività di biblioteca, oltre a proporre altre opportunità come un regolamento prestiti, consultazione e Internet ed un gruppo di lavoro di docenti per la selezione di opere da inserire fra i testi in dotazione alla biblioteca stessa, al punto p) dice laconicamente, e senza entrare nel merito della complessità della proposta, che comunque resta sempre e comunque valida perché non indirizzata ad un Dirigente e ad un Collegio specifici di un solo anno ma rivolta al contesto generale della Scuola in senso diacronico e territorialmente esteso:


‘Il progetto Biblioteca, con unanime deliberazione, è rinviato a
quando vi sarà certezza dei finanziamenti per la Rete provinciale’


**

Con l’orario mattutino del corrente anno scolastico, con due rientri pomeridiani di tre ore ciascuno da recuperare il lunedì mattina (mia richiesta concordata con il Dirigente, prot.1543/C1 del 22 maggio 2004), utili per le classi del serale e per il prestito ad utenti esterni, sempre che il Dirigente ne confermi e definisca compiutamente le modalità, visto che occorre la sua autorizzazione per effettuarlo e, se indispensabile, la cortese presentazione d’un documento con generalità e domicilio da parte dell’Utente, nel corrente anno scolastic lo scrivente non ritiene, malgrado la sua buona volontà, di poter assicurare come per lo scorso anno una cura assidua ai due computers, cosa che del resto non rientra fra le sue mansioni specifiche, senza una prudenziale ed opportuna chiusura della sala biblioteca in assenza sua, ossia durante restante il periodo della giornata che non sia assegnato al servizio prestiti ordinario autorizzato dalla Dirigenza ed indicato nell’orario preparato all’ inizio di ogni anno scolastico.


** Per il prossimo a.s. la biblioteca sarà funzionante tutte le mattine
dalle 07.20 alle 13.20 ( n. 6 ore X %=h30) - eccetto il lunedì, in cui è chiusa.


L’apertura agli Utenti per il prestito e la consultazione è

dalle 08.00 alle 13.00.

Il Mercoledì e il Venerdì la biblioteca è aperta

dalle 17.00 alle 20.00 (n.3 ore x 2=h36).

Naturalmente il bibliotecario si riserva di effettuare, come suo diritto, una breve pausa fra le 10,30 e le 10.45, oppure più tardi nella mattinata,
compatibilmente con la eventuale presenza di utenti
nei quindici minuti indicati.




***

Si ritiene insomma che sia necessario, nello stesso m modo in cui si farebbe per altri funzionari in altri uffici, per uso individuale, non aperto agli utenti e naturalmente per il lavoro di biblioteca …

dotare personalmente il docente distaccato in biblioteca almeno …


a) di un computer a schermo grande con stampante adeguata, …


b) d’un telefono che possa metterlo in contatto anche con il resto della scuola senza costringerlo ad inopportuni giri per classi ed uffici in caso di necessità e di fornire all’ambiente della biblioteca una …


c) maggiore superficie radiante di riscaldamento, in quanto la sala, a detta di
molti docenti e dello stesso Direttore amministrativo, è freddissima d’inverno,
tanto da scoraggiare negli utenti qualsiasi desiderio di permanenza in essa
specie nei periodi freddi, non essendo assolutamente sufficienti i due radiatori
presenti a riscaldare l’ambiente di vasta cubatura.

Un altro computer sarebbe da assegnare all’uso degli utenti per la normale consultazione dei cataloghi ISIS e di Internet, dopo averne confi gurato l’installazione, in base ad un semplice regolamento generale di questo tipo:




Norme elementari per il prestito & la consultazione dei libri.,
nonché per la consultazione dei cataloghi ISIS e Internet:



a. La durata del prestito è di trenta giorni a partire dalla data della consegna. Vi sono in biblioteca testi (collane, enciclopedie, libri in condizioni particolari e di singolare pregio) che sono esclusi dal prestito ma a disposizione per la consultazione.

b. Al prestito possono accedere Alunni, Docenti e Personale della Scuola.

c. Gli esterni possono accedere al prestito su autorizzazione della Presidenza, dopo aver dato elementari garanzie per rendere possibile un regolare recupero dei volumi in prestito, fornendo gli estremi di un documento di riconoscimento che consenta, con la registrazione del domicilio e dell’identità’ la reperibilità dell’Utente, allo scadere del termine del prestito, in caso di dimenticata o comunque mancata restituzione.

d. Le collane e le pubblicazioni escluse dal prestito sono a disposizione, come del resto ogni altro libro, per la consultazione entro la biblioteca. Chiunque per qualsiasi motivo le allontanasse da essa, ne risponderebbe personalmente e completamente, non essendo possibile che il bibliotecario possa autorizzare Alunni, Docenti ed Utenti in genere ad una operazione del genere.

e. La consultazione dei cataloghi ISIS30 in dotazione e le ricerche su Internet vengono compiute, su argomenti storico, letterari, economici e informatici, o comunque attinenti alle programmazioni scolastiche ed alle indicazioni della Scuola (Docenti e Personale Direttivo didattico e amministrativo) previa cortese richiesta di procedura al personale della biblioteca, nella fattispecie il prof. Gennaro di Jacovo.



***

Tale ‘regolamento minimo’ sopra riportato sarà l’insieme di semplici ed indispensabili norme che lo scrivente applicherà, naturalmente con la dovuta discrezione e sempre con il pieno consenso degli utenti, in ossequio alle regole esistenti in qualsiasi biblioteca.

Infine si desidera proporre, senza nessuna premura particolare, il varo di una sorta di ‘etica scolastica della lettura e della ricerca’, effettuata dai Docenti nella classi, con l’impegno se necessario dello stesso bibliotecario, per provocare e promuovere, come dovrebbe essere, una regolata e nutrita affluenza di Alunni nella biblioteca.

** Concludendo, si fa osservare che i libri dati in prestito dallo scrivente (156 testi) sono stati recuperati, eccetto 21 testi di inglese presi in prestito negli ultimi giorni di scuola dell’a.s. 2003\4. con il consueto ‘contratto’ …


** lettura domestica di>30 gg. ><30 (=30 giorni di prestito rinnovabili)


*** Questo risulta dal registro dei prestiti del prof Gennaro di Jacovo, visionato il 16 aprile 2004 dal vicario del dirigente, prof Benvenuti, ed il 15 luglio 2004 dal collaboratore del dirigente in servizio in quella data, prof Moretti.

Secondo le annotazioni di prestito effettuate dal collega di biblioteca, prof Giancarlo Fanfani, ed a quanto da lui detto allo scrivente il 13 luglio 2004, in orario di servizio (h 10.00), sono stati da lui prestati nell’a.s.2003\04 n:_135_ libri e sono ancora da restituire n° _29_testi.



Faranno testo a proposito la di lui relazione, redatta su un tipo di quaderno usato esclusivamente dal prof G.C.Fanfani, a sua disposizione e mai affidato allo scrivente, come del resto qualsiasi altro strumento o documento della biblioteca, ed il suo registro personale, che saranno presumibilmente e cortesemente messi a disposizione del docente per contratto addetto alla biblioteca dal dirigente in persona della scuola il 1° settembre, dopo che il 21 luglio per ferie e recupero lo stesso docente distaccato in biblioteca, restando presente in servizio il collega di biblioteca prof Fanfani fino al 26 luglio, si è allontanato per fine delle sei ore di servizio giornaliere lasciando la Sala Consultazione e Prestiti con tutti i libri, gli scaffali e gli arredi scolastici e personali (materiale di cancelleria, libri e strumenti di ufficio acquistati in gran parte dall’autore della presente ed in parte limitata forniti dalla scuola) regolarmete in ordine.




Nel periodo di sua assenza, consiglia vivamente di continuare a tenere chiusa la porta della sala di biblioteca, cosa che lo scrivente esorta ancora una volta a fare sempre, come per altri uffici e laboratori, per evitare prevedibili inconvenienti.


Absit injuria verbis, ac sine dolo loqui volo … nella biblioteca è custodita una parte importante della produzione economica, letteraria e legislativa affidata alla nostra scuola, da integrare e rinnovare ma sempre da proteggere.


Giornali, gazzette ed ogni altra pubblicazione che arrivasse per posta fino al 31 agosto potrà essere sistemata nella sala biblioteca, sul tavolo grande in


fondo fra le due colonne, dal personale in sevisio dipendente dalla segreteria facendo uso della chiave in dotazione alla scuola, come di consueto.


Per il testi che risultassero non ancora restituiti per i precedenti anni, sarà necessario riscontrare prestito e restituzione di testii sul registro personale e sulla eventuale relazione, che il collega di biblioteca asserisce di aver avuto sempre in suo possesso e di cui non mi è stato dato affidamento dall’attuale e dal precedente dirigente, non appena i documenti saranno fornito alla biblioteca dalla scuola, possibilmente il 1° settembre, sempre che tali documenti esistano, per poi provvedere a sollecitare gli Utenti ritardatari alla restituzione dei libri con una cortese lettera già concordata nel mese di giugno dallo scrivente insieme al vicario del preside.

A questo si provvederà entro la fase iniziale dell’anno scolastico.


Altri 21 testi di Inglese, presi in prestito da Alunni del biennio negli ultimi giorni di scuola, in mancanza di indicazioni che lo impedissero esplicitamente, si presume che siano regolarmente restituiti all’inizio del prossimo anno scolastico.

E’anche auspicabile che siano portate prima delle 11.00 in biblioteca, come più volte richiesto dagli Utenti perché siano presto disponibili alla consultazione, le copie di pubblicazione quotidiana cui la Scuola è abbonata, il Sole 24 Ore ed il Corriere della Sera.

Le copie della Gazzetta Ufficiale, poi, che sono attualmente ospitate in biblioteca invece che negli uffici dell’Archivio di segreteria, arrivano in ordine sparso, presumibilmente per ragioni di spedizione postale.
Questo crea non pochi problemi per la loro ordinata sistemazione.
La biblioteca, anche nella persona dello scrivente, non è evidentemente responsabile di tali aporie logistico organizzative.
Soltanto la cortesia del Dirigente e del Direttore amministrativo possono, sempre che lo ritengano possibile,opportuno e fattibile, rendere realizzabile questo auspicio.
**
Si conclude con l’augurio che possano realizzarsi queste proposte, nell’interesse della scuola e per il buon funzionamento della biblioteca.
Auguro relativamente a Voi ogni possibile cosa buona ed ogni soddisfazione, nella vita ordinaria e nelle attività di lavoro.

Grazie.

Grosseto, 20 luglio 2004


prof Gennaro di Jacovo


Servizi Biblioteca ITC V Fossombroni
via Sicilia 45 * 58100 Grosseto
****
Queste erano le sue ‘relazioni’ sull’attività di biblioteca, ma i risultati di queste specie di trattatelli in forma quasi di supplica di Seneca a Nerone erano poco visibili.
Eppure qualche cosa facevano.
Tenevano in vita la sua biblioteca grande e frequentata soprattutto da alunni.
***
Finché giunse il giorno in cui scrisse la sua ultima lettera per difendere la vita della sua biblio. O semplicemente per difendere l’idea che avrebbe dovuto difenderla.


prof Gennaro di Jacovo
f biblioteca Itc Fossombroni
via Sicilia 45 - 58100 Grosseto
al Dirigente scolastico
al Collegio dei docenti
al Direttore Amministrativo
ai Rappresentanti RSU
24 3 05 prot 1207 C\1
Itc Vittorio Fossombroni
*** Grosseto
In merito alla situazione generale della biblioteca, restano ancora valide le osservazioni effettuate dallo scivente nelle relazioni del luglio\agosto dello scorso anno (cfr lettera del 16 luglio 2004 prot 2086\C1 e successiva lettera del 7 agosto indirizzata anche al Collegio Docenti) circa l’organizzazione complessiva dell’attività della biblioteca, che ancora è priva di una effettiva intelaiatura normativa generale.
In aggiunta a quanto già osservato e che resta in gran parte da realizzare e direi ‘ufficializzare’, sempre che si voglia migliorare il già attualmente efficiente impianto bibliotecario, così da rendere palese il lavoro di organizzazione informatica e di sistemazione generale fin qui effettuato negli ultimi cinque anni, è però necessario provvedere a quanto segue:
1. ... sistemazione delle strutture di entrata e di ricambio d’aria (le finestre, comprese le persiane, sono da restaurare, così pure la porta, la cui serratura è vistosamente difettosa) e potenziamento della superficie radiante, oppure introduzione di un sistema di aria condizionata.

2. Sistemazione delle scaffalature con sostituzione di armadi obsoleti ed inefficienti dotati di inutili e dannose strutture vitree.

3. Eventuale adeguata sistemazione degli inadeguati scaffali contenenti i numeri degli ultimi tre anni della Gazzetta Ufficiale, possibilmente con richiesta di accesso all’archivio telematico completo della GU, cosa idonea all’uso dei computer introdotti in biblioteca.

4. Eliminazione dello scaffale contenente obsoleti libri di testo, di pertinenza del Dirigente e non della biblioteca.

5. Introduzione nel locale della biblioteca di un sistema di citofono atto a rendere possibile la comunicazione con il resto della scuola, cosa che tra l’altro renderebbe molto più agevole e diretto il recupero dei testi in caso di mancata restituzione dopo un mese dalla data del prestito..

6. A proposito di testi non ancora restituiti, si precisa che fra ottobre e la data attuale sono stati recuperati i testi che risultavano non restituiti anche da qualche anno.
***
*

… … … Attualmente la situazione è quella resa chiara dallo specchietto riportato.
Per la restituzione dei testi sottoelencati, lo scrivente dichiara di aver dato tutte le indicazioni possibili, scritte e verbali, alla Dirigenza della scuola e di aver provveduto a far recapitare agli interessati già almeno tre cortesi e chiari inviti alla restituzione dei libri firmati dal Dirigente e pertanto solo l’intervento diretto del Dirigente stesso adesso può provvedere, in ultima analisi, a convincere, eventualmente, i sottoelencati Utenti alla restituzione dei volumi accanto al loro nome indicati, così da consentire la sistemazione dei volumi mancanti in biblioteca.

*** ***
***
A questo proposito si precisa che il volume La sicurezza negli edifici scolastici (A 4577), in prestito all’ing. Augusto Ferrari, fu dallo stesso consegnato al Dirigente il 22 ottobre 2004 e sempre da questo sistemato in Presidenza.

Pertanto il volume è in diretta consegna al Dirigente e non si trova in Biblioteca.

In caso di aggiornamento della catalogazione Isis il Dirigente deciderà come collocarlo.

Elenco a tutto il 28 febbraio 2005 di Libri della biblioteca
ancora da restituire come dai registri degli ultimi anni.
Gli interessati sono già stati informati dalla Scuola
delle regole del prestito e della riconsegna.

Avvisi di I.a.R. con rife all’elenco di libri da restituire prot. 363\c26 del 31 01 05

b. Registro 2000\02, rispettivamente pagg. 25,3 e 29,7
1. Prof. Lapo Mann, D. Buzzati, Il deserto dei tartari, ….…. A 35
2. “ Mara Casi, Chimica e altro …………..……..….….. B 19

c. Registro2002\04,rispettivamente pagg.1,2 e 15,7.
3. Prof. L. Mann, Vocabolario di Francese .….…………..... ED 2b
4 “ G. Peggiorini, Un fascista all’inferno … .....….……. LOC 59

e. Registro 2004\2005
5. Prof. Loria Impàri, Interset working ....……..………....... A 473
6. “ “ “ Switched lanch ............................... A 454
7. “ “ “ Niente&altro ...........................…..... A 480
8. Nera Margi, …… Visual masic Office 87 ...........…....... A 379

Cordiali saluti
Grosseto, 10 marzo 2005

Gennaro di Jacovo







Alba

Così cadere
dopo breve corsa
nella bocca nera
d’una fredda alba

cade piano in silenzio
timida acqua
e si gela
formando gelidi
ghiacci rampanti
destinati a durare
il tempo dell’alba

tempo statico infinito diafano
ora pieno di gabbiani improvvisi
e di rondoni futuri
















Quando era di servizio la sera in biblioteca, nella grande scuola quasi deserta, da solo, pensava che in fondo in tutta la sua vita non aveva fatto altro che frequentare i morti.


Tutti gli autori, gli scrittori, i poeti, o per lo meno la loro stragrande maggioranza, non erano più, eppure parlavano ancora con le loro parole, con i loro pensieri, con le lettere dell’alphabeto, esprimendo non sempre le stesse cose, perché ogni frase detta o scritta può essere interpretata in modi assai diversi.


Non si legge mai lo stesso libro, pur leggendo lo stesso libro.
Un libro è come un fiume.
Non è mai la stessa acqua quella che vedi, eppure sembra, superficialmente.


Buddha che lascia scorrere la ciotola sul fiume la vede navigare, piccola nave immensa, controcorrente, e in effetti nella novità della cosa c’è tutta la tradizione dell’itinerario consueto dell’arnese di legno.


E’ il vedere il contrario vedendo lo stesso ma non il medesimo.

***


Mentre rileggeva la sua ‘ultima lettera’, in biblioteca, Louis ripensava alle sue piccole grandi battaglie sulla riparazione delle ‘strutture di entrata, di uscita e di ricambio dell’aria’, come con una perifrasi a volte chiamava le salutari e banali porte e finestre.


Per una curiosa circostanza si interessava tanto proprio degli ingressi, delle entrate, che sono il principio della casa e di ogni edificio.
Era il dio Giano, bifronte, a proteggere gli inizi delle imprese, e quindi proprio le imprese, anticamente.

Era il dio della pace e della guerra, ma non come attività in sé, come stati alternativi opposti, come poli della natura umana, come fatali e prevedibili punti di partenza.


***

*










gamma





prof ***
via ***

*** *** dottor ***
via ***

*** ***


Carissimo,

ho scritto molte lettere nella mia vita e tutte le persone a cui scrivo sono molto importanti.
Tu lo sei perché ... sei il 50% di mia sorella, e dire che non è poco.

Chi sa di questa mia abitudine in genere la deride, ma purtroppo, sebbene in effetti io corra seri rischi, specialmente scrivendo ... ad un medico, e per di più ad un parente, sono laureato proprio in lettere, e non posso certo sottrarmi al pericolo immenso insito in questa pericolosa attività.

Non so quando ho cominciato, ma certo se non gli avessi risposto, papà mi avrebbe tirato le orecchie e tutti a casa si sarebbero allarmati, così, pur di accontentare i miei, mi sono improvvisato, asino patentato, letterato.
Obtorto collo.
E per lo stesso motivo ho studiato il latino, a cui non ho mai voluto, da buon catunzo e torturo, come si chiamano in Molise i cocciuti e testoni, molto bene.
Del resto, torturo vuol dire rovere, e adesso avrebbe persino una nobile valenza politica questo termine.
C’è un partito che ne ha fatto stemma.
E simbolo.
Un gruppo di partiti, poi, avevano scelto l’asino per simbolo.
Io però non sono certo degno di essere assimilato a tutta la pianta.
All’animale, certamente, forse.
Insomma, mestierante delle lettere e amante del latino, strano destino per un sannita più attratto dalla Campania che dalle capanne di Numa.

**
Poi dicono che uno si butta a sinistra ... direbbe Totò, un comico che non mi piaceva, perchè me lo facevano vedere ogni santo e laico sabato quando ero in collegio al Mario Pagano di Campobasso.

Otto anni di carcere.

***
E pensare, ma questo forse in famiglia nessuno lo sa, che per tutto questo tempo ho aiutato i miei genitori, e non solo, perché la retta del collegio nazionale me la pagava lo Stato, in quanto ero vincitore d’una borsa di studio.



Ho lasciato credere, visto che stavo male in quel posto e mi mancava la ‘mia’ casa, che fossi solamente quell’asino che in ogni occasione qualche elegante parente pensava e diceva che io fossi.

Si, ... l’uomo della ... sufficienza.

Sono solo questo, e certo fino a diciotto anni non ho voluto strafare.

Poi ho scoperto che un grande poeta mezzo pugliese e mezzo lucano ha esaltato chi viveva come me.

Ma ripeto, lo facevo solo perché la strada era lunga, non vedevo la fine e non potevo sprecare energie.

Non ero nato per vivere chiuso in un palazzo da cui non era possibile uscire se non due volte a settimana per vedere Antonio de Curtis o Steeve Reaves.
Due grandi attori, due vecchi compagni della domenica.

In tutti questi anni, anche se ero nato per essere libero e gestire la mia vita fra neve, fiume, prati ed anche, vivaddio, libri, dovetti cambiare quasi pelle e natura, e probabilmente per farlo soffocai la mia natura vera, diventando un silenzioso idiota che ascolta, valuta e una volta ogni due lustri dice qualcosa, in definitiva fra me e gli altri scelsi gli altri, soffocandomi.

Da allora, sono diventato quello che gli studiosi, che sono sempre dei copioni competenti, chiamano ‘un bipolare’ e quello che invece definirei un dimidiato, uno che è diventato in pratica la metà di quello che era, che avrebbe potuto essere.

Ma se debbo essere sincero un certo Benedetto me lo ha fatto capire, come in certe favole, solo nel novembre del 1996, senza mai darmi spiegazioni di nessuna sorta in proposito.

Il fatto è che questo caro, assai caro, amico dì Orbetello, dovendo spiegare a certi suoi colleghi grossolani le caratteristiche del mio carattere, scrisse in quattro, ma proprio quattro parole il suo parere su un foglietto che mi affidò perché facessi da ‘latore del presente massaggio’.
Erano quasi dieci anni che lo conoscevo e dopo dieci anni, come in una guerra di Greci, mi rivelava cosa pensasse di me.
Molto illuminante ...

E questo essere l’ ... ‘altra metà di sè stessi’, la metà che non infastidisce gli ‘altri’ e, che non si oppone, che sta in silenzio, evidentemente fa molto comodo al contesto, specialmente al contesto immediato.
Parenti, amici&conoscenti.
E pensare che si dice ... ‘koccia k n’nparla è kkoccia’ ...
Il contesto.

Tutto quello che ci è cucito intorno, che circonda la nostra pelle, il nostro cuore, la nostra anima.
Tamaro docet.

In effetti posso dire che un tempo lontano, ma nemmeno poi tanto, sono stato un re, ho avuto il potere, so cosa è.
Ti permette di avere alcune cose straordinarie.
Puoi portare a casa chiunque abbia fame e fargli vuotare la dispensa, puoi andare nelle sue case e mangiare pasta cotta nella sua acqua. Paccheri.
Puoi fare quello che vuoi, amare chi e come vuoi.
Puoi persino voler bene a tutti.
Addirittura puoi provare l’inutilità d’essere amato.
Ti basta voler bene.

Ma il potere per gli uomini vale meno del podere, e dopo il potere si scopre il dovere, e poi il volere, per ultimo, quando non serve che a ben poco.

Non è vero che volere è potere.
Potere è potere.

Ma non voglio tessere le lodi del potere in sè, quello bottegaio molto gaio e un pò deficiente della gente che conta, che conta i soldi e tutte le altre cose.

Il potere che dico è quello di fare per fare, non per rafforzare e consolare.

Quando papà morì, il 9 luglio del 1971, non posso certo negarlo, ci trovammo in una situazione estremamente difficile.
Del resto, chi non ha passato momenti difficili?

Papà si era trasferito a Porto Santo Stefano nel 1966.
Per me fu una vera sorpresa sapere di questo cambiamento.
Venni con il treno, dopo un lunghissimo viaggio di coincidenze e di treni vari, per San Giuseppe del ’66.
Solamente molti anni dopo me ne sono fatta una ragione.

Avevo capito che lui a Pietrabbondante si era trovato in qualche difficoltà, perché aveva delle pessime abitudini, un pò come me.
Gli piaceva lo sport praticato, detestava perdere tempo nelle taverne e giocare a carte, voleva bene a tutte quelle cose stupide e retoriche che sono la famiglia, il lavoro, la lealtà.

Fino ad un certo punto, fui una specie di suo amico preferito, di alunno, forse.
Ancora oggi sono una cosa del genere in gran parte.

Insomma, la sua vita dovette diventare difficile a un ceto punto, specie quando per ragioni intuibili lo tennero quasi un anno senza stipendio.

E’ assolutamente inutile scendere nei dettagli, che comunque ricordo nelle linee essenziali.
Meno male che almeno io, la rovina della famiglia, il bambolotto bipolare, mi mantenevo in collegio con il mio sei poco politico e molto economico.


La famiglia di mamma un tempo era molto facoltosa, ma tutti i figli di don *** avevano lasciaro il paese per Roma e per Parigi.
O per Boston e dintorni.
Immagino che la colpa sia stata del paese deprimente, del babbo deprimente e di non so cos’altro assai deprimente.
Del resto, per i sanniti, quale piacere può essere maggiore che la conquista della città che ne aveva distrutto quasi i villaggi, i borghi, ma non la civiltà?


Ma chi usa il termine ‘depressione’, si è mai ricordato che una ferita non nasce da sola, ma è indotta contestualmente?
E si ricorda che esistono migliaia di espressioni e parole nella lingua, oltre ad espressioni assolutamente insignificanti come ‘depressione’, ‘esaurimento’?

E si ricorderà qualcuno di mettere in analisi l’Italia. o la Terra, visto che sono ‘bipolari’?

Dilemmi infantili, sciocchi, lo so, ma il fatto è che per studiare cento lingue si dimentica l’unica che si dovrebbe sapere: la propria.

**
Fatto sta, che dopo la morte di nonno e nonna, a cui volevo molto bene, i fratelli e le sorelle di mia madre, che si erano sparpagliati per il mondo, dovettero provvedere alla divisione del loro mini-impero .
Impiegarono quasi quattordici anni, vendettero dopo lunghissime trattative allo Stato, alla Forestale, un grande bosco (Silva,  e Loi = bosco in latino, greco&russo) che ora nientemeno è usato dalla Fao per le sue ricerche agroalimentari, dopo numerosissimi soggiorni allietati dall’ospitalità conviviale di mamma e papà, si spartirono infine il ricavato escludendo naturalmente mamma che aveva avuto una somma a parte come dote all’atto del matrimonio, nel 1947.
Lei e papà erano ‘ospiti’ nella grande Casa paterna, quella che la mia manìa poetica ha ribattezzato Grande Casa dei Gatti.
Questo impediva naturalmente ogni possibilità di migliorìa ad una casa che non si poteva sapere a chi poi sarebbe stata attribuita.
***
Le case e le terre di Pietrabbondante restarono indivise, e quindi non intestate a mamma, fino al 1970, un anno prima che morisse papà.


Per questo motivo la situazione economica in cui visse mamma fu basata su una precarietà assoluta, sulla totale incertezza, e sulla effettiva volontà dei fratelli Francesco Paolo, Rinaldo, Clotilde e Maria fino a quando risultò praticamente impossibile poter provvedere alla cura delle proprietà di Pietrabbondante, visto che ci eravamo trasferiti a quattrocento chilometri di distanza.

Quando ci siamo conosciuti, l’uomo della sufficienza non era più il piccolo principe di Pietrabbondante e non aveva più il potere.

Si accontentava di assaggiare appena il sapere, che è l’aperitivo del potere, ma non serve certo a cambiare, a possedere la materia e le cose, come possono fare solo quelli che si illudono di realizzarlo con la tecnologia e la politica.

Quando mamma dovette vendere la casa di Pietrabbondante, certo la cosa fu vissuta come una specie di dramma da me, ma non perché sono un depresso fallito.

O per lo meno non solamente per questo.

Semplicemente perché era la fine del mio sogno di ritornare lì, cosa che ancora adesso, in certi momenti vorrei fare, magari solo con la mente.
Ricordo ancora come ogni oggetto fosse disposto.
Le stanze degli zii, quella dei nonni, la stanza dove siamo nati Beatrice e Genni.
I gatti, il grande camino e la neve, la mia passione.

I parenti tutti insieme a tavola (mi è facile immaginarli così) ...
Quante volte mamma li ha invitati, tutti.
E come sapeva cucinare ...

E papà che ammassava le sagne ...

***

No, io non vorrei che la vita ritornasse a quel tempo, non sono nemmeno un laudator temporis acti.
La vita è un film che non finisce mai, nemmeno con l’apocalisse, la catastrofe e la morte, che sono solamente come delle parentesi arcane.

Queste cose, che rivivo e ricordo, le porto dentro, e sicuramente qualcun altro le starà vivendo a sua volta nelle realtà, e poi le ricorderà.

Io non credo nelle malattie, nella politica, nell’economia, eppure la malattia mi ha tolto papà e mamma, che erano immensi come politici e come economisti.
Loro hanno fatto miracoli, ‘con le loro pessime abitudini, con le loro manie di isolamento e di solitudine’.

Ma a volte, dobbiamo essere soli, sai.
Quando non ci vogliono alle feste, alle ricorrenze, forse anche ai funerali.
Quando il gruppo vuole stare da solo, a contarsi, fra gente che conta.

Non credo nemmeno nel male, ormai.
Non credo che deliberatamente si possa chiudere un piccolo principe in collegio, che si possa invogliare un Segretario a trasferirsi all’Argentario.

Non creda che si possa essere così cattivi da affidare una mente alle cure di un ignorantissimo terapeuta in centri sporchi e disorganizzati.

Non credo nemmeno che si possa definire progressista una persona che fa queste cose, a meno che il progresso non sia il proprio interesse immediato.
**
Dimenticavo.

La famosa dote che fu, almeno credo, data a mamma da don *** *** servì qualche anno dopo a riscattare la casa che poi divenne di zia *** , su cui gravava una pesantissima ipoteca.

Quanto a me, ho di nuovo dato una mano (a volte lo fanno anche i millepiedi, figuriamoci i poveri ciclisti bipedi) alla famiglia rinunciando ad ogni diritto su una casa che zio *** aveva lasciato a mamma con preghiera di consegnarla a me.
Quella casa fu venduta del 1972 a *** *** in Pietrabbondante.

***
Per concludere, non pretendo di averti raccontato ‘la verità’ su nulla, perché la verità è aperta a tutti, come il Colosseo e la biblioteca dove lavoro io, a cui un bidello ha gentilmente sfasciato la serratura.

*** Ti risparmio di raccontarti come a *** vengono trattate in genere le biblioteche scolastiche, come vengono trattati quelli che se ne occupano, specialmente se in cordiali e rispettosi rapporti con la classe medica, e come in genere è trattato a scuola chi cerca di impegnarsi forse ingenuamente occupandosi a tempo pieno dell’unica attività che dovrebbe essere concessa a chi lavora a scuola: quella connessa con l’apprendimento, sia relazionata tradizionalmente e limitatamente agli Alunni che alle strutture librarie e biblioteconomiche.

*** Di questo vado da tempo e diffusamente scrivendo e trattando con le Autorità scolastiche a vari livelli, fino, spero utilmente e non presuntuosamente, ai più ‘alti’, perchè è un diritto parlare e scrivere per fornire un contributo alla realizzazione della scuola e il miglioramento della vita.

Quanto a me, pur essendo un pubblico ufficiale, vengo trattato ‘con sufficienza’ perché qualche ‘voce’ ha detto in giro che sono come un libro, dico il vero ma non è obbligatorio prestarmi ascolto.

***
Ti ho solo detto con queste mie parole il parere di Gennaro, che non ha rancori né risentimenti perché si accontenta della sufficienza e si ferma ai sentimenti.

Non mi spiego però per quale motivo si sia sparsa da un ventennio a questa parte la voce che io sia affettivamente carente, nevrotico, depresso, bipolare. Se fosse vero, non avrei diritto a maggiori attenzioni ... ?
Nel 1986 mia sorella convinse mia madre a sottoporsi ad una serie di analisi psicagogiche terapeutiche o semplicemente cognitive, per migliorarla probabilmente, e credo non ce ne fosse proprio bisogno perché l’unico problema era la sua attività universitaria che durava dal 1976 senza speranza di esito, la nostra vita affettiva di famiglia.
Fui aggregato al gruppetto e ci sottoponemmo alla prima seduta, nel glorioso Santa Maria a Siena.
Mamma si rifiutò di continuare la a dire il vero indiscreta chiacchierata su vari aspetti della nostra peraltro limpida vita passata e restai solo insieme a mia sorella e due dottoresse a sottopormi al gioco del dimmi chi sei, cosa fai e che pensi.

Dopo vari mesi, ne fui fuori, ma proprio lì cominciò il bello.
Avevo letto che le analisi possono indurre mutamenti comportamentali, ed in effetti in quella splendida primavera assunsi un atteggiamento a dire il vero spavaldo e sicuro.
Tanto che dovetti urtare qualcuno.
Ricevevo da Roma, da vari esponenti politici, messaggi incoraggianti.
Scrivevo loro per motivi didattici.
La Presidenza del Consiglio inviò libri per una ricerca sulla condizione della Donna.
Il ministro Susanna Agnelli fece altrettanto.
Il Presidente della Camera dei Deputati inviò a me ed ai miei Alunni due testi della Costituzione, con dedica ed una bella lettere di incoraggiamento.
Insomma, tutto era veramente troppo bello, fino a metà maggio.

***

In quel periodo ero assistente volontario ospedaliero.
Trovai un giorno a medicina uomini un ragazzo di cognome Pozzi.
Aveva tentato di suicidarsi.
Portava bende ai polsi.
Era robusto, alto più di me, che sono piccoletto.
Mi raccontò che aveva fatto il Liceo fino alla bocciatura, con una mia collega di lettere, poi aveva chiesto di assistere alle lezioni, ma il preside non aveva voluto.
Non aveva soldi, e gli diedi del denaro che portavo nel taschino per comprarsi un libro.
“Professore...” mi disse ... “ ... non la dimenticherò mai ...”.
Anni dopo quel ragazzone si sarebbe ucciso, gettandosi sotto il treno.
In classe parlavo a volta con la mia splendida Quinta B di temi di carattere sociale e umano.

Mi trovai un giorno a parlare del volontariato, e parlai dell’esperienza narrata nel quaderno che mi aveva lasciato mio padre.
Nel quaderno parlava della sua esperienza nei ricoveri ospedalieri fra il marzo e il luglio del 1971.

Nel memoriale si parla della vita d’un paziente, dei medici, degli infermieri e delle infermiere, delle amicizie, della sofferenza e del dolore.

E si parla anche di una esperienza mistica, avvenuta il 22 maggio del 1971, in mia presenza, in cui parve a papà di essere al cospetto di Dio, visto come una grande luce fra mare e terra, di fronte a Talamone, mentre si trovava nella sala della casa sopra al Monte dei Paschi a Porto S. Stefano.

La notte precedente papà ed io parlammo a lungo, e praticamente lui mi affidò la cura, per quanto potessi, delle cose della famiglia, soprattutto di mamma e di mia sorella.
Incarico che mi ha praticamente accompagnato per gran parte della vita, almeno fino a quando, morta mamma, non ho visto mia sorella, tua moglie, più sicura e serena, tanto addirittura da farmi anche condizionare e sovrastare a tratti dalla sua personalità.

Riconosco che ci fu un momento di crisi, quando litigasti con mamma e poi entrasti in collisione con me, chiedendo l’appoggio di Rinaldo.
Vi ho lasciati fare, quasi lasciandovi anche la mia parte affettiva nella famiglia, perché il mio aiuto era poco senza l’appoggio di tutti.
Scrissi anche in tal senso a vari parenti.
Vi ho lasciato prendere l’affetto di tutti, anche quello che avrei voluto forse per me, e mi comportai in modo volutamente scostante, tanto che giustamente avrete pensato a me come ad un tipo rustico e discolo, scorbutico e affettivamente carente di basi e sostegni.
Era l’unico modo, per un semplice convittore, ora insegnante di ginnasio, per aiutare la figli d’un grande Amico, una sorella.
E per combinazione, proprio il 22 maggio del 1986, mentre tornavo da Grosseto per un colloquio con un professore, incappai in un gruppo di teppisti che mi diedero filo da torcere.
Ne uscii a dire il vero con qualche livido, ma con l’onore salvo, ne sono certo.
La cosa ebbe un comico risvolto.

Fui accompagnato proprio da mia sorella da un terapeuta di Orbetello, al centro della cittadina, e per dieci anni diedi prova di coraggio, ne sono certo, recandomi da lui per scambiare fuggevoli parole, in genere sulla scuola, e controllare ogni tanto l’andamento del mio ‘umore’.
Ma tutto era estremamente superficiale.
Nessuna diagnosi mi fu mai comunicata, nessun certificato mi fu mai scritto, anche perché non prendevo mai un solo giorno di permesso per la scuola.
Come sopra ho detto, solo nel novembre del 1996 lessi una frettolosa diagnosi: disturbo bipolare.
Se anche avessi voluto informarmi, nel decennio passato, non avrei potuto farlo, e del testo mi pare così banale questa formula diagnostica da farmi pensare che tutti i romantici avrebbero dovuto essere curati forse con semplici sali di litio.
Avremmo avuto papà sereni e felici e molta stupida letteratura in meno.
Anche il doctor Hyde, sarebbe assente, e molto mitici mostri della mitologia greca sarebbero ora solo dei ‘bipolari’ e non craeture leggendarie e arcane.
Insomma, essere come De Niro e Gassman, o come un centauro, o come tutti gli esseri che oscillano fra due poli creando una pluralità di stati d’animo era un disturbo.
In effetti mi chiedevo perché non fossi mai stato sottoposto ad una ‘vera’ visita. Bastava ch’io parlassi per rivelarmi come un pianeta bipolare?

Dal 1986 al 1996, per dieci anni, la mia vita non fu facile al liceo.
Ero sicuro che la limitata dimensione dell’ambiente sociale contestuale poteva esercitare un forte condizionamento su di me.
Me ne accorgevo, lo respiravo.
Finché venne l’ottobre del ’96.
Non mi si riconobbe il lavoro assai intenso fatto per la scuola.
A me premeva che non andasse perso.
Era la Carta dei Diritti, ora in vigore al Liceo di *** .
L'anno prima il preside Gelardo *** mi aveva arbitrariamente tolto gran parte dell’insegnamento del greco ed il nuovo preside, Antonio Signoretto, aveva confermato quella scelta assurda, assegnandomi al linguistico.
Ci furono delle incomprensioni con i genitori, un gruppo di persone che conoscevo abbastanza bene, fra cui un certo Antonio *** , noto più per le passeggiare in paese e per la cordialità che per l’impegno come maresciallo di finanza, e il risultato fu che fui sottoposto ad una ispezione dal provveditore Salvatore Cinà.
L’ispezione andò anche bene.
A questo punto si pensò di accusarmi di cose piuttosto banali (aiutavo gli Alunni, parlavo greco, avevo parlato di mamma e di Argo e baggianate simili ...).
Anche da questo fui scagionato.
Prima però di essere liberato da ogni accusa, la commissione medica mi sistemò ‘ad libros’, autorizzando la scuola a impiegarmi nel distretto scolastico di Orbetello, ove fui coordinatore della biblioteche del distretto, che è vasto.

Il mio ufficio era privo di servizi igienici.
Il mio orario era raddoppiato.

Realizzavo in un certo senso alcuni obiettivi che andrebbero estesi a tutti i docenti, restavo ‘professore’, con quattro abilitazioni, ma con gravi incongruenze nella realizzazione di una attività lavorativa che volevo fosse impegnativa, intensa, per niente impostata sullo stereotipo della ‘sinecura’ affidata ad un ex professore ‘modello’ divenuto ‘monello’, rimbambito dopo essersi impegnato nella scuola e nella famiglia dall’età di undici anni.
Avevo almeno ventisei anni di servizio compiuto senza assenze, praticamente.

Era come se avessi già diritto a ritirarmi, ma non dovevo.

Iniziò un periodo difficile.
Avevo solo Argo, il mio cane.
I parenti erano lontani.

In quel periodo dovetti imparare a non ricevere lettere, telefonate, a non lamentarmi in alcun modo con nessuno.
***

E così, siamo arrivati ad oggi.
La mia famiglia è bene avviata.
Nessuno ormai si accorgerebbe se sparissi.
Qualsiasi cosa io sia, ogni colle ha la sua croce.

Se Genni fosse solo, e malato, tutti i parenti si affannerebbero a cercarlo, a consigliarlo, invece gli risulta di essere solo come un papa, come in imperatore sicuro di sé e felice.
Come un albero dentro al bosco.

Per parlare a telefono con qualche parente debbo venire a *** , da te, dove per sbaglio mi si scambia per la tua persona.
Ma è successo una volta sola, e con zia Anna, che deve avermi fatto un complimento davvero grosso prendendomi per te o averti offeso indicibilmente, scambiando il tuo nome per la mia persona.
Dio solo lo sa, e lo lascio sapere volentieri a Lui.
Ma tutto questo però mi fa piacere, perché papà e mamma hanno lavorato bene.
Non è di quattro chiacchiere che abbiamo bisogno.
Lasciamo che ci dicano ancora ‘quando vieni a *** ?’
Mai.
Ma che ci aspettino sempre.
Un giorno, ognuno tornerà, ma questo giorno non si sa.
Ho spedito una buona quantità di e-mail, con il computer, anche a Tonino, a Darfo.
Mi aveva chiesto fin dallo scorso dicembre ‘i miei lavori’.
Non mi ha però risposto, da mesi.

Gli ho mandato, tanto per capirci, la grammatica italiana, la carta dei diritti e dei doveri nella scuola e gli appunti sull’autonomia scolastica, oltre che una raccolta di spero poco mici\diali poèsie.



Quando nel 1995, per incarico del collegio del docenti, fui incaricato di comporre la Carta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola per il Liceo Classico *** *** , altri insegnanti facevano parte, per mia richiesta, d’una Commissione che avrebbe dovuto, come non fece, collaborare alla stesura.

Nell’estate del 1996, il 26 luglio, Sant’Anna, spedii il lavoro compiuto al preside del Liceo che non mi rispose, ed al Ministero dell’Istruzione.




Poche settimane dopo mi rispose un prof venuto da *** a fare il preside e rimasto poi cinque anni ad *** .

Non mi si dica che sono un antimeridionalista perché è dimostrato che gran parte dei meridionali sono di origine nordica, ma debbo dire che costui, da brava *** , come diceva Salvemini, si rese docile strumento nella mani di chi lavorava proprio contro la riforma della scuola, allora pilotata da un ministro progressista.
Del resto, se proprio debbo pensare alla Lucania e dintorni, preferisco pensare a Pavese e Brancaleone, a Levi ed a Eboli, a Rocco Scotellaro e a tanti altri veri Uomini e Donne degli del Sud.
Non certo a quel povero ‘preside’.

**
Non credo di essere stato umiliato ad *** , né cacciato, perché forse, a conti fatti, non desideravo che l’occasione di andarmene, avendo ormai dato tutto a quella Scuola, anche la Carta dei Diritti, adesso in vigore regolarmente, ma se qualcuno pensa che io sia stato abbattuto come una tortorella da sessanta coraggiose doppiette, che dopo essere stato scagionato dalla magistratura delle stupide accusationes rivoltemi da una esigua parte di genitori io sia stato assegnato ‘ad altre mansioni’, peraltro anche più complesse dell’insegnamento stesso, che io sia un deficiente per i parenti e per i politicanti fasulli, allora sappia che se è proprio vero quel che pensa, quel ministro in carica nel ‘95 ha perso forse l’unico suo valido appoggio per realizzare una riforma che poi si è rivelata, nella continuazione attuale di quella riforna non finita e forse infinita, come la botteghizzazione di stato dell’informazione abbecedaria mutuata dalla cultura pseudoamericana.
***
Sono quasi quattro anni che quel ministro non ha più dato segni e che quel governo di allora è assente.
Da parte mia, non lo boccerò per questo, ma vorrei proprio chiedergli dove diavolo è andato ... tanto per dire qualcosa.
Che sia il bentornato, fra qualche mese, ma stavolta prima che mi metta ancora in giro, presenti uno straccio di giustificazione, basta una fesseria di bigliettino.
Noi, siamo sempre qui, un pò più allenati, un pò più prudenti, forse meno bipolari e senza pruderie popolari.

Un forte abbraccio e salutissimi al te, a Beat, alla Talebana ed a M(Argo)t.

Grosseto, 26 novembre 2005

Gennaro








Questa era una lettera immaginaria, di quelle che Louis componeva quasi per dialogare con un interlocutore assente, ma che lo impegnava dialetticamente ed emotivamente così da imporgli un contegno dialogico intenso ma non debordato.


Era come allenarsi con una canoa in vista di incontri anche meno impegnativi nel futuro, se ce ne fossero stati eventualmente.

Le sue espressioni non erano estremamente polemiche, ove ci fossero stati dei contrasti, cosa mai improbabile, e tuttavia una certa forza espressiva tradiva spesso una viva intensità emotiva, forti sentimenti e sensazioni ancora vive.

Anche quando fosse passato del tempo da fatti e avvenimenti che erano stati capaci di avviare processi affettivi complessi, sentimenti e ricordi.

***
*





delta


I J anno MMIII regnante Christo


Gennaro Jacovo – Via Trento 54
58100 Grosseto
tel. 328 / 0474786
0564 / 29019
Vobis, qui estis
Sanctissumus Benedictus
Sanctus Pater
Johannes Paulus Secundus – Romae

Benedicte, Sanctissume Pater,
Si Samnis Christianusque Pontii Pilati lingua Vobis loquor, mihi, Sanctissume Pater, iterum parcite.
Ter iam temporibus actis Personae Vestrae scripsi, atque ter sanctam benedictionem Summi Pontificis Romanae Ecclesiae ab alio pontifici sacerdoti libenter accepi.
Ter manum Vestram magis verbo, quamvis dilectum, malueram.
Hodie, multas per gentes et multa per aequora vectus, ad has, Pater, advenio
multas preces.
Multo tempore exacto Antoninus, Pater meus, terribili morbo ictus, horribile dictu, perisse visus est, nocte, Romae, ad Gemellorum hospitia, paucis praesentibus Sanctis Sororibus Christi.

Duos quasi ante menses, domi, Argentario in monte, Sancti Stephani, die matutino, dum candidi Soles fulgebant, avesque hirundinesque in aere volitabant, d. X ante K. Junias, Matre pro domo laborante, Patri Antonino, omnes juvenes mulieresque Benedicenti, maximam lucem in coelo super aequora ponti videre visum, mirabile dictu. Atque ‘Salve Regina’ clamabat Pater Ille suavissimus, me omnibus rebus cohortante.

Paucis diebus ante Mater Maria dulcissima ei visa suaviter ac breviter dicens:
… “malo apud Urbis tellurem, super Montem Argentarium sicut aut potius
quam Romae morari, quia viridem illum suavem silentium volo…
propterea templum mihi illic facite …”.

Haec omnia Vobis ter scripsi, omniaque verba scripta manu sua misi anno MIMICV regnante Domino Jesu, Kalendis quasi Septembris, tamen fugit hora, fugit inesorabile tempus, sed verbo Vestro magis atque magis careo, me miserum, bis sine Patre, non sine calamo, tamen.
Insuevit me Pater meus optimus. Insuevit Mater dulcissima.
Ad Pompeianam ecclesiam eadem, paucis diebus exactis, scripsi. Quia ipsa ecclesia Matri meae scripsit. Nondum rediit mihi verbum quidquam.
E vobis oro mihi verba de paterno ad omnes juvenes mulieresque amore, ut scripsi. Hunc miserum filium Vestrum, Alter Pater, succurrrite cito et velociter, Deo juvante.
Sanctissume Pater, secundus mihi sitis,  tamquam super dulcissumum Zephirus mare, et vocem per aspera ad astra fortem Patris mei Primi tollere velitis pro omnibus filiis amatissimis vestris, ut dicere nunc et semper possim: conticuere omnes, intentaque ora tenebant, dum Pater meus mirabile verbum amoris dicebat Romae Sanctissimo Patre secundo.
Mihi miserrimisque meis latina lingua scriptis verbis parcere opus atque onus Vestrum, Benedicte super omnes benedictos.
Tempus durissumum durat. Patientia nobis et pax, Vobis aeternitas atque vita.

Januarius Samnis

***
*
Gennarino di Jacovo
Via Trento 54
58100 Grosseto
A Giovanni Paolo
Vaticano
Roma

Lo scorso anno ho inviato alla Sua Ragguardevole Persona, a cui del resto vado scrivendo dai primi anni ’80, una serie di lettere in Latino.
Mi giunse il giorno 22 maggio una lettera a firma Gabriel Caccia Assessor contenente una allusione a quanto da me a Voi da molto anni scritto a proposito dell’esperienza mistica di mio Padre Antonino ed alla mia veste umana e spirituale.
Si impartì anche in quell’occasione alla mia persona … ‘libenter’ … una ‘Benedictionem Apostolicam … tibi tuisque …’, come dice il testo, che contiene all’ultimo rigo un piccolo errore, che occorre Vi notifichi.
Una sera del 1978 diceste: … ‘se sbaglio, correggetemi …’.
Detesto correggere, lo detestavo anche quando insegnavo Latino e Greco al Liceo Dante di Orbetello, per questo ho atteso un po’,e Vi dico che mi pare proprio si dica ‘oblata’, non ‘blata’.
Comunque, non sarà considerato errore, vista la grande simpatia di questo mio Alunno così eccezionale, e tanto più bravo di me.
Sono un vero somaro nelle lingue.
Ma fu un somarello a scaldare Gesù e fu un altro somarello a portarlo nella Città Santa per antonomasia.

Non insegno più da qualche anno e curo una biblioteca scolastica molto fredda d’inverno.
Ma a me … ormai il freddo non dispiace.
Sono stato privato dell’insegnamento dalla incomprensione della Scuola, che tuttavia amo e servo ancora.

Ad Orbetello il Vescovo Giovanni D’Ascenzi mi cresimò. Avevo trentatré anni.
Il Vescovo Eugenio Binini mi nominò Coadiutore del Centro Culturale Tre Fontane. Ma la mia sete è grande, perché il parroco di Orbetello, Carrucola, che firmò l'atto, se ne dimenticò presto.

Ma le nomine della Chiesa sono eterne. Non ho le chiavi della biblioteca del palazzo abbaziale di Meini, ma il mio cuore è lì, nella cappellina dove fui cresimato, alla presenza di Mamma Ines Carosella di Jacovo.

Il mio giogo è leggero e il mio peso è soave.
E’ scritto lì.
Vi spedisco, mio Alunno e … collega amante dello sport sano, mio Compagno di Squadra, tutto quello che ho scritto.
L’ho scritto per il bene, anche se pare un po’ intriso di malinconia.
Ma non è forse vero che Gesù amava qualcuno che gli lavasse i piedi con le lacrime e glieli asciugasse con i capelli?

Dalla malinconia nasce il riso sincero e il sorriso, dal caos nascono le stelle.
Dio è nato dal dolore e dalla persecuzione.
Ho conosciuto molti uomini della Chiesa e mi hanno detto sempre di andare avanti, nonostante le salite, il dolore.

Ho sempre considerato i miei Alunni quasi dei Professori, e adesso perdonatemi, se Vi ho chiamato mio Alunno.

Nel romanzo Hirundo, verso il finale, si parla dell’esperienza vissuta da mio Padre e me, suo modesto … testimone e segretario.

Nel romanzo Rufus Miles, o Samnis, si parla della didattica, dell’insegnamento e dell’amicizia, nonché dell’amore per la Natura (Monsignor Eminente Caccia mi consenta, ma sono davvero non solo contro la caccia, ma decisamente a favore degli Animali).
Nel dialogo\saggio Il Ricatto Silente si parla del tema della validità o meno dell’insegnamento.

Poi ci sono lettere in difesa della mia attività, della mia persona, che non ho inteso fossero avvilite troppo.

Non mi ritengo una vittima, tamen ‘cupio rerum cognoscere causas’, e quindi sono un cercatore di felicità, altrui e mia.
Credo di avere espresso abbastanza.
Nel 1984 spedii il mio libretto di poesie giovanili, Le Foglie del Nespolo, che forse è nelle vostre biblioteche (tanto più belle e eleganti e ricche -–di volumi – delle mie … ) edito da Quinta Generazione di Forlì.
E’ in biblioteca a Forlì ed a Grosseto (Chelliana).

Nel CD che spedisco e che contiene la narrativa di cui parlo sopra si trovano anche diverse poesie.

**

Debbo permettermi di fare anche osservare che la Vostra Benedizione è assai speciale e comporta anche responsabilità enormi.


Essa è rivolta ‘a me e ai miei’.

Ma chi sono i miei? Solo i miei pochi parenti e amici, o tutti gli Uomini, gli Animali, gli Oggetti stessi del Cosmo?

Nell’anno che è trascorso ho cercato di estendere con la dovuta e ragionevole moderazione di cui sono capace, almeno sul piano formale, a tutto e tutti il Vostro Voto Augurale, il Santo Auspicio, e adesso mi trovo ad avere una Famiglia smisurata, troppo grande per abbracciarla, certo, ma ancora troppo piccola per non essere considerato da tanti un ‘individualista’, e ancora tutta … da conoscere.
Non abbiate paura, che non voglio certo esagerare.

Cercate di stare bene, anzi, benissimo, e se volete conoscermi, mi trovate facilmente in Agosto a Porto Santo Stefano, tel. 0654 \ 818.717, via Aia del Dottore n. 12, o a Grosseto, via Trento 54, tel 0564 \ 29019.

Oppure semplicemente al 328 \ 0474786.

O, infine, dal 1° Settembre, alla Biblioteca Vittorio Fossombroni, via Sicilia 45, Grosseto, tel. 0564 \ 26331.

Di nuovo perdonatemi, e consideratemi pure, absit injuria verbis, il povero e umile ‘professore del Papa’.
Un professore che non Vi costerà assolutamente nulla e che farà anche molti errori per emettervi a Vostro completo agio.

Vi abbraccio e, naturalmente, ut ita dicam … cristianamente e quasi anche di riflesso, nello specchio della Vita in cui le nostre immagini si fondono pur distinguendosi l’una dall’altra perché ‘irripetibili’, con la piccola ‘autorità’ che da Voi stesso mi viene, … Vi considero senz’altro uno dei Miei, decisamente quello di gran lunga il Vero, Solo ed Unico sinceramente Benedetto.


Grosseto, 3 agosto 2004


Gennaro Jacovo

Tel. 328 0474786


***
*

Queste erano alcune delle lettere scritte a Giovanni Paolo II, Pontefice Massimo.
Riguardavano l’esperienza avuta insieme a suo padre, nel maggio del 1971.
In quel periodo il padre era malato.
In un breve soggiorno a Porto Santo Stefano, vide una grande luce sul mare, fra il promontorio e la terraferma.
La notte precedente padre e figlio avevano parlato a lungo.
Antonino era sempre stato un amico, un compagno di sport e di studio.

Il figlio avrebbe continuato sempre a considerarlo tale e lo avrebbe portato sempre con sé, quasi come un compagno di squadra la cui presenza, impalpabile, era evidente solo al suo cuore e agli occhi misteriosi e arcani che vedono quelle cose che in effetti non si vedono, ma restano oltre ogni immaginazione e materialità presenti e vive.

Dopo la morte di Antonino, Louis aveva attraversato un periodo intenso di sbigottimento e di studio.

Aveva fatto il servizio militare.
Subito.
Un’esperienza in parte inutile, visto che a casa c’era bisogno di qualcuno che lavorasse per aiutare la famiglia.

Era partito pe Bari in piena estate.
Con un paio di jeans e una maglietta blu. Una borsa con qualche capo di biancheria ed il necessario per l’igiene.

Dopo un viaggio lunghissimo, di molte ore, era arrivato.
A Bari aveva trascorso un paio di mesi, al Car.

Dopo aveva ottenuto il trasferimento a Porto Santo Stefano.

Usciva dala campo la sera verso le 18.00 e vi faceva ritorno quasi tre ore dopo.
Non usciva quasi per il paese, tranne l’indispensabile.
A quell’ora comunque era notte.
A casa studiava, in vista di qualche concorso, e si teneva in ‘allenamento’ traducendo versioni di latino e di greco.

Oppure faceva piccoli lavori di manutenzione della casa.
***


***
Il giardinetto, piccolissimo ma pieno di piante, richiedeva spesso la sua attenzione.
Specialmente da febbraio in poi. quando il clima di addolciva, la luce del giorno era più duratura e si cominciava a respirare dal mare aria di primavera.

Il tempo del servizio in aeronautica passò e venne autunno.

Louis era disoccupato, con una laurea in Lettere classiche.

Dopo qualche settimana di attesa, ebbe un colloquio col provveditore agli studi a Grosseto e gli fu possibile ottenere un posto nel Cracis, una scuola seralòe per il conseguimento della licenza media.
Dopo qualche settimana, si aggiunse una supplenza in una scuola vicina, un istituto tecnico.
Si trovò bene, quell’anno.

L’anno successivo gli fu preferito un altro docente per il Cracis.
La scelta fu dovuta a fattori ‘politici’.
La proposta del nome del docente era affidata al sindaco.
Il sindaco uscente dovette fare non il suo al nuovo sindaco, e così Louis si ritrovò di nuovo in bianco.

***

Dopo vari mesi di supplenze, accettò un posto alle 150 ore.
Peccato che gli amministratori di Orbetello dimenticarono di chiedere, come avrebbero dovuto e potuto, i fondi previsti per il funzionamento del modulo, che funzionò lo stesso, ma a spese degli utenti e dei docenti, che con molta fantasia spesso e con mezzi improvvisati, ma comunque efficaci e idonei, dovevano procurare a sé e ai loro Alunni il materiale didattico necessario.

Louis in quell’anno scrisse a casa sua, con la sua Olivetti, molte pagine di appunti che poi faceva ciclostilare negli uffici del Comune, a orbetello, per distribuirli poi a scuola la sera.


Fra questo materiale c’era un’ampia relazione sul Corso delle 150 ore, corredata da tutte le letture svolte, dalle monografie di storia italiana ed europea e da una grammatica ‘strutturale’ di taglio generativo trasformazionale che era stata scritta da lui stesso in base alle letture fatte a partire dal corso didattico svoltosi a Livorno in febbraio.







Alla fine di quell’esperienza ci fu il passaggio al Liceo.
Fu quasi imprevedibile.
Aveva iniziato insegnando in un istituto nautico per una supplenza.
Lo chiamarono a telefono dal Liceo.
Lo aspettavano per un incarico di Greco e Arte.

Louis era emozionatissimo quando entrò il giorno dopo nell’androne del Liceo Dante Alighieri.

***
Le classi erano numerose.

Conosceva molti Alunni, che lo chiamavano familiarmente per nome.
In una classe c’era anche sua sorella.
La familiarità che aveva con lei non poteva certo negarla a tutti gli altri.
In effetti non ci fu nessun eccesso, nessuna esagerazione.
L’anno passò tutto sommato in modo tranquilo.
Tranne che per il mese di dicembre.
***
In quel periodo erano iniziati i corsi abilitanti.
Andava spesso a Grosseto, il pomeriggio, per frequentarli.
Una mattina di dicembre, arrivato a scuola, seppe che un Alunno nella notte si era tolta la vita.
Per tutti al Liceo fu un periodo assai doloroso.
Pochi giorni prima, Vieri gli aveva rivolto la parola chiedendogli di poterlo aiutare a portare il videoproiettore.

Louis era sempre carico di libri ed in più portava in classe un videoproiettore con le diapositive che preparava per la lezione, per questo il ragazzo alla fine delle lezioni si era offerto di aiutarlo.

Da allora in poi, Louis non volle mai più essere aiutato da nessun altro, se non in circostanze assolutamente eccezionali.

Quell’Alunni a poco a poco si trasformò in un modello da confrontare sempre con la realtà, così da evitare qualsiasi contrasto con la parte buona del contesto, ma certamente non qualsiasi attrito in assoluto, specie con la parte guasta e corrotta dell’ambiente.
E questa purtroppo non mancava.


***





Nei mesi che seguirono la vita scolastica riprese il suo flusso ordinario.
Le interrogazioni, i compiti, le pagelle, i libri.
Alla fine dell’anno il Preside, un prfessore di lettere classiche assai bravo, decise di risistemare la biblioteca e mise tutti i libri all’aria, ricollocandone la posizione e risistemando lo schedario.
Volle coinvolgere anche fli Alunni e qualche professore in questa sua ambiziosa opera.

Ricordo di essere rimasto per ore con lui che mi porgeva i testi dal basso a sistemarli, arrampicato su una scala, negli scaffali della biblioteca liceale.
Di lì a qualche anno avrei dovuto fare la stessa cosa, e da solo, quando il Liceo si sarebbe trasferito da via Dante a via Pola, nella periferia, ospite dei locali della scuola media.

@#@

Alla fine dell’anno, dopo aver preso tutte le abilitazioni all’insegnamento che mi era possibile per il Corso che avevo frequentato, mi sentii come svuotato per l’impegno e la fatica di tanti kilometri fatti, di tante energie spese per un obiettivo, tutto sommato, eccessivamente ambizioso.
L’anno dopo, dovendo scegliere di nuovo la scuola, riuscii a evitare il Classico, che per me era francamente troppo e troppo lontano.
Mi era stato proposto il triennio al Liceo Classico di Grosseto. Avrei dovuto insegnare nella cattedra di Bonino, Rabiti e Corrieri, mio preside l’anno prima.
Il preside della biblioteca.
Francamente, mi attraeva poco dovermi votare interamente al latino ed al greco.
Mi pareva quasi di allontanarmi dalla vita reale, dal presente, rifugiandomi in un mondo irreale e allegorico quale quello della splendida retorica mitografica della cultura classica, apotropaica, catartica e persino terapeutica nella sua catartica trasfigurazione paradigmatica della realtà quale è quella che si vede.
Direbbe Montale.

Beatrice, mia sorella, era andata a studiare a Siena, e praticamente quella sarebbe diventata in breve la sua effettiva residenza.
Sapevo, sentivo che non sarebbe ritornata se non per ripartire subito.
Restai con Mamma e con il quaderno e le lettere di papà Antonino.
Non potevo assolutamente allontanarmi, trasferirmi, avrei commesso una leggerezza.
Mamma, lo sapevo, era l’unica persona a cui avrei potuto essere in qualche modo utile.
Se non altro, per facilitarle la vita sbrigando le faccende essenziali, aiutandola negli spostamenti indispensabili, anche cucinando e provvedendo alla spesa, che facevamo insieme.


Insomma, potevo darle quel minimo di decoro e di comodità che senza me forse non avrebbe avuto, ma probabilmente ero anch’io ad arricchirmi del suo esempio, della sua razionale saggezza, complementare rispetto alla generosità quasi fanciullesca di mio padre ed alla mia irragionevole e sfrenata inconsapevolezza.
Quando si usciva per la spesa settimanale, mamma scriveva su un fogliettino quanto fosse necessario comprare.
I fogliettini, forniti da me, ritraevano Snoopy con la racchetta da tennis, oppure Lucy, ed il blocchetto dei fogli restanti si trova ancora a casa, in qualche armadio.
Su una lavagnetta appesa nel mio piccolo studio, da tanti anni ancora è scritta una di queste liste, per giorni di festa, col gessetto verdolino.
Anche da me qualcuno è partito, e si può dire che non ne escluso il ritorno, e quasi lo aspetto sempre, specie di sera, lasciando qualcosa appoggiata nell’armadio, su uno scaffale, come se dovesse riprenderla da un momento all’altro.


***


Ho imparato negli anni a venire, quando per aver fatto troppo compagnia a tutti sono rimasto veramente solo, a ricevere sempre la venuta di chi non ritorna.
Ho imparato che non è vero, che può ritornare e non andare mai via, restare, presenza diafana e impalpabile, di ricordi e di inconsapevole memoria, quasi immersa e viva non dentro gli occhi, nemmeno nell’anima e nel cuore, ma in tutte le cellule, che hanno anch’esse una vita proprio, e direi un loro cuore ed un’anima diversi e simili all’anima ed al cuore di tutto l’individuo.


Una persona rimane per sempre, anche se va via per sempre, e può essere dimenticata, eppure restare ed essere respirata, vissuta, contenuta.
Può ogni giorno uscire con te, andare al lavoro, salire in bicicletta accanto a te e pedalare, u nuotarti accanto, sciare, correre e volare con te, sopra le nuvole, con il pensiero, con le rondini, con un aereo.

***
Può volare accanto a te fuori dal finestrino della tua auto, del tuo aereo, o sederti accanto, senza che tu lo sappia, senza che tu possa o voglia ricordarti di lei.

***

Così tutti siamo sempre insieme.
Chi resta e chi parte.
Chi torna e chi non ritorna più.
In fondo, anche chi resta, anche soltanto se e proprio perché non parte non può ritornare ...


***


Le cose ci parlano di chi le ha possedute, di chi le ha amate possedendole non solo per il gusto di averle.

Chi ama qualcosa, le dà una vita, la rispetta come una persona, la cura e provvede alla sue esigenze.
E’ importante ‘essere’ la cosa, lo strumento, che si possiede, più che possederlo e averlo.

Così il musicista ‘è’ il suo strumento e la sua musica, il medico è strumento e farmaco, l’insegnante è la sua penna e la sua carta, la sua frase, Dio è l’ordine del suo Universo, il Logos, la Struttura stessa della materia, gli Angeli sono parola nuova e messaggio, il padre è il figlio e il figlio è tutto quel che il padre compie in lui e per mezzo di lui.

Così noi tutti siamo quasi una sola cosa e una sola persona, legati da una miriade di legami e di vincoli e la solitudine e la morte non sono che due momenti arcani per mescolarci con il tutto, senza privilegiare nulla e nessuno.

Quando siamo soli, nessuno è con noi e noi possiamo essere in eguale misura insieme a tutti e a tutto.

Quando uno di noi muore, ciò che era la sua materia si fonde di nuovo con tutte le cose, torna polvere e oggetto fra la polvere e gli oggetti, ritorna alla sorgente, diventa cosa senza un volto, non più maschera, ed in questa estrema comunicazione si esaurisce lo spettacolo sulla scena dell’uomo, visto che ‘persona’ era anticamente la maschera degli attori teatrali.
L’uomo quindi è sempre in comunione con tutta la realtà intorno a sé.

Quanto volle far capire Cristo, ai suoi discepoli.

Che Lui era sempre con essi, e che dovevano assaggiare il pane ed il vino insieme, nella comunione del ricordo delle Sue Parole, e realizzare il cuore della legge, ossia ... amarsi come fratelli ... e realizzare quindi realmente la giustizia, la pace.




Per molti, questa raccomandazione si era trasformata alquanto sbrigativamente nell’atto di assaporare un’ostia come se fosse la carne di Cristo, mettendo in secondo piano la valenza sociale e politica della sua frase profondamente allegorica, come del resto tutto il Suo modo di parlare ... ‘questo è il mio corpo, fate questo in memoria di Me ...’, ove si può intendere che il ‘corpo’ è, sì, lo stesso Dio, o Cristo, ma come parte di quell’Universo di cui ha voluto far parte, di quella materia in cui torneremo un giorno, per mescolarci ancora con essa, come nella Madre primigenia.





Il pane è l’antonomasia del nutrimento, quindi simboleggia, è vita e lavoro e Cristo è il Figlio, ossia l’essenza stessa del Padre, creatore della materia e generatore del Figlio stesso.


Il Padre ed il Figlio partecipano, sono in ‘comunione’, rappresentano una ‘unione comune’, e noi possiamo partecipare insieme ad essi a questa unione, alla comunione quindi con la materia, con lo spirito, sua natura complementare e collaterale, con Dio stesso e con Cristo, e possiamo quindi e dobbiamo volere essere uniti ai nostri fratelli, generati insieme a tutta la materia e a tutto lo spirito, ma dobbiamo insieme a tutte le creature viventi amarli, servirli, altrimenti tutto il nostroatteggiarci solamente liturgico diviene una vuota ed ipocrita formalità, tanto più dannota in quanto può ingannare chi ci vede e può essere fuorviato dal nostro atteggiamento lontano dall’indirizzo sociale delle parole di Cristo.



@r@r& …




Lettera a Walter ...


Prof. Gennarino Luigi di Jacovo
ITC VITTORIO FOSSOMBRONI
Via Sicilia 45 – 58100 Grosseto
Tel. 328 / 0474786

Walter Weltroni
Sindaco
Roma
Sindaco Veltroni,

Sono un insegnante.
Nato a Pietrabbondante, centro sacro dei Sanniti, nel Molise, il 22 ottobre 1947 da Antonino Di Iacovo (1913 – 1971) e Ines Rosaria Carosella (1912 – 1993).
Mio Padre era prima Segretario Comunale di Pietrabbondante, oltre che di altri paesi molisani, in seguito di Monte Argentario, fino al 9 luglio 1971.
Una vita spesa per la gente comune del Molise e della Maremma.

*
Felix qui potuit rerum conoscere causas …

Nel 1972/73 ho svolto servizio militare im Aeronautica.
Dal 1973 al 1975 ho insegnato lettere nella scuole serali CRACIS e 150 ore.
Ho insegnato poi nell’ITI Porciatti di Grosseto, nell’IPSIA di Arcidosso, sezione per le attività marinare di Porto S.Stefano (GR).
Infine lettere nel ginnasio e nel liceo classico DANTE ALIGHIERI di Orbetello GR.

In particolare el 1995 ero docente di lettere, latino e greco, nel Liceo Classico statale Dante Alighieri di Orbetello GR, quando Luigi Berlinguer era Ministro dell’Istruzione..
Sei anni prima ero stato presid del Dante Alighieri..
Fui nominato a scuola referente alla salute ed il 12 dicembre, di ritorno da un corso di aggiornamento a Siena, ove avevo ascoltato il Professor Piero Cattaneo, sulla Carta dei
Servizi nella scuola, ebbi l’incarico dal Collegio dei Docenti della mia scuola di redigere la Carta dei Servizi, come allora si chiamava, insieme ad altri nove colleghi.
Passarono i mesi.
I miei colleghi, presi dai loro impegni, lasciarono che da solo io completassi il lavoro per nulla semplice, se ne esiste uno che lo sia, fatto sul serio.
Ero d’accordo per l’incentivazione del lavoro stesso con il preside, Gerardo Palermo.
Man mano che l’opera veniva completata lo informavo per iscritto delle ore impiegate.
Tengo a dire che lavoravo per la Scuola, in questa Repubblica per cui ho giurato fedeltà, per il Collegio dei Docenti da cui fui designato, ma dovevo necessariamente riferire al Preside, e lo feci per iscritto facendo protocollare tutte le mie comunicazioni, come si può controllare nella segreteria del Dante Alighieri.
Le ore da me svolte, computate nel numero di 137,00 dallo scrivente e nel numero di 110,00 dal preside Signoretti, lucano di Viggiano PZ e subentrato al Palermo, con attestato del 4 novembre 2000, sono state messe parzialmente in pagamento nel luglio scorso, per un numero di 24 ore su 110 in pagamento, dopo sette anni di attesa e numerose mie richieste.
Mentre lavoravo alla Charta dei Servizi avevo sottoposto il manoscritto, elaborato al computer di casa mia, non essendomi concesso quello di scuola, all’attenzione del professor Piero Cattaneo, a quel tempo collaboratore del Sottosegretario alla P.I., che giudicò positivamente il lavoro, esortandomi a continuare, come poi ho fatto, per migliorarne la parte progettuale. Valutazione positiva era stata espressa anche dalla Tecnica della Scuola, qualificato e diffuso periodico scolastico.
Giunse aprile e la Carta fu letta al Collegio, che diede un’approvazione complessiva dopo aver apportato delle varianti al mio testo, tanto da spingermi ad un ulteriore puntiglioso impegno di revisione, ad un oraziano, poeta apulus an lucanus, labor limae..
Durante l’estate del ‘95 continuai a lavorare intensamente sul testo e lo modificai in base alle varianti volute dal Ministero Luigi Berlinguer.
Mutò il titolo, che divenne: Charta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola.

Il testo della Charta dei Servizi e della Charta dei diritti e doveri nella scuola è stato da me nel giugno del 2000 spedito in Provveditorato al prof. Gentili.
Il 26 luglio spedii il testo definitivo al preside, che però non riuscì o non volle darmi nessuna risposta, lasciandomi nell’incertezza. Incertezza che dura ancora.
A settembre cambiò il preside.
Giunse dalla Lucania Antonio Signoretti, di Viggiano.
Fui assegnato alla sezione del liceo linguistico del liceo. Persi così l’insegnamento del greco, con grande dispiacere, a dire il vero, tanto più che nella scuola dove ero c’era la possibilità di conservarmi in tale incarico senza danno per nessuno dei miei colleghi.




Informai il nuovo preside della opportunità di provvedere alla approvazione definitiva della Carta, ma nel volgere di un paio di settimane mi trovai a fronteggiare una situazione di contestazione degli studenti e dei loro genitori nei miei confronti.
Dopo due decenni di rapporti ottimi con Genitori, Alunni, Docenti e Provveditorato.
Questo accadde forse, ma non lo direi con assoluta certezza, a causa del mio atteggiamento intransigente nei confronti di quel costume, piuttosto diffuso nella scuola. che trasforma l’apprendimento libero e facilitato in insegnamento condizionato e mediato, con i mille compromessi e preconcetti economico familiari che ne conseguono.
Chiamo questo atteggiamento in genere ‘ricatto silente’.
Ho scritto un saggio in proposito.
E’ difficile spiegare questo concetto in poche parole.
Per esser breve: attività privata e attività pubblica si mischiano impropriamente nella nostra scuola.
Insegnanti si arricchiscono in certi casi organizzando a casa vere e proprie scuole private, col tacito assenso e beneplacito di tutti, comprese le ‘autorità’ scolastiche.
Altri docenti, onesti e leali, che seguono la legge, vivono ai margini dell’ indigenza.
Altri infine sono commercialisti, ingegneri, avvocati, tecnici che passano qualche ora a scuola ed il resto nei propri uffici e studi, esercitando due, tre mestieri o professioni.
Tutto questo fa della scuola un carrozzone di opportunistii. Mi si perdoni.
A tutto questo mi sono sempre opposto.
Posso tuttavia dire di essermi astenuto sostanzialmente dalla pratica assidua e organica del ‘ricatto silente’.
Non si può riformare la scuola, penso, se non si fa massima chiarezza su questo.
Come del resto è stato fatto nel settore sanitario, mi pare. Almeno nominalmente.
Un solo mestiere, una sola paga.
Scegliere: o la scuola comunitaria, o l’attività privata.
Così si apre la scuola ad insegnanti veri e si chiude agli opportunisti di lusso, agli ineducatori. Si apre oltretutto la porta della scuola ai Giovani docenti.
Se poi a questo si aggiunge che l’intera Scuola è ormai sede di funzionari, impiegati e custodi che purtroppo obbediscono solo alla legge del ‘fare il minimo e solo quello che massimamente piace’, come si sente dire da loro stessi, si capisce che una vera riforma scolastica passa dall’accettazione dell’idea che il servilismo, il pettegolezzo e l’ipocrisia non possono sostituire la laboriosità e la collaborazione.

Nell’ottobre del 1996, viste le mie idee e probabilmente le mie parole ‘moralizzatrici’, fui denunciato in base ad accuse bizzarre, come quella di ‘aiutare’ gli alunni durante i compiti, di ‘parlare greco’, di ‘parlare’ di mia Madre e del mio cane, il buon Argo, un pastore che definirei ‘molisano’ o ‘europeo’, perché è un mixer di vari tipi canini: pastore belga, tedesco, maremmano et cetera. La ‘denuncia’ fu scritta su un foglietto di quaderno dai miei alunni di 2^ classe ginnasio sperimentale linguistico in un’ ora in cui erano usciti dalla mia aula, senza la mia autorizzazione né il mio consenso, prelevati dal preside e portati al piano superiore.
Ma parlavo di Argo, che è grosso, nero con le zampe avana. Mi è stato donato da un medico orbetellano, il dott. Martinozzi, la cui figlia Lucia è stata mia alunna al Ginnasio e al Liceo Dante Alighieri. So apprezzare i buoni farmaci dei buoni medici.
E Argo è proprio un … farmacone. Uno sproposito nero avana di medicina.
Non mi ha mai abbandonato, in questi anni di ostracismo e di esilio didattico. Lontano dalla mia casa, dalla piccola casa di mia Madre e di mio Padre, sull’Argentario, che solo di rado purtroppo posso rivedere, avendo preso la residenza a Grosseto proirpio a causa delle vicende che descrivo. Per me quella casa stessa è un Tempio.
Fui interrogato dalla polizia nella stanza della presidenza, dove avevo lavorato per il ‘mio’ liceo, per i ‘miei’ Alunni, e dovetti essere di nuovo interrogato in Procura a
Grosseto il giorno del mio compleanno. Il 22 ottobre 1995. Quel giorno trascorsi le uniche ore serene di quell’intero anno scolastico. Parola mia.
La polizia è stata cortese e corretta con me.

Il 6 novembre fui cautelativamente sospeso dall’insegnamento.
Precedentemente c’era stata la visita d’un ispettore, il prof. Lupi, inviato dal provveditore, dott. Salvatore Cinà. Fui ascoltato a lungo. Sempre in presidenza. Fui ascoltato mentre spiegavo in aula di fronte alla 2^ ginnasio sperimentale linguistico. Il risultato dell’ispezione mi fu reso noto in provveditorato, a Grosseto, molti mesi dopo.
Mi si riconosceva una notevole cultura. La cosa era irrilevante, come mi accorsi, ma mi fece sapere leggerlo.
E senza tener conto del fatto che in quei giorni non potevo svolgere la mia normale attività scolastica a causa del disturbo enorme arrecatomi da una violenta e insolente campagna sulla stampa locale (Michele Casalini della Nazione, giornale per altri motivi a me caro). Sull’Unità venni invece difeso da una giornalista locale, Cristina VAIANI.
Tuttavia la relazione dell’ispettore si chiudeva con il suggerimento di una censura per me e d’un breve periodo di sospensione. E su questo sarei stato persino d’accordo.
In quelle settimane, però, mi si lasci dire, mi era effettivamente impossibile seguire ordinatamente i programmi, cosa che ho sempre fatto prima in tutti i miei anni di servizio.
Il clima intorno a me era esasperato. Rovente. Da deserto.
Lo stesso ispettore definì ‘sguaiata’ la contestazione nei miei confronti.
Per questo motivo l’ispezione trovò una situazione volutamente resa ingovernabile dai genitori degli Alunni, che picchettavano la Scuola non so con quale autorizzazione, con atteggiamento di opliti o di gladiatori.
Mi si fece capire che qualcuno era armato. Certo, non di buone intenzioni.
Si pretese anche che il preside assistesse alle mie lezioni per controllare quel che dicevo.

Un sannita controllato in Toscana da un preside lucano. I Lucani erano una … tribù sannita.
E il grande Quinto Orazio Flacco era per metà apulo, per metà lucano, come lui stesso dice.
Nel frattempo il preside in questione, Antonio Signoretti da Viggiano (Potenza) aveva richiesto la visita medica collegiale, a mia insaputa, come extrema ratio.
Iniziò un penoso periodo di attesa da parte mia, lontano dalla scuola, privato di informazioni d’ogni genere, senza parenti, solo con il mio pastore belga, Argo.
Nessuno della scuola mi ha cercato né telefonato, se non un paio fra i docenti che più degli altri mi avevano ostacolato in ogni modo, scaricandomi addosso nel passato assai astutamente, fra l’altro, ogni genere di lavoro, compreso quello della Carta.
Quel periodo di relativa inattività della mia carriera scolastica è compensato da una continuità assidua nel prestare servizio con pochissime assenze e col l’aver provveduto all’insegnamento nel periodo in cui ero preside, fin quasi a Natale, visto che non arrivava la prof.ssa Daniela Giovannini che fu poi la mia supplente.

Nel 1986 avevo subito un attacco analogo, ma più limitato, alla persona.
Un pestaggio ad opera d’un gruppo di giovani di Orbetello, porto S.Stefano e dintorni.
Ne ero uscito un po’ malconcio.
Ero di ritorno da un colloquio con un professore che mi aveva dato alcuni consigli, ma il ritorno era stato infausto per me.
Perdonai quei giovani.

Il 12 novembre 1996, riprendendo il discorso di prima, fui sottoposto a visita medica dalla commissione collegiale.
Un incontro che ben poco mi parve avere d’una visita medica. Un veloce e sbrigativo colloquio.
Si tenne solo conto di quanto comunicato dalla mia scuola. Eppure era stata chiesta una visita medica collegiale. Mi fu addirittura chiesto di portare successivamente un certificato medico che attestava come io soffrissi del disturbo bipolare.
Umore alto e umore basso.
Era la prima volta che ne venivo a conoscenza, fra l’altro.
Ancora adesso sorrido pensando che, dopotutto, persino il nostro Paese è bipolare.
Politicamente.
Anche … la Terra. Geofisicamente. E molte altre cose e persone.
Non mi fu comunicato nulla dai dottori fino a febbraio 1996.
Fui invitato in quel mese a scuola ove il preside Signoretti mi tenne a disposizione, usandomi come supplente in varie classi.
La mia ultima lezione al liceo, in terza, fu sulla satira latina, da Lucilio a Giovenale.
Avevo scritto un saggio sul tema, dedicandolo a mio Padre Antonino.
Molti miei saggi, sul mito, la linguistica, Pavese, la questione meridionale, intellettuali e fascismo et cetera sono stati pubblicato fra il 1973 ed il 1980 sulla Rivista Letteraria Alla Bottega di Milano, via Plinio 38, direttore … Pino LUCANO.
Così, su richiesta degli Alunni, in un giorno di febbraio ho dato il mio addio al ‘mio’ liceo. …

Successivamente il preside mi utilizzò in biblioteca, qui feci un moritoraggio dei volumi presenti e di quelli assenti.
Lo conservo.
Il preside non lo volle. Lo lasciai alla scuola per lui.
Spolverai le scaffalature (come De Sanctis insegna, e come raccomanda anche Antonio Gramsci, cerco di alternare lavoro intellettuale e lavoro manuale).
Un professore, docente di italiano e latino del liceo classico, mi vide e mi raccomandò di pulirgli un tratto di scaffale perché doveva appoggiarvi dei giornali.
E’ per i ‘docenti’ come lui che si è dovuto scrivere la ‘ Charta dei servizi’.

Pulvis et umbra sumus. Sicut pulvis et umbra vita hominis super terram.
Siamo polvere ed ombra.
Come l’ombra e la polvere è la vita dell’uomo sulla terra.

Il ‘professore’ mi incaricò di spazzar via … l’umanità.
Sono lapsus, non sempre la preparazione degli insegnanti è perfetta.
Capii che per me la salita era molto dura.
Ma da buon ciclista strinsi le mani sul manubrio.
A questo punto il preside mi fece tornare a casa.

A maggio fui assegnato al distretto scolastico di Orbetello come coordinatore dei servizi di biblioteca di tutto il distretto.
Una bazzecola. Il distretto di Orbetello – n° 37 – è enorme.

L’ufficio che mi fu assegnato, e dove restai per oltre un anno per sei e più ore al giorno, era privo dei servizi igienici.

Non ho mai compiuto che pochissime assenze.
Non avrei neppure potuto chiederne permesso, visto che ero totalmente solo.
Cominciai a prestare il mio servizio alternando ore in ufficio ad ore presso la sede ufficiale della segreteria del distretto, nell’Istituto Professionale Raffaele del Rosso in via Carducci in Orbetello GR.

La Procura della Repubblica di Grosseto mi considerò innocente, nel maggio del ’98, dalle accuse degli alunni della seconda classe del liceo classico sperimentale linguistico, contenute nella denuncia del 2 ottobre, di cui ho parlato sopra.


Il professor Di Iacovo è rimasto in servizio nonostante la contestazione degli alunni … si legge nella comunicazione della Procura della Repubblica di Grosseto, relativa al mio caso, del maggio 1998.
Praticamente un elogio alla mia ‘resistenza’.

A proposito di Resistenza, un lontano parente, fratello di mia zia Irene, Ettore Arena, fu fucilato dai nazifascisti in Forte Bravetta a Roma il 2 febbraio 1943, se non erro.


Purtroppo però avevo già fatto domanda per lasciare il liceo, in vista del matrimonio con una insegnante di sostegno di Grosseto, Anna Maria Vittori,conosciuta nella biblioteca del Professionale di Orbetello, e così all’inizio del successivo a.s. passai ad insegnare italiano e storia nell’Istituto Prof.le Raffaele del Rosso di Orbetello GR..
Nel frattempo mi ero sposato e trasferito a Grosseto, ove tuttora risiedo.
Successivamente passai all’ Istituto Prof. le Luigi Einaudi, sezione Alberghiero, di Grosseto, ove insegnai per 19 ore settimanali, mentre i miei colleghi avevano cattedre di … dodici ore o poco più.
Fui poi trasferito ‘definitivamente’, come mi scrissero dal provveditorato, all’ IT Agrario Leopoldo II. Altro illustre uomo politico toscano, benefattore della maremma ed … esule.

Qui consegnai perché fossero inseriti nel sito dell’Istituto certi miei appunti su dischetto, una grammatica italiana in edizione normale ed il html, un poemetto sulla produzione dell’olio scritto da alcuni alunni del sostegno e da me sistemato in endecasillabi,e la Carta dei diritti e dei doveri nella Scuola, ma qualcosa non funzionò.

Alcuni docenti riferirono al preside incaricato, Alfonso De Pietro, che ero stato troppo insistere con loro nell’informarmi sulla costituzione del sito, che detto fra noi non è ancora pronto oggi dopo tre anni, e così per questa bizzarra delazione, secondo una prassi abituale nelle nostre scuole (Altan direbbe ‘mi sembra tutto anticostituzionale …) mi ritrovai ancora dopo alcuni mesi di fronte alla commissione medica collegiale.
Altra ‘visita’ che visita medica non era, ma solo un rapido e frammentario colloquio, ed altro parere affermativo per l’impiego ad altra mansione.
Siamo quasi alla conclusione ‘clinica’ della mia storia.
Fui assegnato all’ Istituto Tecnico Commerciale Vittorio Fossombroni in Grosseto, scuola ove ero stato peraltro trasferito indipendentemente come docente.
Per oltre un mese fui tenuto in vicepresidenza, senza nessuna specifica mansione, quasi dimenticato ai bordi del tavolo della vicepresidenza. Poi, il 7 gennaio 2002, fui accompagnato in biblioteca dal direttore SGA, capo della segreteria..

Qui mi sarei trovato bene, così pensavo, ingenuamente.
Amo i libri, ho lavorato spesso in biblioteca, nel Liceo di Orbetello, nel Professionale della stessa città usando anche procedure informatiche (ISIS e similari) al Distretto scolastico sempre di Orbetello. Persino a casa mia.
Invece il bibliotecario, che si trovava e che si trova tuttora lì, non vedeva di buon occhio la mia presenza nella sala frequentata peraltro da rarissimi utenti.
Gli armadi dei libri, ermeticamente chiusi a chiave, impedivano a me, escluso ad arte dal possesso delle opportune chiavi, persino di consultare i libri.
Dopo molti mesi di lavoro in tal modo condizionato, nell’ottobre scorso, fui volontariamente trasferito provvisoriamente nei servizi di segreteria.
Tuttavia le mie mansioni non erano state ufficializzate da nessun ordine di servizio scritto se non il 20 maggio, giorno in cui il segretario della scuola, non il preside, con lettera di incarico prot. 1401/C1 mi aveva assegnato la gestione dei viaggi d’istruzione.
Alla fine dell’anno scolastico e solo per quest’ anno, fino a settembre.

Per questo motivo alla ripresa dell’anno scolastico ho fatto ritorno in biblioteca, dopo avere informato della mia condizione, e presumo della condizione dei docenti che si trovano nella mia stessa situazione, il Provveditorato, il Ministero dell’Istruzione ed un gruppo di uomini politici, fra cui Lei.

Il mio intento non era quello di ottenere vantaggi immediati per me, quanto quello di far conoscere la condizione di lavoro di un docente considerato modello fino al 1996, amato dagli Alunni e dai Genitori, in possesso di quattro abilitazioni, privato all’improvviso dell’insegnamento e trasformato in un lavoratore senza più diritti, messo alla berlina, disprezzato e schernito.
Adesso a poco a poco sto riacquistato una qualche parvenza di dignità

Dopo aver scritto una Carta dei diritti e dei doveri, ho conosciuto quella condizione di lavoro che un tempo era la schiavitù, e sono in buona compagnia.
Molti prima di me sono stati chiavi, e sanno cosa vuol dire non avere altro che doveri.

Nella biblioteca dove lavoro, in orario notturno per quattro giorni a settimana e mattutino per due, non si acquistano libri da anni.
Internet dovrebbe essere installato, ma il filo faticosamente portato in biblioteca viene usato con un impianto direi abusivo da un ufficio attiguo.
Non c’è telefono.
Scarseggiano le sedie, i tavoli sono quelli di scarto per i computer.
Le mie numerose lettere scritte alla preside sono considerate perdita di tempo.
Non c’è un regolamento.

Mi si dice sempre: non ci sono soldi. Non bisogna avere fretta …
Ricevo spesso invito espliciti ad andarmene in pensione.
Rispondo che preferisco l’albergo.

Comunque, non vorrei drammatizzare. Non ho in programma di arrendermi, né di andarmene.
Da molti anni quando insegnavo non bocciavo più, e non rimandavo nessuno.
Avevo già fatto da dieci anni la mia riforma della scuola.
Naturalmente questo comportava un impegno enorme durante l’anno.
Nessuno dei miei Alunni ha mai fatto figuracce.

Quando sono solo, a scuola, la sera fin quasi alle 11.00, senza dirigente né sua vice, con qualche classe del serale e un paio di custodi che guardano la televisione, mentre nella grande biblioteca luminosa piena di libri di economia lavoro al computer o scrivo sul libro dei prestiti, o studio biblioteconomia, o leggo poesie, o, chissà, rileggo il Gabbiano Jonathan Livingstone, che mi regalò zia Therese a Roma trent’ anni fa e più, anche se nessuno lo sa, ed io lo penso a stento, sono l’ufficiale più anziano sulla nave, e tutto fila tranquillo, tutto va bene, e ogni tanto mi viene in mente di salire in alto, sul ponte, nel caso si scorga bianco, immenso nell’acqua blu e gelida il volto d’un iceberg gigantesco.


Ma sotto le luci bianche di Biblios, la grande nave dalle potenti turbine, carica di sapere e di apprendimento da trasbordare oltreoceano, vedo solo i delfini che ci seguono e che indicano una totale assenza di pericolo.


E’ necessario studiare, organizzarsi e, perché no, anche agitarsi, ossia essere in movimento.

Penso che Antonio avesse proprio ragione.
***
Credo di averLa annoiata abbastanza.
Si ricordi di tutti noi, Segretario (mio Padre era un meraviglioso Segretario Comunale, molisano, dal 1966 al 1971 Segretario di Monte Argentario GR), non scrivo solo per me.
Scrivo anche per il mio collega, che adesso non mi tratta come due anni fa.
Il mercoledì mattina presto servizio all’Ospedale di Grosseto come volontario.
Lì devo aiutare come se fossi un parente sbucato da chissà dove, un amico ritrovato.
Fare umili e semplici cose.
E non essere malinconico né preoccupato.
Parlare poco, ascoltare storie di animali, di letture.
Parlare magari di Bianciardi o di Baricco, prendere dei libri nella biblioteca dell’ospedale, convenzionata con quella comunale.
Credo che andrò sempre più spesso in ospedale.
Comincio a volerGli un gran bene, come se fosse la grande biblioteca … anzi, parentoteca o … amicoteca.

Oltre al dialogo il Ricatto silente, ho scritto un romanzo: Hirundo e ne sto scrivendo un altro: Rufus il guerriero.


Vivissime cordialità, Sindaco.

Grosseto, 13 novembre 2003



Gennaro Luigi di Jacovo


Scuola: ITC V.Fossombroni - Servizi Biblioteca
via Sicilia 45 - 58100 Grosseto

Abitazione:
Via Trento n. 54 - 58100 Grosseto -
tel.328 / 0474786


Gennaro di Jacovo
ITC V.Fossombroni \ via Sicilia 45
Servizi Biblioteca
58100 Grosseto
tel. 328 0474786
Romano Prodi
Bologna

Carissimo Romano,
Ci siamo conosciuti a Porto S. Stefano nel 1983, un sabato pomeriggio. Mi presentai un po’ sfacciatamente in una strada in salita del paese dell’Argentario dove abitavo con mia madre e mia sorella.
Ti scrissi nel settembre del 1996. Mi rispondesti molto cordialmente. Ti avevo mandato un mio piccolo libro di poesie, ‘ le Foglie del Nespolo ’.
Eri ancora Capo del Governo.
In quel periodo insegnavo da poco nel Liceo Linguistico del Liceo Classico Dante Alighieri di Orbetello GR.
Mi aveva scritto in quel periodo anche il Vaticano, visto che avevo spedito al Santo Padre, allora ricoverato al Gemelli per accertamenti e per un piccolo intervento, un plico contenente un manoscritto di mio Padre Antonino.
Il manoscritto parla della sua vicenda di paziente in ospedale ad Orbetello e a Roma e di una sua speciale esperienza mistica.
Dopo aver ricevuto le due lettere, la tua e del Vaticano, per una bizzarra coincidenza ebbe inizio una contestazione forte e priva di qualsiasi ritegno nei miei confronti.
Avevo appena ultimato la stesura per la mia Scuola della Carta dei Diritti e dei Doveri, che è tuttora in vigore nel Liceo Dante Alighieri.
Nel giro di poche settimane, accusato di cose assolutamente non vere con la tacita complicità della stessa Scuola, prima ancora che la Magistratura mi dichiarasse assolutamente estraneo ai ridicoli fatti di cui mi si accusava (aver aiutato gli Alunni, aver parlato di mia Madre in classe, aver rivolto alcune critiche al contesto), fui sottoposto ad una visita medica che a mio parere poco aveva di medico e dichiarato non idoneo all’insegnamento.
Fui lasciato nella più assoluta solitudine per sette mesi almeno e infine, nel maggio del 1997, utilizzato come coordinatore di tutte le biblioteche scolastiche del Distretto n. 37 di Orbetello.
Un Distretto scolastico molto vasto.
L’ufficio che mi fu attribuito era privo di bagno, di servizi igienici.
L’unico essere direi umano, a Dio piacendo e sono sicuro che piace, che mi fu vicino in quei mesi durissimi e disumani fu Argo, il mio pastore belga. Abbiamo qualcosa di belga in comune, come vedi.

‘Sono a conoscenza della tua attività
di professore poeta …’
… dicevi nella Tua lettera del settembre del 1996.

Ebbene, da allora ho dovuto lasciare Porto S. Stefano, la mia casa, dopo che Mamma è morta, venire a Grosseto ed affrontare umiliazioni assolutamente gratuite, accettare di occuparmi della biblioteca di un Istituto Commerciale, piena di libri di economia, mentre prima il mio lavoro era insegnare latino e greco.
Ho dovuto adeguarmi.
Computerizzarmi, anche se nella stanza delle ‘mia’ biblioteca c’è un’aria retrograda, manca telefono, Internet e tutta la Scuola, come vedo, non solo il Fossombroni, tratta i libri come fossero merce pericolosa. Passo il tempo a chiedere, suggerire cose elementari che non vengono concesse. Ogni mia iniziativa è mortificata. Eppure procedo con ogni prudenza.
Seguo gli insegnamenti di mio Padre. Altri seguono l’estro comune.
Mio Padre amava lo studio delle lingue.
Era un ciclista formidabile, specie in salita, ai tempi della ruota fissa, delle strade sterrate e di rapporti unici e spaventosi, per le salite del Molise, dell’Alto Molise.
Io sono stato un suo umile figlio e servitore, una specie di gregario, come si diceva di certi ciclisti un tempo.
Non conosco che un po’ di molisano e di italiano.
E naturalmente un po’ di latino e greco.
Non mi hanno permesso di restare al linguistico, sette anni fa.

Ho seguito le tue imprese in bicicletta, nella maremma, a Santa Fiora e sul Pordoi.

Ero a Porto Santo Stefano, la mia … Capitale, questa estate, per riprendere il mio Regno e le mie Salite dopo cinque anni di pianura maremmana.

Non posso offrirti più il mio contributo per le tue escursioni in bici, come feci sette anni fa. Sei pieno di amici ciclisti. Dilettanti e professionisti.
Vado da solo.
Non scandalizzarti, ma mio Padre è con me.
Davanti. Lo seguo a una certa distanza.

Ha una Legnano amaranto, rosso scuro, con un rapporto spaventoso. Come Ti dicevo.

E’ vestito di bianco e di celeste, come me, che ho anche un giubbetto giallo e una bici Bianchi blu chiaro.

Sento che sarai di nuovo Primo Ministro.

Ti darò qualche dritta per la Scuola, se vuoi.

Ho scritto un saggio per pochi amici sul sistema educativo italiano.
Non credo che ti farebbe molta pubblicità. E’ un po’ forte. E’ in salita.
Oltre a questo, ho scritto un romanzo, Hirundo, sull’informatica e le sue conseguenze.
E’ un po’ ‘fantascientifico’.
Adesso sto scrivendo un altro ‘romanzo’, Rufus il guerriero.
Non so come finirà.

Ma finirà.

Tempo fa mandai le mie poesie a Massimo D’Alema.
Le apprezzò.
Una diceva:

Quando vedi i primi piccoli ulivi
sulla strada tortuosa
tu sai d’essere giunto
alla tua casa

Credo di averti detto quasi tutto.
Dimenticavo i consigli per la scuola:

1. i docenti è bene che abbiano un solo lavoro e che si dedichino solo all’insegnamento. Attualmente alcune categorie di insegnanti hanno la possibilità di svolgere più lavori, e questo è assurdo. Largo ai giovani in cerca di occupazione in possesso delle attitudini e di tanta voglia (io ho quattro abilitazioni all’insegnamento, ma lo Stato mi utilizza per custodire libri, senza consentirmi un attivo interessamento nei rapporti con tutta la Scuola ed Enti Locali e senza fornirmi mezzi per svolgere una efficace opera di operatore bibliotecario: la mia biblioteca al Fossombroni di Grosseto non ha Internet, ripeto, né telefono, né fax o fotocopiatrice, al contrario di altre, non è collegare in rete con altre biblioteche cittadine, non acquista testi, non ha fondi e così via …);

2. è necessario garantire maggiore autonomia giustizia ai docenti diciamo così creativi, attivi e originali.

Basti pensare che il Liceo Dante Alighieri di Orbetello GR mi ha riconosciuto nel luglio 2003,dopo sette anni, 110 delle 137 ore impiegate (ma ne occorsero molte di più, e dovetti lavorare a casa con il mio personale computer e con la mia stampante con una specie di volontariato scolastico che ho sempre praticato) per stilare la Charta dei Diritti e dei Doveri nella Scuola.
Lo stesso Liceo non mi ha ancora riconosciuto 95 ore di aggiornamento fatto fra il ’95 e il ’98 per suo conto.
E l’Istituto Tecnico Agrario Leopoldo II (altro grande Esule, come Dante) di Grosseto non mi ha ancora riconosciuto 98 ore di aggiornamento e formazione da me svolte fra il 99 e il 2000 frequentando anche l’Istituto Professionale Luigi Einaudi di Grosseto.

Sono Scuole molto attive nel campo dell’educazione economica ed informatica, ma evidentemente, absit injuria verbis, non molto veloci nell’applicazione dei diritti fondamentali del docente (ut ita dicam), almeno nel mio caso.

Ma non importa.

Felix qui potuit rerum cognoscere causas …
Non sono lamentele, queste mie.
Sono fatti storicamente verificabili.
Sono lavori in corso. Salite ancora da fare.
Dio ci conceda sempre una buona salita, anche se qualche volta viene voglia di scendere e prendere un taxi, come fa qualche furbone.

Sulla nostra strada non ci sono ristoranti, locande, nessuno ci offre niente. Non ci accompagnano ciclisti famosi. Ogni tanto s’incontra un tizio alto e magro, col naso come uno staffile, i capelli lisci e neri.
Va forte come un airone.

C’è un altro che ci incrocia.
Saluta in fretta. Un certo Nencini.

Per non dimenticare il più possente, generoso e loquace: Gino.
Siamo gente semplice, ma non tanto.
Siamo una squadra di gente sola, ma stiamo sempre assieme, Antonino, io e gli altri ciclisti dell’ultima salita.

Antonello Venditti permettendo.


Questa volta ti mando dei saluti speciali.

Il 16 maggio, dopo che scrissi ripetutamente in latino al Santo Padre (il mio Pater Secundus, come affettuosamente Lo chiamai) mi giunse una speciale Benedizione Apostolica per me ed i miei.
Ti piaccia dividere con me, come se Tu fossi un mio ‘parente’, questa benedizione.

Ti porterà bene, come porterà bene alla pianta che innaffi e a tutti i suoi estimatori.

Ma non dimenticarti del Nespolo e delle sue Foglie, che crescono sempre, estate e inverno, senza fine. Anche se lo trascurassi, penserebbe bene a vivere. Ma è bene non dimenticarlo.
**
Scusami se Ti do del ‘tu’, come se io fossi una vecchia locomotiva.
Sono un Volontario dell’Avo, e lì mi danno tutti naturalmente del ‘tu’.
Se ci incontri sulla strada, me e Antonino, con il resto dei ciclisti persi, offrici una borraccia d’acqua fresca.
D’acqua frizzante di Kaster Kar.
Ci piacciono le bollicine …
Mi riconosci facilmente.
Sono piccoletto ma forzuto. Vestito d’un giubbetto giallo, come Anquetil.
E sotto ho i colori bianco e azzurro dell’Avo, della Polizia, di Madre Terza, del cielo e delle sue nuvole.

Buon viaggio per Roma, Romano.
Ricorda però che per me la capitale è l’Argentario, dove ci conoscemmo, dove è mia Madre e dove mio Padre sogna ancora di costruire un Tempio alla Madonna.
Dal 9 Luglio 1971 quel sogno è la sua eredità per me. Resterà un sogno, ma quante migliaia di volte ho fatto la salita sull’Argentario, estate e inverno, tutti i giorni, verso Capo d’Uomo e mi pare già che sia pronto e costruito.
Pare quasi di vederlo, alto, arioso, luminoso, pieno della musica della canzone che papà e io ascoltavamo spesso: Let it be …, dei Beatles.
When I find myself in time of truble …

I Templari, come vedi, non sono ancora spariti.
Ma non girano più con enormi spadoni e corazze di ferro.
Offrono mangime alle tortore, portano a spasso un canone nero belga/tedesco (Argo, in fondo, è un ‘ pastore europeo ’), si occupano di libri, di gatte e di biciclette. E non delle crociate. Nemmeno delle parole crociate …

Accetta i miei più cordiali saluti ed auguri, per te, i Tuoi e la tua Famiglia.

Ricordati dell’acqua …

Grosseto, 29 ottobre 2003


Gennaro di Jacovo





epsilon




Non era mai stato depresso.
Di questo era certo.
Su questo poteva anche fare dello spirito innocente …
Era stato, invece, amava pensare, soppresso, represso, forse anche cipresso, come quegli alberi verdi e svettanti che cisìrcondano le belle ville di Fiesole, del Chianti e delle campagne in genere di stile toscano.

Alberi associati al pensiero del passato, dei cari partiti per il viaggio di chi non porta i bagagli.

Eppure qualcuno lo aveva giudicato tale.

Chi è veramente depresso?
E perché?

*
Depressione, deprimere.
Pressione.
Di cosa?
Come al solito per questo termine il linguaggio si comportava facendo riferimento a qualcosa di assai pratico e materiale per indicare uno stato anche astratto, impalpabile ma connesso strettamente con la materialità.
L’uomo, l’animale che sostanzialmente è e che si sforza di misconoscere, dipende strettamente dalla fisicità delle cose, ma si crogiola nell’illusione di godere d’una esistenza e d’una dimensione spirituali, impalpabili e astratte.

Crede di avere un’anima, di essere il figlio prediletto d’ogni divinità e che questa si sacrifichi sempre per lui, nonostante le sue evidenti e immense colpe, la sua voglia di rinnovarle, la sua inimicizia stessa per ogni forma di tranquilla e serena esistenza.


Ecco quindi il sogno dell’uomo, la sua aspirazione all’eterno, all’intramontabile luce d’una vita ultraterrena immaginata come una proiezione fisica e materiale di questo mondo in un altro, fatto di colori chiari e luminosi, popolato di figure galleggianti fra nuvole bianche, eppure materiali e solide.

Questo miscuglio di leggero e di pesante era tutto quello che l’uomo poteva immaginare per raffigurarsi una dimensione ‘spirituale’.

Gli eventi favorevoli della vita contribuivano a fornire la giusta ‘pressione’ al sua atteggiarsi complessivo, come se fosse un pneumatico d’automobile fornito di precise indicazioni a proposito a cyra della casa costruttrice.

***
Naturalmente, una fortuna troppo fausta poteva indurre a forme di euforia, di benessete indotto o di ‘ottimismo’ eccessive, e questo conteneva il rischio di sopravvalutare le prorpie capacità, con una insita attitudine a futuri insuccessi dovuti alla scelta di situazioni e avversari insostenibili.

Una serie negativa invece di eventi negativi dovuti a cause individuali o contestuali poteva portare ad un atteggiamento misto di cautela, prudenza e quasi timore di qualsiasi scelta, tanto da comportare una lentezza evidente nelle necessarie risposte che la vita richiede incessantemente.
Questo atteggiamento di lentezza critica, ossia di scelta, faceva assumere all’individuo colpito da una serie di fattori deprimenti un particolare atteggiamento quasi sonnolento e letargico che aveva fatto scegliere per lui l’attributo pneumatologico di ‘depresso’.

E’ rilevabile però che la ‘depressione’ non è altro spesso che uno stato di prostrazione e stanchezza quasi atletica dovuta all’aver dovuto affronare compiri troppo faticosi, di fronte ai quali vuoi per generosità, vuoi per semplice fretta, vuoi per le pressioni del contesto ambiente non si è stati capaci di dosare adeguatamente le forze.


Dosare le forze, poi, è cosa che solamente gli egoisti puri riescono veramente a fare.

***
Gli atleti del corpo e dell’anima, i generosi, si accorgono dopo di avere eventualmente speso troppe energie, e quindi possono cadere in uno stato di pseudodepressione, dovuta invece all’ostilità ad alla osticità delle prove affrontate, a volte anche alla persecuzione contestuale scatenata nei loro confronti.


LE GATTINE di Anna Maria Vittori di Jacovo

Erano tre gattine che saltellavano nella macchia, due bianche e nere e una tutta nera. Tre batuffolini di allegria e di affetto.
Tre piccoli folletti che apparivano all’improvviso dall’ombra verde.
Così piccole e perdute nella grande macchia oscura.

Sono state la parte più bella di noi, gioia di vivere, capacità di amare, scherzo e curiosità di sempre nuove scoperte.
Ci hanno donato il loro affetto senza un perché, contente di quanto riuscivamo a dare loro.
Le abbiamo prese con noi e sono diventate parte del nostro progetto di vita insieme.
Non ci siamo subito resi conto di quanto ci fossimo attaccati a loro.
Non dimenticherò mai quando nel giardino di Santo Stefano sono salite per la prima volta sulle mie ginocchia. Avevano già tre caratteri diversi: più curiosa e avventata Silva, dolce e timida Iole, calma e assennata Loi.
Poi Iole è sparita ed ha lasciato dentro di noi una ferita profonda.
Le due gattine rimaste erano la nostra gioia, facevano le fusa appena ci vedevano, ci aspettavano sul pianerottolo quando ritornavamo a casa, si buttavano a pancia all’aria per farci festa, mentre qualche volta Silva si nascondeva dietro lo scalino e si vedevano solo le orecchie e gli occhioni gialli.
Loi aveva dei grandi occhi dorati ed era la prima a venirci incontro e a salutarci. Facevano i salti al di fuori del finestrone della cucina per vedere se eravamo lì e miagolavano per chiamarci.
A volte per aspettarci si mettevano sopra le colonne del cancello, una di qua, una di là come due statuine.
Quando Loi saliva sul tetto della loro capannuccia e non riusciva più a scendere Silva veniva a chiamarci perché la venissimo a prendere.
Ora insieme a Loi è andata via una parte della mia vita, ho perso una creaturina che mi voleva bene e mi ha dato tanto affetto e gioia, resterà insieme alla sorellina perduta sempre dentro il mio cuore. Il loro sarà un ricordo bello e triste insieme.

Maris pecten


carezze assolate di lontane mani mai riconosciute
e sorrisi d’ una vita assiderata in lontane pianure
di nevi e di ghiacci bianchi e taglienti
ruote rotonde di volventi gomme
e irti vetri insidiosi
sotto la polvere
e sul brecciolino ruvido
mentre tu camminavi solenne
ispezionando il tuo vasto regno di ricordi
e le zampe fitte delle sedie di legno

avevi un canestro verde di pettini e di spazzole
per farti luccicare come il mare di Napoli
il tuo mantello nero
ma non sempre ce lo permetteva
d’usarle Re Kbbell


quanti temi e versioni da correggere
e quante relazioni lunghissime
eppure
adesso ti dico che allora
… “un’onda poteva pettinare il Mare
e incanalarci in saldo sentiero …”



Loi

Piccola loi
quando mi vedi sali
sul mobile di legno
in fondo al letto
e miagoli a scatti
come se tu fossi un piccolo cane
e volessi abbaiarmi ...

Il tuo modo di miagolare è così tremolante poi
quando avvicino la mano
e fai capire
di volere ch’io ti accarezzi ...
Ti ho trovata in un bosco
vicino al mare
in alto sopra il monte verde
in un giorno caldo e pieno di sole
mentre in bicicletta
salivo su ...
Rimasi incantato da tre gattine
una nera
le altre nere e bianche
che saltellavano verso di me
come tre piccoli angeli agili
eleganti
e socievoli

Le mie gatte
di Anna Maria e Gennarino

le mie gatte hanno gli occhi gialli
e il colore del giorno e della notte
ci aspettano quando usciamo di casa
e a volte ci seguono di sera

non appena avvicini la mano
ti fanno le fusa
e si gettano a pancia in su
una si acquatta e simula un agguato

l’altra ti festeggia
quella che ha una maschera nera
come Batman

le mie gatte hanno bisogno di cure
da quando le ho trovate
in un bosco verde e scuro

sono abituate a vedermi vestito da ciclista
perché così mi hanno visto la prima volta
di un mattino di Agosto

in un paese dove c’è sempre il sole
e tanti scogli a picco sul mare

dove passano navi bianche
e i delfini saltano sopra le onde

le mie gatte sono sempre con me
e fanno le fusa nel mio cuore
il mio cane le ama
e si lascia pettinate dalla loro coda

***
**
*
L’interruzione di uno stato a cui ci siamo affezionati, che sia bellissimo o meno, ci provoca dolore, ansia d’un ritorno impossibile, attesa che non finirà che in sé stessa.
Il superamento di questo stato comporta l’assimilazione dell’ansia, la fine d’una situazione di staticità affettiva.
Ma comporta anche una qualche crudeltà per la persona, la cosa che non c’è più se non dentro di noi, nella memoria.
Non esercitare questa sorta di crudeltà necessaria in qualche modo alla continuazione della vita ordinaria vuol dire ostinarsi a conservare vivo un grappolo di ricordi che non trova più il referente fisico nel contesto.
E’ una specie di continuazione delle azioni della vita, dei suoi sentimenti e affetti, un atto di riverente rispetto che di solito infastidisce chi intorno a noi ne è testimone.
Certamente, si potrebbe sospettare che un eventuale simile atteggiarsi sia dovuto ad un sentimento di colpa per qualche azione inopportuna commessa precedentemente, oppure ad un tardivo senso di devozione.
Oppure si potrebbe pensare ad una specie di quasi egoistico senso di autocompiacimento nostalgico.
Fatto sta che in presenza di una lunga permanenza del rimpianto per una persona o una situazione perdute noi ci troviamo di fronte al permanere stesso dell’influenza di quella persona, quella situazione.
E’ una specie, per qualcuno addirittura ‘patologica’, di immortalità concessa a chi ci lascia per qualsiasi motivo in modo più o meno permanente e consistente nel continuare ad in fluenzare obiettivamente la vita stessa, non solo il pensiero, di chi la ricorda costantemente e ne ricorda i consigli, le parole, i precetti.

Dopo questo consumarsi e limarsi, come d’un ciottolo di fiume,
arriva un giorno e ci si trova come vestiti d’un vestito nuovo e scintillante,
circondati di una luce soffusa e senza ombre, e quasi ci si illude di sapere cosa fare.
Si prova la sensazione di essere ormai parte di quella persona perduta, di quella cosa o situazione, e di ‘dovere’ agire anche nel suo interesse, magari a costo anche di fare il proprio danno, in qualche caso.
E si poteva forse perdere la cognizione dell’entità di questo danno.

Per l’amore di una dimensione perduta, rivissuta nella memoria e nel cuore, per il recupero memoriale e affettivo d’un mondo finito, ci si poteva perdere nell’infinito d’un futuro imprevedibilmente vago, ma capace di affascinare ed attrarre come contrapposto ad un presente effimero e svilito, privo di attrattive, seppure certo e pseudorassicurante per gli aspetti essenziali.


Questa oscillazione fra uno stato di rassicurante e quieta pace ed un altro di incerta e pericolosa guerra è simboleggisata nel mito latino dal volto duplice di Giano, il dio della pace e della guerra.


Eppure, la guerra non è sempre violenta e distruttrice come si crede, a volte è solo una guerra latente e simbolica, come la pace non sempre è feconda e ricca di frutti saporiti: spesso è un malinconico e piatto trascinarsi da uno stato letargico ad uno se possibile ancora più passivo e statico.


*


Le apparenze non ingannano mai. Scompaiono e fanno posto alla sostanza ed all’essenza, che sono folgoranti di luce deleteria.

Fra la guerra e la pace e le loro parvenze effimere, c’è un muro di segni arcani messi sopra pagine di carta.


Dentro quattro di queste mura, o al riparo d’uno solo di essi, è possibile illudersi di avere una pace cordiale e serena come un cielo di aprile.


**** La nostra biblioteca

Sei sempre stato amante dei miei libri
e delle buone letture o faticose che facevo
nella casa del mare … parva sed apta tibi
sedevo per interi pomeriggi
e tu mi facevi compagnia
sdraiandoti nella piccola branda sotto lo scrittoio
come un precettore paziente:
mi vegliavi fino alle ore della notte
e qualche volta uscivamo in quelle ore buie
a contare le stelle lontane fredde e belle …

***
Mi manchi
Argos
e dal vetro del grande corridoio
accanto alla nostra biblioteca guardo la luce fioca
della tua ultima casa
ed è come se il tuo grande Spirito fosse sempre con me
e la tua forza sostenesse il collare amaranto
che ti ho comprato l’estate passata
e che metto al mio collo ogni tanto
perché sarò il tuo cane umile e fedele
e tu sarai per sempre il mio pastore:


portami tu lontano
tirami forte ancora con la tua grande mano
sostienimi bene sopra le tue braccia
come facevo io con te
quando eri piccolissimo
e ti portavo in collo
nel paese del mare
dove per tanti anni
hanno sorriso ai nostri sogni
.

*** ***
***

Dormi adesso mio caro pastore
e assai veloci passeranno le ore
come un tempo sorvegli
che io lavori
che io legga e che scriva
aspettando che venga il giorno
che lasciati i miei libri io ti ritrovi




sorveglia questa stanza colma di volumi

amico mio di sempre
mentre io leggo vedo ancora la tua culla
se tu sei qui per me non mancherò di nulla



***

Un tempo tutto il sapere era affidato a oggetti composti di numerosissimi fogli, e prima ancora da tavole di argilla, lastre di pietra, frontoni e colonne, rotoli d’una unica striscia d’una carta speciale, forte, raffinata ed elastica ricavata dalle foglie del papiro.
Erano oggetti strani, da conservare dentro scaffali appositi, ma potevano anche essere trasportati e conservati nei luoghi più disparati,
C’era chi li teneva accanto al letto, nel bagno, come fossero delle miniterme romane, in giardino, in auto e in aereo.
Tutti ne avevano una bella scorta, ma in definitiva pochi trovavano il tempo per adoperarli.

Si adoperavano tenendoli ad una trentina circa di centimetro dal viso, con gli occhi fissi su di essi, pronti a decifrarne i segnetti neri o colorati, o le immagini.

Non era agevole restare per ore attenti a quei codici, perché questo erano, simboleggianti concetti, oggetti, rapporti, modalità.
Pochi a dire il vero sapevano resistere, straniarsi a poco a poco dalla realtà ambiente, quasi dimenticare amici e parenti e tuffarsi nel mondo delle lettere, della narrativa, della saggistica, o anche del sapere scientifico e tecnologico.

Era un rischio, quello di isolarsi, se isola è rischio, visto che tutte le Terre lo sono, e ritrovarsi un giorno come uno dei più illustri dei biblionauti, un certo Giacomo ... dei Leopardi da Recanati nelle Marche.
Curiosamente, dopo una adolescenza vissuta a leggere e studiare, si era ritrovato incapace di intrattenersi comunemente con gli uomini, incapace di comunicare con la vita comune, persino privo di un semplice titolo di studio, di un riconoscimento che tutti finiscono per avere, dopo tanto studio.
Ma il suo era lo studio di Ulisse, che per sfuggire all’isolamento cerca un’isola, era stato uno ‘studio matto e disperatissimo’.

E’ strano, ma fino a un certo punto, che l’uomo più intelligente, ed il più scaltro, abbia impiegato tanto a tornare a casa, e la sua casa non era il centro degli achei, non era Micene o Tirinto, ma era Itaca.


Lì era il suo Argo ad attenderlo, e lì immaginiamo ancora che siano Ulisse, Penelope, Telemaco ed Argo, con il buon Eumeo.



Per Ulisse, Itaca, un’isola, era la meta ideale per trovare tutto il mondo ed in un certo senso era stato questo, con un eccesso ed una sazietà di rapporti caotici a determinere il suo isolamento.

Cercare un’isola per non essere isolati.



Louis rifletteva su questi apparenti paradossi.
Leggere, si chiamava proprio così l’operazione che facevano gli uomini un tempo con gli oggetti portatori di informazioni chiamati in definitiva ‘libri’.
Ma leggere era faticoso, con tutte le alternative che si presentavano.
Solamente anticamente poteva essere considerato l’unico e quasi privilegiato tramite fra la filosofia, tutto il sapere, e la realtà ambiente, fra la memoria del sapere e la sua tecnologica e pratica applicazione alla vita tangibile.
E c’era voluto del bello e del buono per riuscire a classificare il concetto stesso, vastissimo, della realtà.
Molti confondevano questo concetto, che in sé non fa neppure parte della realtà pratica, in quanto astratto, con quello del contesto.
Il contesto è tutto quanto ci si costruisce intorno, come un tessuto, come un bozzolo intorno a un baco e per questo motivo rischiamo di esserne anche soffocati.
In ogni caso ne siamo potentemente condizionati.

Cose, fatti, persone, idee e pregiudizi, opinioni altrui, tutto ci piove addosso e si posa come neve, o grandine.

E dobbiamo trovare una via, evitare di restare sommersi, di scivolare, distinguere il nostro dall’altrui, regalare il nostro ed accaparrarci l’altrui, copiare, far copiare, proteggere qualche idea come un amante geloso.

Offrirla come una cortigiana o donarla come un santo, al vento ed
agli animali, prima ancora che agli uomini, che sono sempre ultimi nell’apprezzare quanto viene offerto senza prezzo deciso.


Il contesto era il reticolo, la matassa, il bozzolo in cui si trasformava ogni rapporto con il mondo esterno. Era un tessuto ideale e reale in cui era reale l’ideale e ideale il reale.


***



La realtà invece era tutto, persino irrealtà.
Sarebbe stato impossibile ipotizzare invece un contesto decontestualizzato.
Esso spariva di fronte al suo contario.
La realtà, invece, che ra in definitiva Dio, si realizzava prorpio di fronte alla sua negazione e distruzione. Alla sua crocifissione.
Risorgeva, riprendeva una vita che non era quella perduta, ma una nuova e più tenace, più viva quasi.


**


La realtà comprendeva anche la non realtà, come Cesare era padre del suo assassino, e Cristo rabbi anche di Giuda, suo discepolo.

Il contesto invece ammetteva solo se stesso ed il groviglio che ne consegue.


La realtà dava vita, mentre la toglieva.

Il contesto nutriva e proteggeva, ma quando esiliava. ostracizzava, uccideva era solo per fare questo.

***

Molti erano stati i tentativi di ribellione, di dissenso verso il contesto, o verso diversi contesti.

Di Abele e di Remo, di Socrate e di Cristo, fino a quello che si poteva considerare, ed era considerato ormai a conti fatti, il sedicesimo dissidente.

*** The sixteen chapel



zeta




LICEO CLASSICO STATALE BIRBANTE DI IERI

ORTOBELLO DELLA ZEPPA DEL KASALE




CARTA DEI DRITTI E DEI ROVESCI

PROGETTO CATTIVO DI ISTITUTO

In hac lasagna vinces


LICEO CLASSICO BIRBANTE DI IERI

Ortobello

***

CARTA DEI DRITTI E DEI ROVESCI NELLA SCUOLA

PROGETTO CATTIVO DI ISTITUTO




introduzione:


Il Liceo Classico ‘Birbante di Ieri’ è situato in una zona periferica della città di Ortobello, in locali provvisori reperiti dal Comune nella Scuola Media nel 1989, in seguito ai danni previdenziali verificatisi nell'edificio precedentemente usato e situato in Via Dante.

La Scuola ha servito da sempre un cospicuo 'bacetto di utenza', costituito dai comuni di Ortobello, Monte Arenario, Caparbio, Mangiamo, Migliano e Vitigliano, per citare i limitrofi.
Fin dalla sua nascita, l'Istituto ha voluto rispondere all'esigenza di dotare questa zona di una scuola ad indirizzo non umanistico ma ‘manistico’ che consentisse la frequenza in loco a tutti gli utenti obbligati altrimenti a rivolgersi alle ottime strutture didattiche di Grosseto o Civitavecchia.


Il Liceo Classico Ginnasio Statale "Birbante di Ieri" risulta istituito nel 1962 e reso autodromo nel 1967.

La Scuola non ha avuto mai altro pregio migliore che quello della varietà della provenienza dell'eterogenea popolazione discodocente, fattore che costringe gli indigeni a sforzi di intelligenza insoliti, mutatis mutandis, per fronteggiare ostacoli nella fornarizzazione degli orari e nella disorganizzazione delle attività di sostegno e recupero, nonché scontri desocializzanti deformativi nell'ambito del *** Progetto Senescenti e dell’ Università della Turpe Età o della ‘Tarpa Leali’, inno della classe 2^ B dall’ottimo tessuto socializzante.

Fino a questo momento, però, questo elemento ha comunque di fatto provvidenzialmente impedito un regolare svolgimento di tutte le attività didattiche, ed in certi casi è stato forse fattore di scambio e di conoscenza fra inculture confinanti e dotate opportune ed idonee di caratteristiche devastanti.
Il fatto di non poter disporre ancora di un proprio edificio, con laboratori attrezzati, palestra e spazi ampi per le proprie attività didattiche, è quindi un elemento positivo per l’aberrante sviluppo abortivo della scuola, che però svolge comunque, avvalendosi di strutture vicine all'istituto per quanto riguarda le attività sportive, tutto quel che regolarmente nuoce alla formazione scolastica, in poche parole il suo compito diseducativo di caratura atletico intellettiva.

Nel 1991 è stato costituito il Liceo Scientifico situato in un paese vicino, sezione annessa del Liceo Birbante.

Il Comune di Ortobello non aveva fatto alcuna richiesta per la costituzione di scuole nel suo territorio

Questo, si ripete, malgrado i numerosi consigli in tal senso ritenuti persino molesti dal ‘contesto’ scolastico e da quello ad esso limitrofo.

Nel 1993 è stata istituita la sezione sperimentale ad indirizzo linguistico.
Se ne sentiva la mancanza.

Pax et bonum.
Carpe parcam carpam et noli carpere scarpam..
In questo modo il Liceo Birbante di Jeri si presenta ora perfettamente adeguato alle esigenze didattiche di una utenza diversificata che può avere a disposizione tre diversi indirizzi scolastici fra cui scegliere il più idoneo ad un regolare disorientamento, il cui refetente è il prof Spolve Rino, detto ‘Roonie Polvere di Strulle’, noto per l’efficacia dei suoi giudizi scolastici adottati specialmente per le Alunne, pubblicamente lodate in sede di valutazione e consiglio quando a suo dire dotate di forti orkidee.
Il giudizio sintetico ‘orchideizzato e\o … a’ , che nella versione originale e autorizzata dalle migliori università toscane suona come ‘chalep alle’, per quel docente equivale almento al famoso‘settepiù’ del professor Koki di televisionaria e renatiana memoria.
La disciplina trasversale che cementa i tre indirizzi è quella della chiacchiera linguistica del Corso Eulalia, il pettegolezzo classico, la diffamazione pseudoscientifica, il cicaleccio linguistico e\o linguacciuto.

Il liceo Scientifico di Mangiamo, frazione di Diocikondooka ‘Ndovesimandooka, è sorto, come detto, nel 1991, e conta ora un corso completo, nonostante le attenzioni del prof. Sbrodoli, detto ‘Spatroonie’, o ‘Elvis the Floppies’ che se ne è infeudato astutamente.


***


Grazie a lui ed al Collegio dei Docenti del ’95 – ’96, capitanato dal prof. Spietrato, lo Scientifico non si è chiamato col nome di Eugenio Romani, come proposto dal suo preside successore.

Sed nunc, Lucanae Musae …
*** Paulo majora canamus …

***
Il territorio contestualmente ambiente offre molte prospettive di lavoro, a chi già può ereditarlo dai parentes, quindi per non lasciare insoluto questo nodo occupazionale, anche a livello di disorientamento, occorre una fase preparatoria di studio che coinvolga l'analisi della mortificazione delle attività umane e del deflusso di popolazione, unita all' analisi del territorio come pseudosistema socio antropico e fisico naturalistico.


Largo spazio deve essere dato, in questa fase, all'acquisizione degli strumenti comunicativi della lingua straniera e straniata che sono necessari, in prospettiva, per una più idonea competenza e compenetranza comunicativa , per un più efficace dialogo con paesi gemellati e, in ogni caso, per qualsiasi attività che richieda la conoscenza della lingua in tutti i suoi aspetti, apicali laterali e dormienti in fase subpalatale, anche a livello di ricerca e di studi della sua preparazione in salsa verde, nonché per la deformazione personale d’un’ appropriata rete dissociale.


L' obiettivo culturale e sociale sarà quello poi di disorientare gli allievi grazie anche ad una disattenzione specifica per una realtà locale che necessita di personale perito e perciò fatalmente inesperto nell'ambito delle attività connesse con l'ususfrutto delle risorse geotermitiche (Satolla) e terramaricole del Comune di Mangiano, secondo il motto Diocicondooka’ndovedimandooka, o

comunque di imprenditori o liberi professionisti capaci di porre in gatto sapientemente le enormi depotenzialità del territorio, o ad un disinteressamento ad attività lavorative di cui si conoscano le caratteristiche essenziali anche ove richiedano inevitabili trasferimenti delle incompetenze personali.

Nel Liceo è presente, e a disposizione di pochi intimi, un laboratorio multimediale in cui è possibile accedere, dietro uno speciale ‘introibit ad floppicas artes’ impartito dai due Capi
SineGat e SineKan, ad ineffabili esperienze floppizzate computerizzate con i computers antichi e nuovi, forniti all’uovo e completi del gioko delle Karte degli Storti e dei Roveshi, di briskola e skopas per licei, e ki più ne ha, meno ne metta, la videocamera da letto a coltri separate e\o fuse, anche abbinandola ad un micro necroscopio, con uso dello scanner a due lame, con la scheda d'acquasizione immagini.

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La presenza di programmi di diseditoria molto efficaci, di programmi disintegrati (word processor, data base, foglio elettronico) potrà impedire poi di produrre materiale grafico e giornalini anche nottizzati che saranno la prova tangibile del lavoro effettivamente evitato.
Vale inoltre la pena di sottolineare che alcuni lavori potranno essere smemorizzati sottoforma di ipertosto e consultati da chi lo desideri in maniera certo con torta (anche vuota e senza zucchero).
Per lo studio della lingua potrà essere utilizzato il laboratorio linguistico, integrato nel laboratorio multimediale, adatto alla preparazione della salsa verde, come accennato più sopra che sotto.

Disorientamento. Nel Liceo classico e nello scientifico viene regolarmente svolta attività di 'disorientamento' che prevede solo a beneficio naturale delle ultime classi visite guidate al Salone ‘Campus Disorienta’ e ‘Ki parte non rientra’ a Rema nel mese di Novobre, alle Università di Senna, Pesa e Sirenze tra febbraio e marzo, incontri organizzati con la Camerata del Lavoro per

acquisire dati sulla situazione lavorativa del territorio, e con ex-alunni (universitari e partecipi dell'inespertinenza universitaria).

La scuola organizza anche per alunni di tutte le classi la partecipazione a conferenze e spettacoli tetrali.

Svolgere attività di disorientamento in tutto il quinquennio significa riuscire a sviluppare nel ragazzo specifiche incompetenze e incapacità attitudinali in senso globale:


1. Incapacità di decidere, cioè di riuscire ad avere a propria disposizione certi elementi che portano il giovane a non prendere una decisione autonoma, frutto di specifiche motivazioni capaci di indurlo ad alleggerirsi, in tutti i campi, di precise e specifiche responsabilità. Questo implica, necessariamente, una assoluta incoerenza tra quanto ci si propone, i mezzi con cui si opera e i risultati astratti a cui si vuole arrivare.

2. Incapacità di autogestirsi, di riuscire cioè ad non essere autonomo nella vita di ogni giorno, di non sapere organizzare lavoro e tempo libero, studio e interessi personali. Questo comporta non saper creare uno schema di riferimento funzionale o di aggregazione che permetta al giovane di "crescere con rigoglio come gramigna e loglio".



Di conseguenza un tal genere di "crescere" significa:

- non autogestirsi.
- non confrontare le proprie idee con le idee degli altri, attraverso l'individuazione di risposte incongrue, l'analisi non appropriata di ognuna di esse, la immotivata discussione e la conseguente sciolta più che scelta.


3. Incapacità di autovalutazione, cioè non conoscenza di sé stesso, degli obiettivi che si intendono raggiungere in ogni campo, del proprio 'io' interiore (valutazione di sentimenti, ideali, interessi). A tale scopo è necessario che il giovane non abbia
dei valori culturali, politici, filosofici, etici e religiosi in cui credere.


Solo se non crediamo in uno o in una costellazione di questi, o anche d'altri, valori, possiamo disimpegnarci in modo astratto e passivo, non attivo e meno che mai deponente.



L'acquisizione di valori ideali permette al giovane di conoscersi peggio, di autosvalutarsi e di non confrontarsi con gli altri.

Da tutto questo deriva la capacità di "star male con se stesso" e "star male con gli altri", ossia subire passivamente le decisioni o la volontà di un gruppo, non avere il coraggio di parlare, di esprimere le proprie idee e, se utile, non lottare mai per far valere le idee che corrispondano ad una cosciente scelta individuale e universale, ma adeguarsi prono al suo gregge.

4. Incapacità e attitudini progettuali, da intendersi come successivo livello del disorientamento.


Quando il giovane abbia ormai imparato a non saper decidere, ad non autogestirsi, ad non autovalutarsi, o sia decisamente orientato in tal senso, allora può progettare e organizzare il nulla per il tempo futuro, costruire una dimensione che lo veda unico "ideatore" in questa irrealtà, artefice stesso e inerme pilota del e\o nel naufragio nel "vasto mare perso" della vita.



Progettare significa conoscere, essere correttamente informato, avere il possesso di mezzi, di specifici contenuti, di tematiche riguardanti il mondo che ci abbraccia.

Questo va assolutamente evitato come uno scoglio.


D'altra parte il giovane, giunto a questo livello, deve avere anche sviluppato una durezza di mente e di carattere che lo renda incapace di rivedere le proprie posizioni, di adattarsi alle circostanze, pur di non mortificare la scelta etica di valori ideali individuali e universali precedentemente acquisita, senza mai progredire in quel processo formativo che può suscitare e generare capacità e competenze capaci di fornire la forza, volta per volta, senza mai organizzare e scegliere.


Una volta generate e potenziate queste incapacità e deconoscenze, il giovane è da riconoscere come soggetto compiutamente inattivo in tale processo di disorientamento.


Il docente può dirottarlo e sviarlo dalla retta via, portarlo alla segmenta via, quella che conta (le pecore), a patto che non eviti di intervenire sovrapponendosi alla sua personalità, che deve avere solo apparentemente una propria disautonomia incoscientemente sviluppata, può stimolare la sua assenza di curiosità, procedere ad una scorretta informazione e completa disinformazione, creare antidinamiche di dialogo in ogni senso, invitare a saper perdere, cogliere le occasioni amorali e quelle opportunistiche al grido di ‘gnilasciatèpperza!’ (Karpe skarpam), a vivere l'attico fuggente, l’autentico ‘Karpadiem’, motto d’ogni uomo autenticamente pescattore, prima e più che cacciattore, ossia a scegliere antispartanamente, inopportunamente e rapacemente dopo la progettazione impaziente e oblunga, può anche aiutarlo a potenziare la astenia complessiva della sua costituzione e la mancanza di volontà, e infine a individuare un metodo di studio decomprensivo, che non comprenda affatto, basato sulla scorretta comprensione del testo, sulla incapacità di rielaborazione personale e sulla acquisizione d’una capacità di esposizione formalmente scorretta e mal articolata.

Attività extrascolastiche:

Oltre ad avere disorganizzato precedentemente corsi di recupero per non assicurare agli allievi un aiuto concreto per il superamento delle difficoltà connesse con lo studio delle varie materie e corsi di sostegno per gli allievi della classi finali, la scuola si è costantemente disimpegnata nella programmazione e nella concreta attuazione delle attività 'extrascolastiche', ossia quelle connesse con il 'progetto giovani' e la'educazione alla salute '.
Sono state altresì favorite tutte le attività di lezioni private ed esterne pomiciliari, purché situate nelle abitazioni private dei docenti antitetiche con l’attività della scuola.

Quanto alla scuola stessa da pubblica è quasi completamente divenuta assolutamente e rigorosamente privata di tutto.

L'esigenza di nuove incompetenze ha spinto un gruppo di insegnanti a non frequentare corsi di aggiornamento connessi con il Progetto Giovani e l'educazione alla salute, a non seguire cicli di conferenze organizzate da enti riconosciuti dal Provveditorato, dal Ministero della Pubblica Istruzione o ad essi ricollegati, oppure li ha spinti in massa a deformarsi in maniere autonome e dozzinali, all'interno dell'Istituto o in ambienti di lavoro e ricerca inaffidabili e incompatibili, svolgendo attività sconnesse e compatibili con le Didattiche Brave (Did\Br) - di cui
si disinteressa un gruppo di circa dieci ducenti indecenti, il cui coconduttore risulta il prof un po’ eta un po’ theta Rino Spolve, ideatore del progetto stesso nomato ‘un cassetto, un libro e dieci cannucce’ per la feconda e faconda idea di leggere a turno un solo libretto custodito in un cassetto ‘aperto’ con un quadernetto per la firma delle ore, retribuite con dieci pacchetti di nazionali zigrinate ogni dodici decaore ed una micrournetta villanoviana in creta di feniglia per portacenere, con abbonamento\tessera per fumate nel bagno\archivio dotato di aria in libertà condizionata, come la mansarda ex presidenza ai tempi mitici e gloriosi del liceo.

Il progetto è anche detto ‘la stanza delle ore’ – I docenti, in ossequio a questa dedidattica, sono autorizzati, alternativamente in base al Primo Principio Stok Asti Ko dell’ ‘e\o ‘, ad annottarsi, ma non ad aggiornarsi, con la ricerca e la produzione di materiale disinformativo e disorganizzativo connesso con la redazione della Carta dei Servizi Segreti e del Progetto Diseducativo di Istituto, argomento di cui si occupa per modo di dire una Commissione di circa dieci indecenti, detta i Bobboni Soloni di Ottobello, o Commisione di Clistène, o ancora dei

Setter e mezzo a Tubo, appositamente e rilassativamente innominata dal Collegio degli Indecenti il 12.02.2005, giorno in cui è stato discusso e tracciato un piano per la deformazione e disaggiornamento per il personale indocente & indecente.


***

Se l'organizzazione di corsi di recupero e sostegno risponde a concrete richieste diseducative nate in un bacetto di utenza ricco di disinteressi molteplici ed esigenze varie, ma sostanzialmente riconducibili alla necessità primaria della prosecuzione funicolare, la mortalità delle attività extrascolastiche è legata al progetto del superamento di una visione individualistica del
concetto dello spazio e del tempo, disponibilmente indirizzabile a forme diseducative di deteatro, di inattività musicali, di passività
biblioteconomiche o di qualsiasi altra antifinalità, purché riconducibile ad impegno di gruppo a carattere dissocializzante.


***


Attività di tetro dai classici greci a Shakespeare (i setter a Tabe,
di Eskimo, gli ottomenomeno a Micene e i settemenomeno a Tucene, Giulietta e Alpharomeo, di Milio Miglio, Uno sguardo dal pentatlon etcì ... ) e di avviamento al disinteresse sociale e politico sono state realizzate con totale insuccesso nel Bello Liceo di Ortobello e nell’ Oke bello kebello Scientifico di Mangiano e valgono come infausto monello per le progettualità future.




munzione sterearica

Nell'anno scolastico. 93\94 si è costituita una commissione tridattica, coordinata dalle peroff Perucci e Tornaconti, dette Zeppa, Zuppa, Zapparispe & Giambazoppa del Kasale, che ha svolto una funzione ed anche una modalità di individuazione disoperativa e di disaccordo fra studenti e docenti, elaborando linee generali ufficiali e sottufficiali di pseudoindirizzo, controtendenza e disorientamento pedagogici.

In quell'anno la commissione ha elaborato un documento, reso noto agli alunni, in cui si auspicava la genesi di una 'nuova forma di decomunicazione' fra alunni e indocenti indecenti.

Questo, al fine di scoraggiare un clima di serenità, collaborazione, effettivo apprendimento e dialogo fra tutte le componenti scolastiche.

Le indicazioni programmatiche e progettuali in senso esteso e generale che sono scaturite da quella esperienza, e che sono state approvate in sede di Collegio dei Docenti, consigliavano di:


1. portare l'alunno a non prendere coscienza di sé, delle sue esigenze, dei suoi interessi, delle sue potenzialità.

2. adeguare l'attività didattica alla mancanza di esigenze, di interessi ed alle impotenzialità degli alunni, se presenti, e di crearle se assenti. Nome del progetto: praesentia absens …




Gli obiettivi erano:

- portare lo studente a 'vivere la scuola' senza senso di
responsabilità, serenità e consapevolezza.

- destabilizzare un rapporto di reale comunicazione fra le
componenti scolastiche.

- non favorire la nascita fra gli stessi alunni di rapporti di
cooperazione 'fraterna' nella piena mancanza di rispetto
delle rispettive personalità.



Motto anafilattico e catastigmatico della Sqola di Ottobello:



*** In hac sagna victor semel
iterum felix in sugna eris …






eta







C’era stato un periodo, nella storia dell’umanità fino all’età di Louis, in cui qualcuno si era convinto che fosse possibile conservare la cosa più caotica e sfuggente, la più insidiosa e maliziosa.
La più astratta.
E che fosse possibile raccoglierla in contenitori materiali, complessi, articolati.


Pensare, escogitare inganni o formule per facilitare la vita, piani di attacco, o anche di difesa, sognare e lasciarsi andare ai ricordi, progettare, tutto questo avveniva senza un apparente piano lineare e ordinato, nella mente.

O meglio, nella mente l’ordine era inafferrabile, l’ordine ed il caos erano la medesima cosa.
L’ordine umano, metodico, matematico uccide la fonte del pensiero, l’intuizione, che è improvvisazione e fantasia.
Eppure, occorreva togliere, eliminare, incasellare per conservare qualcosa dei pensieri, che altrimenti sarebbero fuggiti, spariti,

Così, dopo centinaia di migliaia di anni di preistoria e di invenzioni tecniche e pratiche, l’uomo si scoprì letterato e filosofo, dotato d’uno spirito superiore rispetto a quelle che lui definiva bestie.

E fu un particolare minimo a fare dell’uomo, animale fra gli animali, il figlio di Dio, ma anche il suo maggiore bestemmiatore, se non persecutore.

La lettera dell’alfabeto.

Se Dio era l’alfa e l’omèga, l’uomo divenne il mescolatore e l’alchimista di tutte le lettere, tanto da raccontare in cento modi diversi la stessa storia, annullando lo stesso significato della parola ‘storia’, venerata come sacra e immutabile ma trasformata e strapazzata a piacimento, a seconda dei gusti, delle ideologie, del momento.
L’ alfabeto divenne lo strumento semplice, ma anche infinitamente complesso insieme al linguaggio, per realizzare la conservazione e la trasmissione della verità presunta, proposta e imposta dall’autore dei testi.

Ed anche il linguaggio, escogitato da un dio o da un demone, era tesoro esclusivo dell’uomo, secondo la sua infinita presunzione.


Ma tutti gli animali ne hanno uno, e si capiscono fra loro, senza dover usare alfabeti e vocabolari, non esistono lingue straniere per gli animali, né complicate sisntassi zeppe di eccezioni e di regole astruse, scritte o mnemoniche.


Che sia una facoltà innata il linguaggio, è platonica intuizione geniale quanto superflua, e Dio sa quanto sia indispensabile per l’uomo il superfluo, assai più del necessario, che è solo aria, acqua. fuoco e pane.

Certo, sarebbe davvero cosa straordinaria se l’animale ‘homo’ fosse diventato ‘sapiens’ senza possederne i requisiti genetici e programmatici, come una nave che si mettesse a volare diventando astronave senza nessuna modifica, come un pianeta che si facesse stella, aumentando a dismisura di volume, iniziando un complesso processo di autocombustione atomica.

Certo, nulla si trasforma in ciò che non è già potenzialmente.
Nulla è detto comunque che effettivamente divenga quel che potenzialmente potrebbe.

Tutta l’umanità, comunque, è come se fosse un organismo unico, composto da una miriade di individui.
Soltanto ad una certa età ha escogitato il linguaggio, diviso in migliaia di lingue, dialetti e linguaggio personali e di categoria.
E solo da poco ha trovato il modo per fissare i pensieri, letterari e tecnologici, con gli alfabeti elementari e con i mezzi legati ai computers. che non fanno che ripetere le elementari regole della carta e della penna, aumentando di molto gli spazi capaci di contenere i testi.
***
Così, il pensiero libero e senza confini fu imprigionato e serrato in poche decine di segni, tranne che per quelle parti della Terra ove gli uomini preferirono continuare a ‘disegnare’ le parole, una per una, senza usare simboli fonici capaci di sintetizzare e semplificare ogni fonema.


Ma in ogni caso e con qualsiasi sistema, la mente ebbe la sua scuola, la sua prigione, la sua gabbia.


Fu così che nacquero le prime opere scritte della letteratura.

Fu così che nacque in pratica la storia in quanto memoria scritta e controllabile.



Ma restò nell’animo umano l’infinito, il caos, restò l’amore per la libertà, con le sconfinate terre del logos, ove ci si perde, ove non esiste confine capace di segnare l’appartenenza del privilegio.



E malgrado la nascita di categorie e generi nella letteratura, nella storia, nella religione, restò un territorio vastissimo affidato al desiderio del viaggio verso le zone sconfinate, dove non è poesia, né racconto o qualsiasi gabbia e forma, ma illimitato e vagare, oltre le lacrime e verso il
sorriso.


Le pianure della satira sono nel cuore dell’illimitato.


Ma ordinariamente, non si consiglia di avventurarvisi, pena la malevola reazione dell’unanità contestuale, dell’ambiente immediatamente circostante.


Louis aveva praticato il sogno e la poesia e si era avventurato nelle terre della satira.

Ne aveva tratto un parodia di Carta statutaria d’una immaginaria scuola d’un immaginario paese immerso in un contesto faceto e scanzonato di paesi immaginati come popolati da gente perfetta che si recasse a scuola per disimparare e peggiorare la propria dote di naturale bontà ed ‘u-manità’.


***
Osservare il comportamento proprio è un dovere, quasi mai un piacere, eccetto in casi quasi patologici.

Osservare quello degli altri è inevitabile, se non altro per il numero enorme delle persone animali con cui abbiamo a che fare.

Quando il nostro comportamento per qualche motivo diviene parzialmente o anche eccessivamente vizioso, noi procediamo verso la conoscenza migliore e la tolleranza degli altri.

Ma se dai vizi, che portano comunque sempre ad una eccessiva spossatezza, noi ci avviciniamo alla virtù, fosse anche per la fatalità dell’esperienza d’una specie di vizio estremo, quello della lontananza dal vizio, allora assumiamo un atteggiamento sentenzioso e severo, ma anche a volte ironico e in certi casi quasi sboccato ed esagerato.

Così nelle lettere moraleggianti abbiamo lo stile a volte delicato altre anche triviale di Orazio, lo stile aspro e tenace di Lucilio e Giovenale, altre quello oscuro ed ermetico di Persio.


Così Dante a volte è limpido e leggero come il volo delle colombe Paolo e Francesca, altre è duro, forte, perché come il vento vuole colpire ‘le più alte cime’.



In effetti, come la parola dell’uomo e dell’animale, quella che chiamiamo letteratura, parola fissata e scritta in un dato momento per lettori che neppure l’autore immagina, non presuppone un obiettivo unico, ossia la comprensione.

Spesso lo ingloba, lo supera e più o meno dichiaratamente e palesemente tende più che alla comunicazione pura, alla trasformazione del comportamento dell’interlocutore e del destinatario.


In effetti la cosa più astratta e rarefatta, la più incorporea e senza peso, il pensiero e la parola, è come se volesse trasformare la realtà materiale e corporea, spostare pesi immensi, muocere le montagne.
In parte ci riesce, in altra parte provoca anche danni notevoli, con questo voler mutare il mondo con il soffio del pensiero.

Parlando con il figlio, il padre vuole mutare il mondo, educare un uomo che farà meglio di lui, che dovrà affrontare amore e dolore, amicizia e guerra, senza avere paura e fuggire.

La madre, con il linguaggio del sorriso conosce il figlio appena nato, e vuole fargli superare lo sbigottimento di un mondo pieno di aria e di luce, di sensazioni mai prima conosciute.

***
Il linguaggio, quindi, non è meramente una pura forma di pretta comunicazione, poiché il suo fine non è semplicemente e solo comunicare, e lo sarebbe solo se la comunicazione non fosse che uno dei sistemi più efficaci per indurre indirettamente il destinatario al cambiamento della realtà contestuale immediata, mediata o imminente.


Ne deriva che l’obiettivo di comunicare, tipico della lingua, è solamente un punto di primo arrivo, un attracco prossimo, ma le finalità recondite restano situate in regioni più lontane, nascoste, anche quando sono intuibili.

Così nei poeti e negli scrittori più noti la descrizione ed il canto non sono fini a se stessi, ma mirano alla trasformazione dello stato d’animo del lettore, dell’ascoltatore o dello spettatore. tanto da indurre idee e comportamenti consoni al significato del messaggio assimilato, col tempo.

Si tratta di una specie di effetto metamorfico e catartico affidato all’emozione, alla commozione, capaci di indurre all’apprendimento molto più efficacemente della semplice spiegazione fredda e razionale, che non resta per così dire attaccata alla memoria, se non si rende attiva la sfera affettiva.

In pratica, emozionare vuol dire potenziare la memoria, l’apprendimento, ma anche rischiare una qualche deviazione verso risultati deleteri.

In questo era il magistero di Mnemosyne, ma anche delle Muse, che fornivano la base dei ricordi, essenziali per la poesia, ma anche le tecniche.

Come dire la parola e la tecnica grammaticale.
L’ispirazione e l’esperienza sintattica.

***
*

La Memoria.
Dove abita?
Dentro di noi, o fuori?
Sul Parnaso?
O in tutti questi posti?
In vari e molteplici siti.

Ma la sua sede precipua è nell’Iperuranio?
O dentro le grandi stanze ove si conserva traccia della conoscenza umana?

E se così fosse, chi ne è il sovrano?

I custodi che si affaccendano a spolverare e pulire, o i possessori delle chiavi?


O gli studiosi, che in fin dei conti nulla potrebbero senza i custodi, con i loro giornali rosa sportivi, le loro focacce con la frittata e le arance sbucciate con la lentezza d’un pendolo?

***


*

E se scomparissero tutte le chiavi, ci sarebbero ancora le memorie, e la Memoria dove volerebbe?


E se le chiavi scomparissero e le porte restassero disponibili, apribili, e ognuno potesse togliere e aggiungere al patrimonio delle informazioni, delle narrazioni, della storia scritta e della letteratura, cosa mai potrebbe accadere?


Sarebbe possibile distinguere fra le cose aggiunte e quelle autentiche?
O tutto sarebbe come prima?
E se nulla poi mutasse, malgrado la patente possibilità d’ogni mutamento?

Mettiamo che nessuno entrasse mai per ignoranza delle cose, per disinteresse o per pura prudenza comportamentale nelle stanze dei documenti incisi, registrati o scritti e che tutto rimanesse come se le serrature fossero sempre state in efficienza, cosa cambierebbe nell’assetto generale?

Ognuna di queste ipotesi esclude l’altra.


***
Certo, sarebbe stato davvero disdicevole che tutti quelli che in qualche modo si ritenessero coivolti nella custodia dei dati e delle informazioni dovessero chiudersi dentro i locali ove fossero sistemati i computers.
I custodi dei libri, dei documenti e delle macchine informatiche sarebbero divenuti sacerdoti e quasi vestali del fuoco della verità e della conoscenza.


Ma tutto questo avrebbe annientato quel fattore imprevedibile e in un certo sento destabilizzante, eppure ricco anche di implicazioni positive, che era il ‘clinamen’, di cui tanto disse e scrisse il grande Lucrezio Caro.

Ogni cosa, ogni vita, ogni movimento tende pigramente a conservansi come tale nell’intensità, che comunque decresce progressivamente, e nella direzione.
Ma ad un certo punto, quando tutto sembra stabilizzato e immoto nell’autoconservazione, c’è un guizzo, un mutamento nella direzione, e talvolta, per motivi di attrazione d’altre masse, nella velocità, che può mutare d’intensità aumentando.
Questo dispone ad altre esplorazioni, ad altri incontri, ad altri itinera, diversi da quelli precedenti, e consente nell’immobilità cosmica, generale e globale la trasformazione e il mutamento.

Questo era accaduto anche a Louis, ad un certo punto della vita, quando aveva sistemato ogni aspetto della sua apparente vita di insegnante di lingue desuete e passate.
Lo stesso assetto statico e tranquillo che lui aveva impresso alla sua esistenza si era trasformato in propellente per entrare in una nuova dimensione.

Ricordava ancora quella estate del ’92, quando, alla fine dell’anno scolastico, i suoi colleghi avevano deciso di sostituire, in pratica, un corso di Greco nel Liceo con uno di lingue moderne.
Cosa egregia.
Ma per lui comportava dover quasi rinnegare la scelta fatta tanti anni prima, quando con suo Padre aveva deciso di studiare la parte più difficile delle Lettere, quelle classiche, il latino ed il greco.

Non che lui amasse poi tanto questi due scogli, ma aveva ceduto al desiderio paterno, quasi fosse una sfida si era laureato, dopo il servizio militare aveva iniziato ad insegnare prima italiano e storia, poi quasi per combinazione prorpio greco, insieme ad arte, nel liceo vicino al suo paese.

Era davvero molto impegnativo preparare i classici, tradurre tante versioni, preparare meticolosamente la spiegazione delle regole, imparare a sciorinare paradigmi e declinazioni.

Il greco faceva paura agli studenti, e si accorse presto di avere un’arma deterrente potente nella penna e nelle mani.
Ma non la usò mai.
Si fece prendere dalla pietà e dalla compassione, tanto che presto scelse la strada non del controllo asfissiante e perverso, ferreo, ma della facilitazione e dell’aiuto, ben sapendo il rischio cui andava incontro.

Gli Alunni gli volevano bene, ma non avendone paura ritenevano che
fosse necessario prestare più attenzione a qualche altro docente.
I colleghi lo trascuravano, sapendo che era quasi amico e collega più degli Alunni che dei docenti.

In questo modo, alunno e professore, bibliotecario e aiutante di tutto e di tutti, insegnava in un modo nuovo, insolito, per qualcuno stravagente e strano.

Gli capitava di fare tutti i mestieri.
Un po’ il professore, un pò il preside, un po’ il custode.
Gli capitava di dover riparare a volte serrature e porte, tavoli e armadi, quando tardavano ad arrivare gli aiuti delle autorità comunali.
Non che difettasse di umiltà, ma vedeva i colleghi limitarsi a fare pochi segni sui registri, senza nemmeno portare i libri a scuola.
Lui ne era sempre pieno.
Libri, penne, carta erano la sua passione.
Quasi invidiava i colleghi che sapessero farne a meno.
Ed erano quasi tutti, tranne uno.
Questo, sciatto nel vestire e nel porgere qualsiasi parola, veniva a scuola con un variopinto zaino pieno alla rinfusa di manuali, fogli di carta, mozziconi di matita e vecchie penne di qualità assai ordinaria.

Si sarebbe detto che costui avrebbe avuto tutte le soddisfazioni che Louis meritava senza avere un’oncia di classe, abilità, eleganza …
No, il fatto era che Louis amava perdersi nei dettagli, non aveva un vocabolario ed un lessico in comune con il branco e coltivava sogni utopistici e irrealizzabili.

Era come se una parte dei rapporti ordinari con il resto dell’umanità si fosse formalizzata e stilisticamente cristallizzata.
Mancava quel pizzico di confidenza e di familiarità che lega come dei complici le persone anche ostili e avverse, che unisce i pescatori e i cacciatori tesi e concordi come in nessuna altra occasione se non in quella di tendere agguati agli animali commestibili o a quelli che in qualche modo eccitavano la loro sete e fame di giustizia contro ogni essere che contrastasse la loro attività.

Non era un cacciatore, questo era evidente, e per gli uomini chi non era un cacciatore era una quaglia, un fagiano, un coniglio selvatico.
Una volpe o una lepre.

La quaglia, la semplice quaglia quando si accorge che i suoi piccoli uccelleti sono in pericolo per la presenza d’un predatore, finge d’esser ferita e si fa vedere mentre batte le ali come se non potesse volare, così da distrarre l’aggressore dai piccoli.

Questo è capace di fare un animale che poi si fa uccidere e mangiare dall’uomo.

Ma chi è davvero umano, l’uomo, il ‘figlio di Dio’, o l’animale, indifeso, che si difende con l’amore e l’intelligenza?
Chi è davvero figlio di Dio?
E Dio, se l’avesse, non avrebbe forse il cuore di Mamma Quaglia?
O di qualsiasi altro Animale così capace di un così grande sacrificio e di tanto amore?

Ma Dio deve proteggere il cacciatore e la preda, e a volte i due non sanno che le parti possono invertirsi, anche se in maniera assai improbabile.

Spesso, se non sempre, pare che sia proprio l’elemento peggiore, il più violento e il peggiore a sopravvivere, a prevalere.
Da sempre.

***

Tutto questo viene spiegato facendo ricorso ai geni, ai cromosomi.
E’ come se volessimo far capire ad un vaso di cristallo che la sua caratteristica e proprio per questo esclusiva fragilità e trasparenza sono dovute ad un fattore di genesi e di distribuzione molecolare.

O alla gomma che la sua elasticità parimenti è data dalla distribuzione delle sue molecole, cellule e particelle atomiche geneticamente predisposta a priori dalla natura stessa.

Insomma, è un fatto di genetica se una lasagna non è uno sformato di cicoria cacio e uova, o una frittata.
Se non ci fosse stato rivelato questo, certamente ci saremmo confusi nella vita e nella cucina.

C’era stato un tempo in cui Louis si era reso conto che la sua non sarebbe stata una vita ordinaria, geneticamente riconducibile allo standard confezionato dal pensiero comune, dalla gente ‘normale’, che poi normale non è.

Visto che a seguire la norma, si viene considerati un po’ anormali, alla fine, dal branco, che stabilisce regole e norme spesso in deroga alle leggi e norme reali.
La nostra è la società che viene determinata dal conflitto del mondo ideale del dovere contrapposto a quello reale della soddisfazione, che non crea complessi di colpa quando è condivisa dal gruppo.

Tutto ciò che dà piacere, sembra quasi debba essere ottenuto come un bottino e una preda, da spartirsi con il branco, con il gruppo.

La partecipazione collettiva attenua i complessi di colpa, insiti nella soddisfazione del piacere, sia pure un piacere che nasca da una necessità, come quello del cibo.

L’isolamento dell’uomo è necessario in certe situazioni particolari.
Nelle imprese più rischiose e nei viaggi più avventurosi si è soli.

Si è soli nel dolore e spesso quando si aiuta, quando si fa del bene a qualcuno.

Ma non si è soli nel lavoro di gruppo, e soprattutto in quello che lo è per eccellenza, la caccia.

Chi ha studiato l’uomo, sostiene che la società sia nata proprio in base all’esperienza della caccia, che ha favorito la divisione dei lavori e dei compiti, dei rischi e della soddisfazione finale.

La violenza e la crudeltà insite in quell’attività, venivano e vengono attutite dalle esigenze vitali che dovevano essere soddisfatte ad ogni costo.
E possibilmente, nella caccia i costi sono a carico della preda.

Così pure in guerra.

Le responsabilità più gravi sono sempre del nemico, dell’altro, di chi minaccia le nostre case, la nostra gente, le nostre famiglie inermi e indifese.

Si potrebbe obiettare che nell’amore non vige questa regola della spartizione della preda e della responsabilità.



Ma anche in quel caso, l’uomo si isola apparentemente e solo per gli scambi assolutamente personali, mentre tutto il resto è spettacolo, discussione, pasto per un pubblico di amici, di parenti, di vicini, di curiosi.



Il matrimonio è una scena di caccia, in cui il gruppo dona e riceve in cambio una catena di relazioni affettive, alcune ore di amicizia in comune, parole di augurio e conforto che spesso, in molti casi certamente tanto più numerosi quanto nel tempo sconosciuti, superano le ore di affetto e di allegria di tutto il matrimonio stesso, fatto a volte di indifferenza, di assenza, di fastidio e noia, salvo le eccezioni che sicuramente non verranno rese note a nessuno.





Prof Gennaro Luigi di Jacovo
Via Trento 54 \ 58100 Grosseto GR

Al Presidente della Repubblica
Professore Carlo Azeglio Ciampi
Quirinale

Al Segretariato Generale della
Presidenza della Repubblica
Ufficio per gli Affari Giuridici e le
Relazioni Costituzionali
** Prof. Marcello Romei

Rife UG N. 581/2005 - prot. SGPR 10/03/2005 0029656 P.


Ho ricevuto risposta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, Ufficio Scolastico per la Toscana, Centro Servizi Amministrativi di Grosseto, in merito a quanto da me rappresentato nella mia del passato 1 marzo 2005.

Quanto mi si comunica era da tempo a me noto, anche se avrei gradito dal Ministero Istruzione un qualche riconoscimento puramente formale del mio impegno in corsi di aggiornamento che ho frequentato dietro proposta diretta dei miei presidi.
Mi sorprende che … non fossero autorizzati, visto che un tempo ogni corso era autorizzato dal Capo d’Istituto e l’insegnante veniva inviato in sedi vicine ad aggiornarsi.

In ogni caso, non posso che ringraziare per l’attenzione che è stata comunque accordata ad un operatore della scuola che continua ad amare profondamente le scuole per cui ha lavorato e la Scuola tutta, i giovani e le loro speranze, che sono veramente il futuro dell’Italia, dell’Europa, del mondo.

In tempi difficili per la Charta europea il ricordo, ancora vivissimo, mi riporta ad otto anni fa, quando nel Liceo Dante Alighieri di Orbetello mi sono battuto per fare approvare la Charta di quella scuola, fino probabilmente a provocare la mia consequenziale partenza da quel liceo.

La Charta europea sarà un giorno approvata, ma in base alla mia umile esperienza personale so che occorrerà una certa dose di testardaggine e di forza per convincere una parte cospicua dell’Europa.

Nella Biblioteca dell’Istituto Tecnico Commerciale Vittorio Fossombroni, ove lavoro attualmente, aspetterò che Lei Presidente, voglia essere così gentile da spedire per la mia semplice persona e per la Scuola ove mi trovo una copia della Costituzione della Repubblica Italiana, di cui oggi è la ricorrenza.
Me ne spedì copia anche il Presidente della Camera dei Deputati Nilde Jotti nel 1986, con una bella lettera per me ed i miei Alunni di allora.

Per tutto quanto dico nella mia precedente lettera, vorrei ricordare che tutto quello che esprimo riguardo alla cosiddetta ‘altra mansione’ con cui genericamente si indica l’attività cui sono destinati gli insegnanti come me vuole solo essere a tutela dei diritti a cui tutti essi hanno libero accesso.

Desidero adesso porgere i miei ringraziamenti e gli Auguri migliori di Buon Lavoro e ogni Soddisfazione a Lei, Presidente, al Professore Romei ed a tutti i Vostri Collaboratori, ovunque si trovino ad operare per tutte le Charte, per tutti i cittadini.


Grosseto, 2 giugno 2005-06-02


Gennaro Luigi di Jacovo


***

Con questa breve lettera Louis aveva risposto alla missiva che gli era giunta dalla Presidenza della Repubblica Italiana, in risposta alla sua del primo marzo, Sant’Albino, ed alla lettera del Provveditore di Grosseto, che portava il nome di quella lingua che fu di Omero e di Odisseo, e che era stata la compagna di gran parte della sua vita.

Almeno di quella … letteraria.

La questione dei suoi ‘corsi’ di aggiornamento andava risolvendosi e spegnendosi in modo quasi naturale, per mancanza di linfa.

Lui aveva voluto ricordare alla sua Scuola cosa era stato e cosa era, adesso che molti superficialmente pensavano che lui non insegnasse più, voleva ancora insegnare qualcosa. e magari non ai bambini, ma ai ‘grandi’, ai vecchi, che soltanto ora lo chiamavano Professore.

Era come se quel termine, che aveva sempre considerato estraneo alla sua persona, allotrio e alieno, eccessivo, adesso lo appagasse e gli restituisse quel saio da insegnante povero e quasi da minore francescano, logoro, di tela grezza, con un gran cappuccio come piaceva a lui, che aveva indossato per tanto tempo, chino sui compiti e sui libri.

Era come se ritrovasse il suo vestito, quel vestito che lo faceva sentire a suo agio, tra mille voli di tortore e di piccioni, di rondini, con il suo grande lupo nero seduto, la gran coda distesa e un’aria come d’un Natale pieno di Primavera.

Come era lento, nelle sue azioni, e quante approvazioni desiderava per sentirsi appena un po’ appagato e sereno.

Gli avevano scritto le persone più oneste e giuste, Giovanni Paolo II gli aveva mandato per quattro volte la sua benedizione, con la tacita facoltà di estenderla alle persone a lui legate o da lui ritenute vicine e prossime, Tonino Di Pietro gli aveva scritto di non arrendersi mai, e di restare fedele alle idee della competenza e della correttezza nonostante le eventuali incomprensioni ‘contestuali’, eppure sentiva che la sua esistenza era troppo evanescente e che tutta la realtà, pur non affascinandolo eccessivamente, quasi gli apparteneva senza tuttavia che lui potesse minimamente mutarla né comprenderla, nel suo immenso e confuso mistero.

Quanto smarrimento e dolore, nella natura.

E quanta presunzione, nell’avvertirlo.

Chi soffre è geloso del suo dolore, tende a nascondersi, a isolarsi, mentre chi è contento mostra di voler dividere la spensieratezza con chi lo vede, con chi gli è intorno.

Sono i ricchi, quelli che si convincono d’aver capito i piaceri della vita e di saperli possedere, ad esibirsi ed esibire i loro oggetti lucidi e raffinati, a cercare un pubblico sempre e ovunque.

Questo aveva imparato e dimenticato mille volte … come diceva il poeta di Semproniano Mario Luzi in Aprile Amore.


Tanti anni prima aveva iniziato un tipo di comunicazione assai particolare con i suoi simili.
In un ambiente scolastico e sociale che a lui non sempre si attagliava, con amici piuttosto peripatetici e pettegoli, ma non per questo cattivi certo, aveva preferito un rapporto più riflessivo e ponderato con un contesto più remoto e distante.

Quasi come se fosse sempre in collegio. o addirittura in galera, aveva preferito scrivere piuttosto che parlare, ad interlocutori, amici e parenti.

Certo, gli amici ed i parenti lo avevano assecondato con estrema semplicità e laconicità.

Invece si era rifatto con amiche lontane, che erano diventate per lui come delle confidenti, prendendo però presto la veste come di sue assistite, visto che gli scrivevano con quasi ad un medico dell’anima ogni loro vicenda, anche sentimentale.

C’era un coinvolgimento anche nella carta che comportava la nascita di affetti e sentimenti che si nutrivano di tenui inchiostri e di pastelli, di fotografie e di cartoline.

Come Antonio Gramsci e don Lorenzo Milani, lui amava insomma esprimersi e spiegarsi con le lettere.

Ma a dire il vero desiderava anche conoscere e parlare ‘dal vivo’, anche per non correre il rischio di trasformarsi in una specie di animale da laboratorio, chiuso nel suo bozzolo di baco da seta di comunicazione.

Così un giorno inviò alcuni suoi componimenti ad una trasmissione radiofonica.
Dopo alcune settimane gli giunsero delle lettere.

Le lesse con molto interesse, felice.

Così iniziò la sua amicizia di lettere con una studentessa di Mantova e con qualche suo altro ‘ascoltatore \ lettore’.

A poco a poco però questi rapporti si rivelavano effimeri, se non fastidiosi, dal momento che le sue corrispondenti si aspettavano da lui una quasi legittima estensione di quella amicizia cartacea.

Ma questo non poteva realizzarsi, visto che Louis era molto legato alla sua situazione familiare e, sebbene in qualche occasione come fanno certi cavalli, avesse tirato la cavezza in modo anche rude, non aveva mai realizzato nulla di veramente serio per staccarsi dal suo contesto immediato.

Insomma, che fosse il lumacone casereccio che pareva agli osservatori interni ed esterni oppure una specie di cane fedele che in qualche modo rimpiazza gli assenti, lui restava a casa.
Ma a queste lettere, si aggiungevano quelle scritte ad altri per ragioni diciamo pure sociali e politiche.

Aveva iniziato ai primi degli anni ottanta a scrivere a ministri e uomini politici cercando di convincerli della necessità di provvedere in qualche modo all’esigenza d’una scuola, assai sentita dai suoi Alunni.

Gli anni passavano, ma il suo piccolo Liceo restava senza una sede propria, né i politici locali si interessavano molto alla questione.

Nei paesi vicini invece l’interesse per le scuole era decisamente più alto.
A Massa Marittima, come aveva notato, la popolazione aveva richiiesto ed ottenuto sedi nuove per il Liceo ed il Minerario.

A Manciano era stata richiesta l’istituzione d’un Liceo Scientifico.

Anzi, per dirla tutta, l’iniziativa della richiesta era partita dal Comune, ma poi un bel gruppo di geniali imitatori si era accodato a questo.

Un bel giorno, quando Louis era preside del liceo Dante, arrivò una telefonata che lo informò dell’imminenza d’un sopralluogo che il preside precedente aveva promesso di fare a Manciano.

Così il giorno prefissato con la mamma e Argo si recò nel borgo dell’alta Maremma e visitò la Scuola Media, rendendosi conto del fatto che volevano ospitare il nuovo iltituto nella stessa.

Tornato a casa, preparò un’accurata relazione in cui dichiarava che la sede sarebbe stata idonea se fossero state realizzate alcune opere essenziali per la sicurezza.

In effetti quel Liceo iniziò a funzionare l’anno successivo e negli anni seguenti fu completato nelle sue strutture architettoniche e didattiche.
Fu dotato anche d’un buon laboratorio informatico, anche per la notoria buona fortuna che accompagnava un docente matematico fissato per le macchine elettroniche.

Era lo stesso che tempo prima si era dichiarato contrario all’affermazione di Louis che fosse opportuno intitolare al prof Eugenio Romani il Liceo Scientifico di Manciano.

Era il preside che aveva preceduto Louis e che avrebbe dovuto recarsi all’appuntamento per il sopralluogo alla Scuola Media di Manciano.


‘Il pensiero della Morte mi accompagna …

Quando aveva letto i versi di Aprile Amore, era rimarto interdetto.
Quella tristezza, quel dolore, quella percezione di tutta la sofferenza dell’essere li ritrovava in un poeta così abile nel sapere poi trasfigurare la sconsolata miseria del vivere captata nel paesaggio nella speranza, nella certezza e nell’aspettazione d’un aiuto venuto da lontano.
Era proprio come in una poesia di Louis, Speranza.
Anche in quella sede l’Autore si ‘aspettava’ un misterioso Kwalk Uno che potesse più alla buona ‘dare una mano’.

Sembrava che il dolore fosse la costante della vita, il suo motivo dominante, e la fuga dala sua influenza il fine più ambito.
L’assenza del dolore è il piacere, null’altro.
Aveva già sentenziato Epicuro.

Eppure in determinati casi si riconosceva che il dolore potesse essere almeno in parte educativo, se non terapeutico, naturalmente senza per questo cadere in qualche sorta di masochismo, stato psicologico che inquina gran parte delle moderne giuste e buone intenzioni.

Molta della letteratura sembra ispirarsi a sensazioni di dolore da cui non si può fuggire, da cui è impossibile liberarsi.

Talvolta il dolore, specie quello derivante dalla perdita, dal distacco e dallo smarrimento di qualcuno o di qualcosa, ci segue dappertutto, vive dentro i nostri pensieri, ispira ogno nostra cosa pensata e scritta, immaginata o detta,


Così l’Eneide e l’Odissea, immensi poemi della nostalgia e del dolore della perdita, cantano un  che non muore, si nutre di altri contesti e schemi logici diversi da quelli suoi originari ed assume infine forme di pensiero restituzionale e progettuale, così che il tema del ‘ritorno’ o della fondazione d’una nuova società ne facciano da termine e da obiettivo fondamentale e costruttivo, capace anche di obliterare la sofferenza diventata impulso al altro e nuovo vivere.


In questo modo il dolore viene naturalmente utilizzato dai personaggi di Virgilio e Omero.

Nella letteratura moderna, invece, spesso il cosiddetto pessimismo, in sé addirittura positivo se considerato atteggiamento prudenziale e cauto di fronte ai rischi dell’esistere ed alle azioni o imprese pericolose, invade la mente dello scrittore, che spesso proietta se stesso nei personaggi trasformando ogni scritto in una sorta di autobiografia più o meno criptata re impedisce qualsiasi soluzione che non sia quella sfiduciata che assume tutta l’esistenza come qualcosa di negativo.

Ma anche in questo atteggiamento, c’è la formulazione di un’alternativa possibile, almeno nel principe del cosiddetto pessimismo cosmico.

Nella sua ultima poesia, scritta in una villa presso Napoli, al cospetto del Vesuvio, Giacomo Leopardi formula un invito all’uomo perché si unisca e affronti il male, il nemico comune, la macchinazione della Natura.
Auguriamoci che sia non la Natura, il nemico, ma la macchinazione, ossia un suo atteggiarsi distorto dovuto anche al comportamento umano, come fosse la struttura cosmica e non il cosmo stesso a perseguitarci e schiacciarci.

Ma comunque, la Scuola e l’Università stesse, con le sue formule spesso melense e stantie, da sempre continuavano a presentare Leopardi come il coniatore di concetti assai drastici sulla efferatezza della Natura ‘matrigna’ nei confronti dell’uomo.


Molto probabilmente il discorso dei poeti, per lo più dei poeti romantici, e sappiamo che l’atteggiamento ‘romantico’, come ogni altro atteggiamento dell’anima e degli affetti, nel pieno della loro espressione, può essere appartenuto anche a persona d’epoca anteriore al movimento di pensiero e può connotarsi quindi come un atteggiamento policrono universale, è da assumere non come assoluto e proiettato nel futuro, ma come relativo e riguardante il presente.


Il loro frequente lamento d’animale afflitto, tormentato e quasi perseguitato dal cosmo è solo strumentale, e vale per un presente che pare eterno, ma è disposto a cessare all’apparire d’una prospettiva qualsiasi di felicità, anche effimera, anche leggera e destinata ad una breve ora di luce.

Non è eterno il dolore dei poeti, ma effimero, mentre eterna pare la loro impavida capacità di soffrire e di offrire uno spettacolo non sempre dignitoso, ma anche piagnucoloso e petulante,

A qualcuno questo pianto perpetuo, insistente, più o meno intenso e giustificato, certamente non torna molto gradito.

Ma ai lettori dì ogni epoca, le tragedie più o meno intense sono risultate sempre assai più ben accette dei drammi che avessero lieto il fine, il mezzo ed il principio

Anche se non è stato mai esiguo di certo il numero dei lettori assidui e appassionati, chiamiamoli così, di romanzoidi fantasioni e sdolcinati in epoca classica e moderna.

I fatti altamente drammatici, la violenza, la morte stessa sono stati per secoli i temi prediletti della letteratura, dallo scadente racconto del romanzo di bassa lega alle vicende poeticamente raffinate dei canti epici e lirici.



*** Sembra, e non occorre scomodare illustri teorie ( come quella del valore catartico della rappresentazione scenica della sofferenza, del dolore e del suo stesso racconto da parte dell’eroe, che altri non è che quello che i cineasti chiamano interprete principale e che nella vita viene invece definito via via come la commiserazione, il ludibrio e la pietà suggeriscono ) che effettivamente l’esposizione delle proprie avventure o disavventure sia sorgente di nuove, possenti emozioni capaci di provocare effettivamente una scelta equilibratrice in chi si offre come narrazione di se stesso.


Ma certo non possiamo andare in giro a raccontarci come Enea a Didone e Odisseo alla corte dei Feaci.

Storie così variegate, poi, non ne abbiamo certo.
E se anche fosse, raccontata una volta anche la storia di Ifigenia, Penelope e Argo risulterebbe fatalmente risaputa.

Una volta sola nella vita ci è concesso di essere, e di essere solo per metafora, Enea o Ulisse, di avere la possibilità di ‘raccontarci’ e anche allora non è detto che scatti la possibilità della ricostruzione della nostra vita, la rideterminazione e la nuova motivazione d’un futuro denso di nuove incognite ma privo dell’ansia e dell’angoscia dell’oscurità della fonte e della sorgente lontane da cui proviene il fiume, o il ruscello, della nostra vita.

Di sicuro, si dirà, molti amano ripetersi, ma questo atteggiamento iterativo riguarda per lo più le ordinarie abitudini, ed anche le esagerazioni e le aberrazioni, personali.

Si sa che molti moderni studiosi della psiche hanno esteso la teoria platonica dell’arte quale forma di mania divina capace di elevare l’anima dell’uomo e quasi farlo avvicinare, ma questo solo la scienza matematica e geometrica può farlo compiutamente, all’iperuranio.

L’anima dell’uomo è descritta genialmente da Platone come un cocchio con due cavalli.
Uno bianco e docile, l’altro nero e focoso, quasi ribelle, indomabile.

L’auriga, la coscienza, deve guidare il cocchio tenendo conto di questa realtà doppia, bipolare, con tutti i rischi del caso.

A questa hanno abbinato la teoria dell’arte quale complesso di attività mimetiche della natura ruotanti intorno alla tragedia, che è come se fosse il cuore dell’arte, la fonte di Mnemosyne stessa, la sorgente d’ogni rappresentazione artistica.

Ora, consta che da Freud in poi, un abile medico e accanito lettore delle tragedie greche, questi due ‘miti’ di Platone siano diventati un vero leit motiv applicati non tanto alla comprensione della natura umana, ma addirittura estesi all’analisi di talune sue presunte patologie.

L’abilità di un medico austriaco occasionale lettore di letteratura greca ha trasformato le vicende della tragedia ellenica in un grande, arbitrario serbatoio di situazioni cliniche, a cui poter attingere senza necessariamente la solennità, la commozione e la sacralità che era la caratteristica comune ai lettori ed agli spettatori antichi.

Così al suono di ‘complesso di Tizio’ e ‘complesso di Caio’ la ‘scienza’ psicologica, nutrita della più fosca tadizione tragica e delle più cruente narrazioni della migliore tradizione drammatica ateniese, ha affrontato tutti quei casi che presentavano analogie con il piano narrativo classico di Sofocle, Euripide ed Eschilo.

Stranamente l’unica vicenda veramente lacerante e folle di tutta la letteratura greca, quella di Medea, non è stata manipolate né utilizzata dagli psicologi, dai teorici della letteratura delle manie.


Invece il povero Edipo è diventato l’emblema stesso del disturbo mentale, del disagio, direi che il suo motto non poteva ce essere:


‘sto male con me stesso, sto male con gli altri …’.


Il povero Edipo, o ‘Edipo come preferiscono altri, era solamente bisognevole di conforto e di consolazione,
Orfano, appeso per i piedi come un capretto, con i piedi bucati era stato trovato e allevato prima da un pastore, popi dal re di Corinto.
Sentì che non era che un bastardo, e andò alla ricerca dei genitori, dei parenti, del padre.
Purtroppo lo incontrò e senza poterlo certo riconoscere lo uccise.
Così Edipo uccise il padre, senza saperlo.

Non solo, ma sposò la madre, in completa ignoranza, dopo aver vinto le insidie della Sfinge.
**
Quando si rese conto, dalle sciagure di Tebe, di aver compiuto azioni interdette, si accecò e andò via da Tebe, a Colono, ove trovò finalmente serenità.

Edipo il cercatore, capace di vincere il mostro dell’indovinello fatale..

Edipo l’orfano, il bambino dai piedi gonfi, dai piedi bucati.
Laio lo aveva fatto esporre perché un oracolo aveva predetto che il figlio lo avrebbe ucciso.


La psicoanalisi ha eletto il patrono stesso del fatalismo a simbolo e protettore della libertà delle scelte umane, paradossalmente.


E’ come se riconoscesse l’ineluttabilità di quello che gli ingenui chiamano destino, che anticamente chiamavano fato e che i naturalisti chiamano sistema, o natura.
Il fato era una forza latente, oscuro agli stessi déi, che in un certo senso ne erano succubi come i mortali.
Si potrebbe dire che in effetti era la sola, unica, impalpabile divinità, il solo Dio che permeava e regolava il Cosmo.

***


theta




* Il Professionale, come veniva ordinariamente chiamato, era un grosso edificio sistemato proprio all’angolo d’una importante piazza della città.

Il giovedì c’era mercato, un rituale utile e dilettevole per tutti.
Negli altri giorni niente e nessuno poteva togliere la gloria della scena al palazzo, che un tempo era una ottima Scuola Media, la scuola dove Louis Aveva insegnato Latino priva di accettare le 150 ore nei moduli di Orbetello e Albinia.

Andò in presidenza, in un mattino di settembre.

Il preside gli diede un sobrio benvenuto nella scuola.
Era tutto indaffarato a smistare le classi che per la prima volta prendevano posto in quella sede.

Gli disse che avrebbe insegnato nel triennio, ai ragazzi più in là con gli studi, ma non in quella sede, a Marina di Grosseto.

Così Louis andò subito lì.

Il direttore lo accolse dicendogli che si era presentato troppo presto, poteva anche aspettare.

In ogni caso, si notava la presenza di un insegnante che per ora aveva le classi che sarebbero poi state effettivamente assegnate a lui.
Quell’insegnante più tardi lo avrebbe ritrovato in una succursale del professionale, nella cittadella degli studi, impegnato solo per dodici ore, mentre a lui, a parità di trattamento economico, ne furono assegnate ben diciannove.

Quando Louis arrivava, si moltiplicavano ore ed alunni.

La sede di Marina era un modesto fabbricato, un tempo forse colonia marina, circondato da autentici ruderi d’altri fabbricati analoghi.

Guardando dal certe finestre era possibile essere colti da autentici attacchi di depressione, dal momento che si aveva l’impressione di trovarsi al centro d’una zona bombardata al tempo dell’ultima guerra, come la chiamano gli speranzosi, oppure in una zona calda del Medio Oriente.

Comunque, a parte la vista dalle finestre, che in un’altra classe offriva anche un panorama dell’Argentario e di Monte Cristo, tanto per fargli capire d’essere abbastanza lontano da casa e abbastanza vicino a mete nemmeno sperate, di notevo quell’anno ci fu che le classi erano alquanto vivaci e quando uscira, sia dalla sede di Marina che da quella della cittadella, sentiva un bel profumo di cucina.

Si trattava di sezioni di specializzazione Alberghiera del professionale.

Ma a dire il vero non fu mai chiamato in occasione alcuna a dare neppure un modesto parere sulla bravuta di studenti ed alunni.

A lui toccavano solo le nobili astrazioni della storia, della grammatica e dell’educazione civica.

Quell’anno passò fra una miriade di incontri pomeridiani di aggiornamento d’ogni tipo.

Louis si buttò a capofitto in questa attività, quasi per convincersi che fossero utili almeno alla socializzazione, a qualche scambio d’informazioni fra i docenti.

Ma in realtà quei corsi erano strumentali per lo pù ad una specie di giustificazione metadidattica che si doveva dare alle tante funzioni paradirigenziali che si andavano inventando in una scuola che sembrava sempre più un ipermercato virtuale.

Ogni cosa si trasformava in test.
Anche il linguaggio fra operatori era ormai una specie di scelta fra varie opzioni sbrigativamente proposte.

L’uomo era partito dagli elenchi delle mercanzie nei magazzini fenici e mesopotamici ed aveva inventato la scrittura.
La letteratura era nata, con tutte le sue eleganti formule di parole, dalle ansie catalogatrici dei bottegai.

*
Nemmeno se lo ricordavano più, i traduttori dei traduttori di Omero.

E adesso, proprio dove di sarebbe dovuto insegnare la letteratura, a scrivere e parlare, si ritornava all’antico linguaggio dei bottegai, che sapeva fare a meno della letteratura e della poesia, forse perché era esso stesso una forma creativa di poesia e linguaggio.

Tutta la scuola italiana, e forse del resto del mondo, si era arenata sulle secche dei quesiti memorabili e, come dicono i saputelli, epocali quesiti irrisolti della cultura didattica.



Il sistema diretto e brutale della domanda:


a. chi ha scoperto l’America?
b. chi ha ucciso Cesare?

oppure, per i matematici:
c. quanto fa due più due?

era diventato


l’America è stata scoperta da:



a. chi fa fortuna
b. chi le toglie la coperta
c. gli Egizi, i Fenici, i Vichinghi o l’equipaggio della Nina,
la Pinta e la Santa Maria.


** Restava aperto, per i cosiddetti Saggi, ogni tanto convocati e sempre più numerosi in barba alla demenza dilagante, e per gli intellettuali in genere il tema e problema, come di addice a tutte le cose assai serie, dell’epistemologia.




Che non è una disciplina da poco, e neppure una scienza, ma quasi una ricerca della ricerca, quasi uno studio dello studio.
Non vuole sapere, ma sapere di sapere e per sapere di sapere per saperne di più e per sapere perché e per chi o percosa si sa o non si sa.

Sempre che si sappia e non si sappia di sapere.

Questo è un antidilemma, perché un tempo né prima né dopo di Socrate, ma nello stesso tempo, era già sapere sapere di non sapere.

Adesso occorreva sapere, e ricercarlo ovunque, cosa è sapere e come funziona il gioco stesso di questa arcana attività organizzatrice non della mente o del cuore, ma proprio del sapere.


Scio ergo scio et sciens scire scio.
Qui scire scit sciens esse scit.



Ma nelle scuole si combatteva in prima linea.

Era nelle colte università, sede dei pozzi della scienza che si dibattevano queste squisitezze.

E si stampavano a spese pubbliche.
Era nelle università, dove già restare era indice di fierezza, di durezza e di capacità di resistenza e di attitudini alla costruzione d’una efficace e solida, ma anche elastica e appiccicosa rete sociale.

Era nelle università che si dibattevano i grandi temi epistemologici, fra un concorso ben costrutto ed un incarico ben appioppato.


E intanto, a detta dei veri esperti, nelle università restavano i peggiori, ossia i più ignoranti e i più abili nel tessere contatti fertili, i predatori e i carnivori, i cacciatori di cattedre, i surgelatori delle idee, dei libri e delle biblioteche, gli insonni addormentatori del sapere, del volere e del potere, mentre i ricercatori veri preferivano affrontare il mare aperto della vita e guadagnarsi altrove il pane, magari anche senza la pregiata cicoria di campo, costosa e rara, contrariamente a quel che andavano predicando certi ortolani politici che forse la volevano tutta per sé



L’estate successiva gli arrivò una raccomandata che parlava di ...



Trasferimento definitivo all’Istituto Tecnico Agrario Leopoldo II di Lorena di Grosseto.



nei suoi riguardi.

Chissà perché, la cosa gli diede un brivido freddo e gli trasmise una sensazione decisamente negativa.


Quando si presentò in quella scuola, gli furono assegnati dei corsi di sostegno per alunni che non avevano superato completamente l’anno precedente.
Riprendeva contatto con la nuova situazione.


La scuola non ‘bocciava’ più.

Ma si continuava ad usare ed a praticare quest’azione da circolo bocciofili postlavoristico di pensionatistica memoria.
Non rimandava.
Applicava ‘debiti’.


Dichiarava in effetti ‘non promosso’.

Appioppava ‘debiti formativi’, alla luce della botteghizzazione di tutta la faccenda.
Si diffondevano le giustifixcazioni con registri e libretti identificati con codice a barre.
Sembrava di essere alla Coop per la spesa, quando si giustificava un alunno.
Mancava solo la spesa e le buste eleganti di materiale plastico, tanto pericolose per le megattere.

*
Non che Louis non amasse le botteghe.
Anzi.
Qualche suo antenato era stato ottimo commerciante ed artigiano orafo.
Lui stesso avrebbe voluto essere un valente botte\gajo.
Ma in effetti la sua occasione era svanita da tempo.

Per lui avevano scelto una strada scolastica e letteraria, e si sa, carmina non dant panem ...

Aveva collaborato per un decennio, inoltre, alla rivista letteraria Alla bottega di milano, pubblicando saggi e poesie sulla profezia medievale, sul Rinascimento, i Medici e Savonarola, Pavese, la linguistica, la questione meridionale e le interpretazioni del fascismo.

Bottega, apoteca, boutique, ptèka era tutto sommato una bella parola e gli faceva pensare al lavoro, ai laboratori rinascimentali, a Cosimo dei Medici, che governava l’Italia dalla sua bottega, appunto.

Ecco, già questo è abbastanza diverso.

Una bottega che esamina, governa, confonde il mercato con arte e poesia, già questo era forse oltre i limiti, i confini a cui deve attenersi una buona, bella bottega d’artigiano o di commerciante.



Quando la mercanzia invade il Tempio, il Parlamento, l’Università e la Scuola, allora si torna alle mercanzie mesopotamiche e l’alfabeto diventa un inutile orpello.



Ma ogni idea è anche una opinione soggettiva, a meno che non sia un’idea primigenia, universale, di platonica memoria.

Louis non aveva potuto opporsi alla nuova botteghizzazione della scuola, della società, era troppo solo, debole.


Commerciante, del resto, è bello.


Si consultano le tabelle del Sole, si prende il Sole 24 ore, non ri rischia l’insolazione perché il Sole è di carta rosa, si controllano nella borsa le azioni, si sospira o si impreca, si consultano i Soli in altre lingue, massima l’inglese, si butta un’occhiata su Internet per consultare il riassuntino degli affari nel mondo.




Si compra e si vende, non si paga nulla, ogni cosa è legata ad un sistema di auto finanziamenti e autopagamenti, anche se poi si arriva sempre al pettine e allora scatta la carta, la tessera, il libretto e le vecchie care penne, a volte modeste per la fretta, tornano a regnare, a volare scattando e tracciando i vecchi insostituibili degni dell’alphabeto non per poesia o per qualcosa di letterario, ma per la vecchia cara ragione che ha generato le lettere dell’alphabeto: l’ auri sacra fames ...




Non ha fatto un grande favore, dopotutto, alla classe operaia, alla classe ‘lavoratrice’ in genere il fondatore del contemporaneo movimento detto marxista, dicendo che il movente d’ogni azione è economico.




Adesso che la classe lavoratrice, dispersa la classe operaia in una miriade di sottoclassi, almeno nel vecchio occidente, vede imprenditori e commercianti prendere, quasi come nell’antica Atene, le redini del carro democratico, che ridiventa timocratico, forse ripensa con rabbia a quell’affermazione.




Ma forse tutti dimenticano che economia anticamente, e quindi anche ora, non voleva dire bottegocrazia o bottegonomia, bensì ‘legge della casa’.


Fare dell’economia voleva dire pensare a tutta la casa, a tutta la città, a tutto il proprio paese, non solo all’andamento del mercato o ai grossi e piccoli conti.




Fare economia significa preoccuparsi d’ogni tema e problema della famiglia e della casa, magari nel modo più giusto, senza essere ‘invadenti’, rischio che purtroppo corre sempre chi aiuta semplicemente qualcuno.




Insomma, non impiccioni, ma interessati a ogni elemento, questo vuol dire essere ‘economici’.

Ma i propri genitori e il significato delle parole, sono la prima cosa che gli uomini dimenticano.



In compenso, dimenticato o travisato un significato, lo traducono in molte altre lingue, così da potersi vantare di non riuscire a capire non una, ma una miriade di parole.

*











iota



** Il Professionale, come veniva ordinariamente chiamato, era un grosso edificio sistemato proprio all’angolo d’una importante piazza della città.

Il giovedì c’era mercato, un rituale utile e dilettevole per tutti.
Negli altri giorni niente e nessuno poteva togliere la gloria della scena al palazzo, che un tempo era una ottima Scuola Media, la scuola dove Louis Aveva insegnato Latino priva di accettare le 150 ore nei moduli di Orbetello e Albinia.

Andò in presidenza, in un mattino di settembre.

Il preside gli diede un sobrio benvenuto nella scuola.
Era tutto indaffarato a smistare le classi che per la prima volta prendevano posto in quella sede.

Gli disse che avrebbe insegnato nel triennio, ai ragazzi più in là con gli studi, ma non in quella sede, a Marina di Grosseto.

Così Louis andò subito lì.

Il direttore lo accolse dicendogli che si era presentato troppo presto, poteva anche aspettare.

In ogni caso, si notava la presenza di un insegnante che per ora aveva le classi che sarebbero poi state effettivamente assegnate a lui.
Quell’insegnante più tardi lo avrebbe ritrovato in una succursale del professionale, nella cittadella degli studi, impegnato solo per dodici ore, mentre a lui, a parità di trattamento economico, ne furono assegnate ben diciannove.

Quando Louis arrivava, si moltiplicavano ore ed alunni.

La sede di Marina era un modesto fabbricato, un tempo forse colonia marina, circondato da autentici ruderi d’altri fabbricati analoghi.

Guardando dal certe finestre era possibile essere colti da autentici attacchi di depressione, dal momento che si aveva l’impressione di trovarsi al centro d’una zona bombardata al tempo dell’ultima guerra, come la chiamano gli speranzosi, oppure in una zona calda del Medio Oriente.

Comunque, a parte la vista dalle finestre, che in un’altra classe offriva anche un panorama dell’Argentario e di Monte Cristo, tanto per fargli capire d’essere abbastanza lontano da casa e abbastanza vicino a mete nemmeno sperate, di notevo quell’anno ci fu che le classi erano alquanto vivaci e quando uscira, sia dalla sede di Marina che da quella della cittadella, sentiva un bel profumo di cucina.

Si trattava di sezioni di specializzazione Alberghiera del professionale.

Ma a dire il vero non fu mai chiamato in occasione alcuna a dare neppure un modesto parere sulla bravuta di studenti ed alunni.

A lui toccavano solo le nobili astrazioni della storia, della grammatica e dell’educazione civica.

Quell’anno passò fra una miriade di incontri pomeridiani di aggiornamento d’ogni tipo.

Louis si buttò a capofitto in questa attività, quasi per convincersi che fossero utili almeno alla socializzazione, a qualche scambio d’informazioni fra i docenti.

Ma in realtà quei corsi erano strumentali per lo pù ad una specie di giustificazione metadidattica che si doveva dare alle tante funzioni paradirigenziali che si andavano inventando in una scuola che sembrava sempre più un ipermercato virtuale.

Ogni cosa si trasformava in test.
Anche il linguaggio fra operatori era ormai una specie di scelta fra varie opzioni sbrigativamente proposte.

L’uomo era partito dagli elenchi delle mercanzie nei magazzini fenici e mesopotamici ed aveva inventato la scrittura.
La letteratura era nata, con tutte le sue eleganti formule di parole, dalle ansie catalogatrici dei bottegai.


*

Nemmeno se lo ricordavano più, i traduttori dei traduttori di Omero.

E adesso, proprio dove di sarebbe dovuto insegnare la letteratura, a scrivere e parlare, si ritornava all’antico linguaggio dei bottegai, che sapeva fare a meno della letteratura e della poesia, forse perché era esso stesso una forma creativa di poesia e linguaggio.

Tutta la scuola italiana, e forse del resto del mondo, si era arenata sulle secche dei quesiti memorabili e, come dicono i saputelli, epocali quesiti irrisolti della cultura didattica.




Il sistema diretto e brutale della domanda:


a. chi ha scoperto l’America?
b. chi ha ucciso Cesare?

oppure, per i matematici:
c. quanto fa due più due?

era diventato


l’America è stata scoperta da:



d. chi fa fortuna
e. chi le toglie la coperta
f. gli Egizi, i Fenici, i Vichinghi o l’equipaggio della Nina,
la Pinta e la Santa Maria.


** Restava aperto, per i cosiddetti Saggi, ogni tanto convocati e sempre più numerosi in barba alla demenza dilagante, e per gli intellettuali in genere il tema e problema, come di addice a tutte le cose assai serie, dell’epistemologia.


Che non è una disciplina da poco, e neppure una scienza, ma quasi una ricerca della ricerca, quasi uno studio dello studio.
Non vuole sapere, ma sapere di sapere e per sapere di sapere per saperne di più e per sapere perché e per chi o percosa si sa o non si sa.

Sempre che si sappia e non si sappia di sapere.

Questo è un antidilemma, perché un tempo né prima né dopo di Socrate, ma nello stesso tempo, era già sapere sapere di non sapere.

Adesso occorreva sapere, e ricercarlo ovunque, cosa è sapere e come funziona il gioco stesso di questa arcana attività organizzatrice non della mente o del cuore, ma proprio del sapere.


Scio ergo scio et sciens scire scio.
Qui scire scit sciens esse scit.



Ma nelle scuole si combatteva in prima linea.

Era nelle colte università, sede dei pozzi della scienza che si dibattevano queste squisitezze.

E si stampavano a spese pubbliche.
Era nelle università, dove già restare era indice di fierezza, di durezza e di capacità di resistenza e di attitudini alla costruzione d’una efficace e solida, ma anche elastica e appiccicosa rete sociale.

Era nelle università che si dibattevano i grandi temi epistemologici, fra un concorso ben costrutto ed un incarico ben appioppato.


E intanto, a detta dei veri esperti, nelle università restavano i peggiori, ossia i più ignoranti e i più abili nel tessere contatti fertili, i predatori e i carnivori, i cacciatori di cattedre, i surgelatori delle idee, dei libri e delle biblioteche, gli insonni addormentatori del sapere, del volere e del potere, mentre i ricercatori veri preferivano affrontare il mare aperto della vita e guadagnarsi altrove il pane, magari anche senza la pregiata cicoria di campo, costosa e rara, contrariamente a quel che andavano predicando certi ortolani politici che forse la volevano tutta per sé

L’estate successiva gli arrivò una raccomandata che parlava di ...

Trasferimento definitivo all’Istituto Tecnico Agrario
Leopoldo II di Lorena di Grosseto.

nei suoi riguardi.

Chissà perché, la cosa gli diede un brivido freddo e gli trasmise una sensazione decisamente negativa.


Quando si presentò in quella scuola, gli furono assegnati dei corsi di sostegno per alunni che non avevano superato completamente l’anno precedente.
Riprendeva contatto con la nuova situazione.


La scuola non ‘bocciava’ più.

Ma si continuava ad usare ed a praticare quest’azione da circolo bocciofili postlavoristico di pensionatistica memoria.
Non rimandava.
Applicava ‘debiti’.


Dichiarava in effetti ‘non promosso’.

Appioppava ‘debiti formativi’, alla luce della botteghizzazione di tutta la faccenda.
Si diffondevano le giustifixcazioni con registri e libretti identificati con codice a barre.
Sembrava di essere alla Coop per la spesa, quando si giustificava un alunno.
Mancava solo la spesa e le buste eleganti di materiale plastico, tanto pericolose per le megattere.

*
Non che Louis non amasse le botteghe.
Anzi.
Qualche suo antenato era stato ottimo commerciante ed artigiano orafo.
Lui stesso avrebbe voluto essere un valente botte\gajo.
Ma in effetti la sua occasione era svanita da tempo.

Per lui avevano scelto una strada scolastica e letteraria, e si sa, carmina non dant panem ...

Aveva collaborato per un decennio, inoltre, alla rivista letteraria Alla bottega di milano, pubblicando saggi e poesie sulla profezia medievale, sul Rinascimento, i Medici e Savonarola, Pavese, la linguistica, la questione meridionale e le interpretazioni del fascismo.

Bottega, apoteca, boutique, ptèka era tutto sommato una bella parola e gli faceva pensare al lavoro, ai laboratori rinascimentali, a Cosimo dei Medici, che governava l’Italia dalla sua bottega, appunto.
Ecco, già questo è abbastanza diverso.
Una bottega che esamina, governa, confonde il mercato con arte e poesia, già questo era forse oltre i limiti, i confini a cui deve attenersi una buona, bella bottega d’artigiano o di commerciante.


Quando la mercanzia invade il Tempio, il Parlamento, l’Università e la Scuola, allora si torna alle mercanzie mesopotamiche e l’alfabeto diventa un inutile orpello.

Ma ogni idea è anche una opinione soggettiva, a meno che non sia un’idea primigenia, universale, di platonica memoria.

Louis non aveva potuto opporsi alla nuova botteghizzazione della scuola, della società, era troppo solo, debole.
Commerciante, del resto, è bello.
Si consultano le tabelle del Sole, si prende il Sole 24 ore, non ri rischia l’insolazione perché il Sole è di carta rosa, si controllano nella borsa le azioni, si sospira o si impreca, si consultano i Soli in altre lingue, massima l’inglese, si butta un’occhiata su Internet per consultare il riassuntino degli affari nel mondo.

Si compra e si vende, non si paga nulla, ogni cosa è legata ad un sistema di auto finanziamenti e autopagamenti, anche se poi si arriva sempre al pettine e allora scatta la carta, la tessera, il libretto e le vecchie care penne, a volte modeste per la fretta, tornano a regnare, a volare scattando e tracciando i vecchi insostituibili degni dell’alphabeto non per poesia o per qualcosa di letterario, ma per la vecchia cara ragione che ha generato le lettere dell’alphabeto: l’ auri sacra fames ...


Non ha fatto un grande favore, dopotutto, alla classe operaia, alla classe ‘lavoratrice’ in genere il fondatore del contemporaneo movimento detto marxista, dicendo che il movente d’ogni azione è economico.

Adesso che la classe lavoratrice, dispersa la classe operaia in una miriade di sottoclassi, almeno nel vecchio occidente, vede imprenditori e commercianti prendere, quasi come nell’antica Atene, le redini del carro democratico, che ridiventa timocratico, forse ripensa con rabbia a quell’affermazione.



Ma forse tutti dimenticano che economia anticamente, e quindi anche ora, non voleva dire bottegocrazia o bottegonomia, bensì ‘legge della casa’.
Fare dell’economia voleva dire pensare a tutta la casa, a tutta la città, a tutto il proprio paese, non solo all’andamento del mercato o ai grossi e piccoli conti.

Fare economia significa preoccuparsi d’ogni tema e problema della famiglia e della casa, magari nel modo più giusto, senza essere ‘invadenti’, rischio che purtroppo corre sempre chi aiuta semplicemente qualcuno.


Insomma, non impiccioni, ma interessati a ogni elemento, questo vuol dire essere ‘economici’.
Ma i propri genitori e il significato delle parole, sono la prima cosa che gli uomini dimenticano.



In compenso, dimenticato o travisato un significato, lo traducono in molte altre lingue, così da potersi vantare di non riuscire a capire non una, ma una miriade di parole.
*




Al Dirigente Scolastico dell’Istituto Tecnico Commerciale
Vittorio Fossombroni
Via Sicilia 45 58100 Grosseto

Alla Direzione scolastica regionale per la Toscana
Via Mannelli 113 Firenze

Al Ministero della Pubblica Istruzione viale Trastevere Roma



Oggetto:
richiesta di trasferimento nei ruoli dell’Amministrazione ove presta servizio del prof. Gennarino Di Iacovo.

ITC Fossombroni 9 febbr 2006 Prot. 626 \ C 1


Ai sensi dell’art. 3 p. 1 del Decreto Legge 10 gennaio 2006 lo scrivente Di Iacovo Gennarino, nato il 22 ottobre 1947 a Pietrabbondante, IS e residente in Grosseto, via Trento 54, tel 328 0474786, gennarinodiiacovo@virgilio.it, docente in ruolo dal 1977 di materie letterarie, latino e greco fino al1998 nel liceo classico Dante Alighieri di Orbetello GR, poi destinato ad altra mansione quale coordinatore delle biblioteche del Distretto scolastico di Orbetello, passato nei ruoli di Italiano e storia e di nuovo sistemato ad altra mansione nel 2001, con funzione di bibliotecario nell’ITC V.Fossombroni di Grosseto, rapporto sancito dal contratto individuale prot. n. 1 \ C1 il 04.02.02, stipulato fra il sottoscritto e l’ITC V.Fossombroni, chiede, dopo aver attentamente considerato la situazione, di essere trasferito nei ruoli della Amministrazione scolastica ove presta servizio.





Lo scrivente ritiene di poter continuare a svolgere adeguatamente il proprio lavoro teso alla organizzazione globale dell’attività di biblioteca in un ambiente, come quello del Fossombroni, scolasticamente e umanamente valido, insomma globalmente idoneo alle sue esigenze, visto che gli anni già trascorsi a contatto con questa Scuola gli hanno permesso di stringere rapporti di rispetto, di stima e di amicizia con tutti, limitatamente a quanto sia opportuno, lecito e consentito ed un suo eventuale ritorno ad altri compiti e mansioni originari, quale ad esempio l’attività didattica a cui del resto ha sempre riconosciuto importanza fondamentale fino a quando gli è stato permesso esercitarla, sarebbe inopportuno, come sarebbe del resto non idoneo né costruttivo il permanere dell’attuale situazione di incertezza legata alla fragile intelaiatura normativa della sua posizione e funzione.


Lo scrivente è a disposizione per eventuali adattamenti o modifiche.



Con osservanza.



Grosseto, 9 febbraio 2006



Prof Gennarino Di Iacovo
Via Trento 54 58100 Grosseto







§§§

§§

§




*** Grosseto - gennaio 2006
* * 
Gennaro di Jacovo
Nuovo Modulo di Grammatica Contestuale

Ad uso degli Alunni che ne facciano richiesta per uso personale
Gramatikus
Gramatik



1. LA LINGUA COME STRUMENTO DI COMUNICAZIONE:

Fra le caratteristiche comuni agli uomini di tutte le regioni della Terra, troviamo l' uso della lingua e del linguaggio come strumento di comunicazione.
La lingua parlata, il linguaggio o ‘parole’, è presente ovunque, mentre la lingua scritta, la ‘langue’, è codificata e attestata solo in certi tipi e stadi di cultura.

Con la nascita dell’alfabeto, o comunque di qualche sistema di scrittura che inizialmente dobbiamo immaginare quale un sistema di segni che imitassero e raffigurassero oggetti o metafore di concetti e idee, ha inizio quella che si chiama ordinariamente epoca letteraria o storica, e che ricopre una fase sensibilmente breve della permanenza dell’uomo sulla terra.
Va osservato anche che ogni animale, ogni oggetto dell’universo ha un suo modo di parlare, un suo linguaggio e forse addirittura un suo limitato alphabeto, ma l’uomo per fretta e superficialità quasi sempre ignora queste silenziose espressioni di linguaggi lontani, che a volte si fanno suoni veri e propri, come quelli degli animali, ben più intelligenti e sapienti di quanto si creda.

Occorre rispetto e amore per ogni linguaggio, altrimenti anche il nostro, che forse è il più complesso e artefatto proprio perché esprime un mondo interiore più lacerato e conflittuale, risulterà così vario, astruso e incomprensibile un giorno, come avvenne a Babele, che non riusciremo più non solo a capirci, ma neppure a intuire quale lingua parliamo.

Gli animali, contrariamente a quanto si pensa, hanno un sistema di comunicazione efficace, vario ed unico per tutti gli individui di qualsiasi contrada e paese della Terra.

In pratica hanno realizzato da sempre un vecchio sogno dell’uomo, quello della unificazione dei codici linguistici e del superamento della differenziazione linguistica.
***
Quando l’uomo fu creato, immagina Dante, un grande poeta ma soprattutto un grande linguista, espresse la sua prima parola.
** Gridò la sua riconoscenza a Dio, il suo ‘fattore’.
Unire un significato astratto, la riconoscenza, ad un suono foneticamente articolato, il significante, arbitrariamente espresso, volontariamente e intenzionalmente formulato, volle dire creare l’elemento minimo complesso della lingua parlata, la parola.
E questo si ripeterà sempre, ogni volta che un essere emetterà un segno a cui attribuirà un senso e un significato.
Accadrebbe anche se fosse cieco e muto.
Non per nulla quella che chiamiamo letteratura è stata creata da un cieco che forse neppure conosceva alfabeti.
La mente, Mnemosyne e le sue figlie, le Muse, sono esse stesse alfabeto, poesia e oceano di idee, conoscenze e segni, che poi questi siano scritti i disegnati, è cosa probabilmente di un qualche interesse solo contingente.
Riguarda la storia, le biblioteche, la letteratura e i libri, e qualsiasi altro mezzo più o meno apparentemente innovativo, che occupano solo l’ultimissima parte della vicenda umana, quella visibilmente caratterizzata anche dalla enorme e quasi sempre univoca e monopolare influenza dell’uomo sul contesto naturale esterno.
Successivamente all’atto primigenio e archetipico del parlare, che si pone in un tempo al di fuori del tempo e che quindi è quasi scoperto e creato da ogni parlante quando inizi ad usare il linguaggio, una volta formato un insieme cospicuo di parole d’ogni tipo, è stato necessario formare un determinato lessico, una qualche sintassi e grammatica.
Tutto questo solo da poche migliaia di anni si è trasformato in codice linguistico normativo e lessicale, in testi scritti in varie forme, in vocabolari, grammatiche e sintassi, in biblioteche e da poco in altri sistemi di scrittura digitale e computerizzata.

Le intuizioni di Sausurre e Chomsky, comunque, attuali e geniali, erano già in Platone e Dante, di cui si preferisce ricordare le parti più appariscenti della dottrina poetica e filosofica, e non quegli aspetti della vita legati all’amore per la libertà e la dignità personali.
Entrambe furono privati della libertà, furono l’uno schiavo e l’altro esule, ma non si privarono mai della loro libertà della mente, della loro capacità intellettuale, della loro intelligenza.
Questa era la loro Firenze e la loro Atene.
La loro 
***
2. ALTRI SISTEMI DI COMUNICAZIONE USATI DAGLI UOMINI:
La funzione centrale e principale di una lingua è quella di trasmettere informazioni, cioè di svolgere una FUNZIONE COMUNICATIVA.
Gli uomini però possono comunicare anche per mezzo di altri segni linguistici: i gesti, le fumate degli indiani d'America, i tamtam delle tribù primitive, i cartelli della segnaletica stradale, le espressioni del volto etc…
In linea di massima si può dire che qualsiai segno a cui si attribuisca un significato comprensibile può entrare a far parte di un sistema di segni suscettibile di un ordinanento convenzionale formando quindi un codice, con un lessico ed una sintassi, delimitato ad un gruppo di individui.

Quel gruppo che deliberatamente, ‘arbitrariamente’, ossia con un preciso atto basato sulla conoscenza e sulla convenienza, lo elegge, lo crea. lo forma e trasforma.
Un inguaribile economista potrebbe parlare di una sorta di ‘contratto informatico’, o comunicativo, di tipo linguistico.

E’ un contratto senza testo scritto né compromesso, paradossalmente da rispettare a cose fatte, con la creazione di ‘codici’ lessicale e grammaticali che nascono quando il linguaggio è già divenuto lingua scritta, magari letteratura, e necessita di una sistematicità normativa.


Questa, una volta affermate le sue regole e la natura dell’errore, sorgente in qualche caso dell’evoluzione linguistica ma anche limite, confine e fine delle competenze linguistiche, una volta stabilito il modo corretto dell’uso della lingua immancabilmente ne rappresenta anche in qualche modo un argine e freno alla ulteriore sempre imprevedibile trasformazione.


3. LA DOPPIA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO:


Il linguaggio è una associazione di segni fonici o grafici significanti univocamente combinati con i relativi significati (idee - oggetti): un “insieme", insomma, del tutto "arbitrario" di simboli convenzionali ad ognuno dei quali viene associato un preciso campo di significati.
Simboli e significati mutano, nascono e muoiono, come tutte le altre cose.
** Come ogni oggetto, come ogni essere vivente, le parole hanno un loro corso vitale, nel quale è difficile anche riconoscere e distinguere la nascita dalla morte, tanto che spesso lessemi e fonemi ritenuti ‘estinti’ e abbandonati, gettati quasi nel dimenticatoio come un umile rifiuto, rinascono, rivivono e si riaffermano nel dominio linguistico, come risorti.


Questo ricorrente anche se misconosciuto fenomeno ci indica e ci insegna che in effetti non esistono in assoluto persone, cose e lingue morte, ossia nullificate e in eterno assenti e spente, perché esse, come gli uomini, rivivono nei figli, dormono apparentemente nel loro oblio e si risvegliano nell’uso e nella memoria affettiva.


Tutto quello che è veramente importante, è come un seme sotto la neve e la terra, quasi ignorato e dimenticato ma pronto a farsi pianta e fruttificare.
Quello che invece è già scoria e spazzatura, può rivivere e rinascere, essere rigenerato, come fa la Natura sempre con tutti, ed è sempre davanti a noi, in piena visibilità.



Prendiamo il messaggio " DIVIETO DI SOSTA ". Possiamo dividerlo
in tre " parti ", ognuna delle quali può essere usata in altre occasioni:
-divieto-…di sorpasso / il libro…-di- Luigi / ho fatto una lunga …- sosta -.
Inoltre uno qualsiasi di questi "segni" linguistici può essere a sua volta diviso: diviet-o; questa forma di divisione del linguaggio in unità successive fornite di significato è detta PRIMA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO.
Ma ognuna delle unità individuate nella PRIMA ARTICOLAZIONE può essere divisa in unità più piccole PRIVE DI SIGNIFICATO.
Per esempio: "sosta" è formata da 5 unità: s-o-s-t-a, ossia da 5 FONEMI, ognuno dei quali fa distinguere questo segno da altri come p-osta, s-e--sta, so–r-ta, sos-i-a,. Questa è la SECONDA ARTICOLAZIONE DEL LINGUAGGIO, con cui dividiamo le unità significative nei singoli suoni che la compongono.

L'ATTO DELLA COMUNICAZIONE:
*** Molteplici sono, come si è accennato, i tipi di comunicazione, ma noi ora ci interesseremo in prevalenza della comunicazione di tipo linguistico.
Perché avvenga una comunicazione linguistica è indispensabile la presenza di una persona che parli o che scriva, innanzitutto, che sarà l' EMITTENTE, o mittente, o trasmittente, ossia la fonte stessa dell’atto linguistico, il creatore del messaggio con un grado più o meno alto di intenzionalità e di volontarietà, in quanto nei diversi tipi di letteratura possiamo rilevare in chi si fa autore la presenza più o meno vistosa di una personalità ispiratrice condizionante o di una qualche committenza umana o divina..
Quello che questa persona ‘autore’ dice o scrive sarà il MESSAGGIO o DISCORSO.
La persona a cui il messaggio è destinato sarà il DESTINATARIO, o RICEVENTE.
Perché vi sia "comprensione", bisogna che la lingua usata di chi parla (o scrive, o telefona, o comunque trasmette) sia conosciuta da chi ascolta o legge.
Si deve perciò usare un CODICE (il complesso di "segnali" le"parole"
di un linguaggio o d'una lingua) comune.

***
La COMUNICAZIONE, una volta per così dire attivata dalla emissine di un messaggio da parte del mittente, può essere ostacolata da vari fattori (rumori; scarsa attenzione del DESTINATARIO o RICEVENTE; una precisa volontà di non entrare in comunicazione da parte del destinatario).

***
Naturalmente la filosofia del linguaggio, più che la grammatica, studia ed esamina queste modalità che chiamerei glottosofiche, poiché riguardano la conoscenza, la sapienza della e sulla lingua.

Schema 1 :
RUMORI (esempio: la lontananza;
il chiasso nell'ambiente.)
MITTENTE ... SEGNALE ... CANALE ... RICETTORE … MESSAGGIO

(la persona che (emissione (vibrazioni (apparato uditivo (articolazione
parla - scrive) di suoni ) acustiche) di chi ascolta) di significati)




CODICE (la lingua parlata, come si-
stema di simboli, nei quali ad
ogni SIGNIFICANTE -suono/segno-
corrisponde un SIGNIFICATO –
concetto / idea _________________)

*** ***
DESTINATARIO
( la persona che riceve il MESSAGGIO
e trasforma i SIGNIFICANTI in
SIGNIFICATI - concetti / idea ___ )




***

Lo Schema 1 è riportato in G. BARBIERI, Le strutture della nostra lingua, La Nuova Italia, FI 1972, pag. 9.
A. MARCHESE in Didattica dell'Italiano e strutturalismo linguistico, Principato, Mi 1973, pagg. 23 segg., riporta il seguente schema, proposto da R. JACOBSON (Saggi di linguistica generale, Feltrinelli, 1966, p. 185):





CONTESTO
MESSAGGIO
*** MITTENTE DESTINATARIO
CONTATTO
CODICE



A questi FATTORI della comunicazione, corrispondono le seguenti
FUNZIONI del linguaggio, ossia diverse finalità d'uso del linguaggio:




INFORMATIVA
POETICA
EMOTIVA O ESPRESSIVA
CONATIVA
FàTICA
METALINGUISTICA


5) LA FUNZIONE DELLA LINGUA:
quando una persona rivolge il discorso ad un'altra, utilizza il linguaggio per diversi fini.

Per esempio:

"Mio fratello ha terminato il servizio militare e torna a casa questa sera"….. "Mi fa piacere questo, sono d'accordo"……
"Vieni questa sera a casa nostra”.


Chiamiamo "a", "b" e "c" rispettivamente le tre frasi.:
"a" informa d’un fatto avvenuto e d'un altro prossimo ad avverarsi; "b" reagisce esprimendo un parere personale;
"c" esprime un invito, una esortazione.


Possiamo dire che ogni frase svolge una FUNZIONE tipica del linguaggio.


***
*** Le ‘ FUNZIONI ’ della lingua sono:

1) INFORMATIVA, o ‘referenziale’, tipica del discorso storico e scientifico: "informa";
2) ESPRESSIVA, esprime contenuti ‘soggettivi’ e personali, non fatti e dati informativi. Tipica del linguaggio dei "poeti" e di chiunque voglia comunicare emozioni, sensazioni, sentimenti, stati d’animo;
3) CONATIVA o imperativa, sollecita gli altri a compiere determinate azioni. Tipica del linguaggio giuridico, "profetico", moraleggiante. Ve ne sono altre due, più specifiche e adatte a particolarissime situazioni:
4) FàTICA, per sollecitare l'attenzione di chi ascolta: “mi sono spiegato?” – “Va bene?” – “Pronto!?" (al telefono…);
5) METALINGUISTICA, quando il discorso riguarda (come ora) la lingua stessa, la definizione delle parole: è il linguaggio delle "grammatiche" e dei vocabolari.
Infine, v'è una specialissima funzione, propria di chi tende a concentrare la comunicazione e l'espressione sulla "forma" dell'enunciato, sul fattore STILE. E' la funzione:
6) POETICA, tipica della poesia, , ossia arte e ispirazione.
CLASSIFICAZIONE DEI FONEMI USATI IN ITALIANO:

SCHEMA 2

POSIZIONE DELLE LABBRA

Distese a arrotondate
è ò
e o
i u
anteriori posteriori





LE VOCALI:

Quando pronunciamo le vocali, vibrano le corde vocali.
La diversità dei suoni dipende dalla posizione della lingua nella bocca o dalla forma delle labbra.
Per le vocali i , è ( e chiusa) ed è ( e aperta ) viene tenuta più alta la parte anteriore della lingua. Per a, la lingua resta distesa.
Per ò ( o aperta ), o (o chiusa ) ed u, viene tenuta più alta la parte posteriore della lingua .

Quanto alle labbra, esse sono arrotondate per la pronuncia della ò , e della u - sono in posizione intermedia per la a e sono distese per la è ,la e e la i .

LE CONSONANTI: Si dividono in SORDE e SONORE.
Sono " SONORE " quelle che si pronunciano con vibrazione delle corde vocali : B; D; G; V; S (sonora); Z (sonora ); G ( palatale ); M; N; GN; L; GL (palatale ): R.

Sono " SORDE " quelle che non comportano vibrazione delle corde vocali: P; T; C ( velare ); S; (sorda ); Z; ( sorda ); C; ( palatale ); SC; ( palatale ).

Oppure, in relazione al LUOGO di articolazione, si dividono in:
LABIALI : P; B; M (bilabiali ) - F; V ( labiodentali).
DENTALI : T; D; N; L; R; S; Z;.

PALATALI : C; palatale ( c + e/i); G; palatale (g + e/i); SC; palatale (sc + e/i) GL; palatale (gl + i; gli + a , e, o, u) ; GN; palatale (gn + a, e, i, o ,u).
VELARI : C; velare (c +a, o, u - c+ consonante; ch + e ,i; Q; (u) +a, e, i, o).
Infine, secondo il MODO di articolazione, si dividono in:
OCCLUSIVE: p; b; m; (bilabiali) - f; v (labiodentali) - t; d (dentali) - c; g (velari).
AFFRICATE: z (dentale) - c, g (palatali).
SIBILANTI: s, z (dentali) – gl (palatale).
FRICATIVE: F,V (LABIODENTALI).
LIQUIDE: r, l (dentale) – g l (palatale).
NASALI: m (bilabiale) – n (dentale) – gn (palatale).


Nota:


la " h " è solo un "grafema", cioè un segno grafico, e non un fonema, ossia un suono vero e proprio. Distingue i suoni velari ‘ c ’ e ‘ g ’ davanti ad ‘ e ’ ed ‘ i ’ .
Suono velare .. : casa, gatto - china, ghisa.
suono palatale : cena, gesso - Cina, Gino.



*** DIVISIONE IN SILLABE:


Ogni sillaba contiene almeno una vocale.
Una parola può essere, in base al numero delle sillabe:

- monosillaba…………………….una sillaba (re, bar, per, di, a, da)
- bisillaba………………………...due sillabe (mon - te; ar –t e)
- trisillaba……………………...tre sillabe (pe – co - ra; r e – gi - na)
- quadrisillaba……quattro sillabe (vo - g a - to -re; a – ma – to - re;)
- polisillaba……………... più di 4 sillabe (in – ve – sti- - ga – to - re )


NORME PER LA DIVISIONE IN SILLABE:
Ogni consonante FA SILLABA CON LA VOCALE CHE SEGUE.
Per esempio: ma - re;
Le consonanti doppie si dividono: gat –t o; car - ro.
Quando si hanno gruppi di consonanti, la prima fa parte della sillaba che precede, le altre della sillaba che segue: con – so – nan - te.
Fanno eccezione i gruppi di consonanti con cui può cominciare una parola: ..…. ma –e – stro; stro –fa ; ri -splen - de - re; splen - den – te.
DITTONGHI:
I gruppi di vocali fanno DITTONGO quando si pronunciano con una sola emissione di voce:

UO -mo; VIE - ni; AU - to.

Quando si pronunciano separatamente, si ha uno IATO:
spi - a - re; le – o - ne.


DITTONGO = i \ u + VOCALE:
Uno IATO si forma anche fra a, e, o + u \ i quando ‘u’ oppure ‘i’ sono accentate: pa-ù-ra; vì-a; e nei DERIVATI DI TALI PAROLE: pa-u-ro-so.
7) L'ACCENTO: quando si pronuncia una parola, si mette in rilievo una sillaba. Questa intonazione più energica è detta ACCENTO.

In base all'accento le parole sono:


TRONCHE : accento sull'ultima sillaba:………… virtù

PIANE : accento sulla penultima sillaba ……. vedére

SDRUCCIOLE : accento sulla terzultima sillaba…….. àlbero

BISDRUCCIOLE : accento sulla quartultima sillaba .… òrdinano

In genere l' ACCENTO si segna solo SULLE TRONCHE e sui seguenti MONOSILIABI:
è, né, sé, sì, di', dà, là, lì', per distinguerli dagli o m o g r a f i
( omografo: che si scrive nello stesso m o d o ) : e, ne, se, si, da, di, li, la..

8) L'ENUNCIATO O PERIODO:

1. Tuo padre dice che partirà alle tre. Vado con lui.
2. Tuo padre dice che partirà alle tre.
3. Vado con lui.

n.. 1.= DISCORSO; N. 2. e 3.= ENUNCIATI o periodi.

4. Che caldo fa qui dentro! Non si potrebbe aprire un poco la finestra?
5. Che caldo fa qui dentro!
6. Non si potrebbe aprire un poco la finestra?


La frase n. 4 è un DISCORSO; le n.5. e 6. sono ENUNCIATI o periodi.
I segmenti in cui si può suddividere un discorso ( 1. e 3. ), secondo i criteri dell' INTONAZIONE e della possibilità di inserire una pausa tra un segmento e un altro, si possono chiamare ENUNCIATI o PERIODI ( 2..- 3.- 5. e 6.).

9) L'INTONAZIONE: i tipi dell' INTONAZIONE sono tre: affermazione, esclamazione e domanda. Nelle frasi 2.. e 3. ‘cade’ alla fine dell'enunciato ed esprime affermazione. Nella 5. indica esclamazione. Nella 4. interrogazione o domanda. Nelle frasi 2.. e 3. troveremo un punto fermo : ‘ . ’ - a fine enunciato; nella 5. un punto esclamativo; ‘ ! ’ -; nella 6..un punto interrogativo; ‘ ? ’ - .
I segni d'interpunzione ( . /punto; , /virgola; ; /punto e virgola; : /due punti; ….) sono simbolo grafici che servono ad indicare pause e diverse intonazioni a proposizioni e periodi.

Il PUNTO segna una pausa marcata e separa due periodi o due proposizioni:

… ‘Ei fu. Siccome immobile …’


La VIRGOLA indica una breve pausa e può essere usata:

a.per isolare un vocativo: "Stai tranquillo, Luigi, verrò appena è possibile"; b. per isolare un'apposizione con aggettivi e complementi: ‘Dante, il grande poeta fiorentino, fu esiliato’;
c. per dividere due enunciati: ‘E' vero, non partì’; d. per separare le parole in un elenco (enumerazione): ‘l'aria era limpida, chiara, fresca’.
Il PUNTO E VIRGOLA indica una pausa più lunga, rispetto a quella indicata dalla virgola, fra due frasi che si vogliono unire tra loro.
Segna perciò una pausa APERTA nel contesto dello stesso periodo e della stessa proposizione: ‘la situazione era difficile; per questo decisi di rimanere’.
I DUE PUNTI indicano che il periodo che segue spiega quello precedente. Possono precedere una enumerazione, un elenco. Sono d'obbligo per introdurre un DISCORSO DIRETTO ( riportato fra "virgolette").
Per es.: ‘ Giuseppe si alzò e disse: "Tranquillizzati, sistemerò tutto!" ’.

DEFINIZIONE DELL'ENUNCIATO:
l' enunciato è un segmento di un discorso, contrassegnato da una particolare INTONAZIONE e seguito ( nonché preceduto ) da una PAUSA prolungabile.


10) IL DISCORSO, quindi, si divide in ENUNCIATI .
Questi in PAROLE o ‘MONEMI ' .
Queste si dividono in morfemi come: LUP - o; GATT – o
che sono le UNITA' GRAMMATICALI MINIME .
(Giovanna BARBIERI, op. cit.)


1). Con ……………………… un morfema = parola monomorfemica
2). Caten-a …………………… due morfemi = " polimorfemica
3). Con-caten-are …………… tre " = " " "
4). Con-caten-at-o…………….. quattro " = " " "


Più precisamente una parola si divide in queste parti :

prendiamo = parola o monema di nove grafemi (lettere) o fonemi (suoni)
- prend = monema radice, LESSEMA (parte significante) o
morfema lessicale.
- iamo = monema grammaticale ('desinenza’ o ‘terminazione’, in certi casi) oppure MORFEMA GRAMMATICALE, ossia INDICATORE della 'forma' della PAROLA: maschile, femminile, singolare, plurale, persona per il verbo, in questo caso.

Quindi per le parole, o MONEMI, soggette a variabilità nella parte finale, si riconoscono più parti. Una - centrale - indica significato.

Le altre- finali, indicano il genere, il numero, in certe lingue il CASO, o, per i verbi, il numero e la persona .
Questi sono ‘morfemi’ , e mutano la ‘FORMA’ (SIGNIFICANTE), non la 'SOSTANZA' ( SIGNIFICATO).
Sono il 'vestito', o la ' maschera' delle parole.
***
I MORFEMI anteposti, ossia situati all'inizio del monema, prima del LESSEMA, sono dei prefissi. (particelle 'messe prima del tema’ ).
Per esempio: con - catenare ; per - correre ... .


IL MORFEMA LESSICALE comune, ossia il LESSEMA, portatore del SIGNICATO BASE, rappresenta la parte - il nucleo - della parola
( monema ) che resta dopo aver tolto prefissi e suffissi ( morfemi grammaticali ), ed è la RADICE della parola (talora coincide con il TEMA, in casi particolari ).
I MORFEMI aggiunti alla radice si dicono 'suffissi' con termine generico . Per esempio:





Corr-
Ent-
-e-
Mente

Radice
e tema

Morfema
lessicale
o
lessema

Morfema
Vocale
Gramm.le.

marca Eufonica
Morferma gramm.le

Marca \ desinenza




Schema 3



PER
CORR
ERE




PREFISSO

o monema
grammaticale

Morferma


(greco:
forma)




RADICE


o monema lessicale

lessema (=greco significo;


* (discorso)

SUFFISSO

o monema
grammaticale


Morfema

( forma)



11) LE DESINENZE :

I morfemi- suffissi contribuiscono, come si diceva prima, a DIFFERENZIARE
le CATEGORIE grammaticali : NUMERO – TEMPO - PERSONA - MODO e GENERE.


nota:
se il SUFFISSO si unisce direttamente alla RADICE (lessema) , la parola può dirsi PRIMITIVA .
Se si unisce alla radice dopo un altro suffisso ( moferma grammaticale ), la parola si dice DERIVATA .
Per le osservazioni su "lessemi", "morfemi grammaticali”, ”morfemi lessicali" e "monemi" vedi: A. MARTINET, Elementi di linguistica generale, Universale, Laterza, Bari 1977, 1.9 pag. 23 e 4..20 pag. 137 e: A. MARCHESE - A. SARTORI, Il segno il senso - Grammatica Moderna della lingua italiana, Principato Editore MI 1975, pag. 33 .


12 * I SINTAGMI O GRUPPI - NOMINALI / VERBALI E
PREPOSIZIONALI :

In un ENUNCIATO possiamo chiamare "SINTAGMA” (greco composizione, cfr. dispongo in ordine sintassi, disposizione ordinata, in linguistica vale:messa in ordine metodica degli elementi d'un lingua)oppure “GRUPPO” NOMINALE (GN) ogni agglomerato (gruppo) di parole formato dall’ ARTICOLO (o DETERMINANTE) + NOME, dall’ARTICOLO + AGGETTIVO + NOME, oppure ARTICOLO + NOME + AGGETTIVO (DETERMINANTE o MODIFICANTE), o dal solo NOME (GN).

Possiamo chiamare SINTAGMA o GRUPPO VERBALE ogni gruppo di parole formato dal VERBO + ARTICOLO + NOME, dal VERBO + GRUPPO NOMINALE o PREPOSIZIONALE oppure infine dal solo VERBO (GV).


il pioppo - il verde pioppo - il pioppo verde
determinante - determ modificante* nome - d n m

* il modificante in questo caso è ‘lessicale’, poiché modifica proprio in senso lessicale, apportando una direzione precisa al significato del nome.


chiameremo SINTAGMI I GRUPPI DI PAROLE, COLLEGATE DAL
SENSO E DISPOSTE SECONDO LE REGOLE DELLO STILE, che
trovano nel VERBO il loro “nucleo logico, sintattico e semantico
centrale”



F. s. = GN + GV = A(D) + N + V + A(D ) +N


****
I contadini …………………………... = GN (=A+N)
Abbattono un pioppo ……………….. = GV (=V+GN2) = (V+A(D)+N)
Abbattono …………………………... = VERBO (VERBALE)
Un pioppo …………………………... = GN2 (=A(D)+N)

GN1 = i contadini = "soggetto" - GN2 =un pioppo = "complemento oggetto".

Schema N. 4 :

Phrase marker = indicatore di frase

F


GN1
GV

D
N V GN2
D N
i contadini abbattono un pioppo
DET. NOME VERBO DET NOME

ART. NOMINALE ART. NOM.LE
G.N.1 _ _ VERBO GN2____


DET.(ART) + NOME VERBO + DET(ART) + NOME


FRASE SEMPLICE






Chiameremo SINTAGMA o GRUPPO PREPOSIZIONALE quell’insieme di parole, collegate dal senso e concordanti fra loro, che siano rette da una preposizione.
In pratica un ‘complemento indiretto’.


Tale sintagma o gruppo ‘preposizionale risulta formato da:
PREPOSIZIONE (FUNZIONALE) + GN e rappresenta una ESPANSIONE, poiché amplia e arricchisce la presenza “semantica” di un monema

(parola: nome, verbo, aggettivo-modificante) nella frase).


*** Nota bibliografica:

Per tutte queste definizioni vedi: G. DEVOTO, Avviamento alla etimologia italiana, Dizionari Le Monnier e: J. DUBOIS - M. GIACOMO - LOUIS GUESPIN - C. MARCELLESI - J.P.NEVEL , Dizionario di linguistica - Ed. Zanichelli.
E ancora, per la parte sulla grammatica trasformazionale: F. VANOYE, Usi della lingua, Manuale di italiano per le Scuole Medie Superiori, Società Editrice. Internazionale TORINO .



Per gli insegnanti, sono utili:

E.Cavallini Bernacchi, L'insegnamento della lingua, Il punto emme edizioni , Milano -
N. Chomsky, Le strutture della sintassi, Universale Laterza., Bari


Utili sono i volumi di G. MOUNIN:

Guida alla linguistica, Guida alla semantica e Storia della linguistica (2 voll.), tutti della UE Feltrinelli (n. 626 - 713 e 576/635 della collana ), nonché Didattica dell'Italiano e Strutturalismo linguistico, di A. MARCHESE, Principato).


Schema 5:
Phrase maker ( con GP = ESP )
F


GN1 GV


D N V GP


P GN2


D N


un uomo corre per la strada

qui il GN 1 è il SOGGETTO – il GN 2 è il GRUPPO NOMINALE che, con la PREPOSIZIONE, forma il GRUPPO PREPOSIZIONALE (C0MPLEMENTO DI MOTO PER LUOGO).

Nota: gli AVVERBI. Possono avere la stessa funzione dei GP: ad esempio:

il treno correva a gran velocità
GN V GP
______ GP = prep\agg\nome
= funzionale\modificante\ nome
____________________ ___________ _______________
GN GV

Nella frase possiamo SOSTITUIRE il GP “a gran velocità” con l’avverbio “velocemente”.
Le preposizioni, con le congiunzioni e il pronome relativo, possono chiamarsi
funzionali, o indicatori di funzione,
perché collegano, mettono in relazione, indicandone appunto la ‘funzione’,
GN con un verbo o GN con GP

( preposizione) o GN, GP e frasi tra loro (congiunzione).

Il pronome relativo funge da “raccordo” fra sintagma predicativo principale ed una subordinata.
I nomi rientrano nella categoria dei nominali,
i verbi in quella dei verbali.
Gli articoli appartengono alla categoria dei determinanti o determinativi.
Aggettivi e avverbi a quella dei modificanti, perché modificano, precisano il senso di un nominale o di un verbale.

I verbi essere e avere ausiliari, i verbi servili e fraseologici sono modalità perché precisano un rapporto logico fra GN 1 / 2 e modificante nominale (nome del predicato) o fra GN 1 / 2 e verbale.
Seconda parte

1) La subordinazione: l’aggettivo.


Esaminiamo la frase: un grande albero fu abbattuto
GN GV




un frondoso albero fu abbattuto
GN GV


‘grande’ e ‘frondoso’
sono espansioni, ovvero subordinati o dipendenti concettualmente di ‘un albero’, che è il centro del GN, infatti possiamo eliminare questi due aggettivi o attributi, che sono determinanti o modificanti lessicali, mentre gli articoli sono determinanti grammaticali poiché accompagnano il nominale collocandolo grammaticalmente, senza modificare il significato, senza turbare la struttura della frase.



2) La subordinazione: sintagmi ‘centro’ e sintagmi ‘subordinati’.


Esaminiamo la frase:
Un aereo incredibilmente grande volava a velocità supersonica
__ ___ ____________ _____ _____ __________________
DG N D(M) DL V GP
___________________________ _______________________

Gruppo Nominale ___ Gruppo Verbale
Frase semplice

‘Incredibilmente’ è subordinato di ‘grande’, determinante lessicale, che a sua volta è subordinato di ‘aereo’.
… …
La funzione di questi ‘subordinati’ è quella di arricchire e completare il senso della parola a cui si riferiscono, allargandone, “espandendone” il campo semantico, oppure indirizzandole e precisandolo in determinate direzioni.

Se diciamo:
un aereo di linea


il GP ‘di linea’ è subordinato del GN ‘un aereo’: è una sua ‘espansione’, perché ne delimita, ne precisa, ne espande il significato in una direzione determinata.

L’intensità semantica del GP ‘di linea’ si dirige sul GN ‘un aereo’.
Avverbi, aggettivi, gruppi preposizionali sono perciò dei subordinati, delle espansioni dei GN, dei verbali, dei determinanti lessicali(aggettivi).
Ossia: avverbi, aggettivi e GP sono espansioni, subordinati di GN, oppure di verbi e di aggettivi (verbali e modificanti).

3) Il soggetto: in un enunciato può essere posto un GN il cui nome è legato al verbo nel numero e nella persona. Tale nome, se si tratta di un nome, perché può essere un monema appartenente ad altre categorie, un aggettivo, un verbo,, un avverbio, un articolo e così via, è il soggetto del verbo.
Si parla del sintagma che chiamiamo ‘gruppo nominale 1’ (GN1). Di solito mettiamo in italiano questo gruppo prima del verbo, ossia rendiamo una parola protagonista della frase e la leghiamo al verbo.

In taluni casi, come nell’ anacoluto ( dal greco senza collegamento ) , in cui il GN2 (il complemento oggetto comunemente detto) precede il GN1 (soggetto), che però riafferma la sua natura di

‘protagonista’

riagganciandosi con un pronome (nominale sostitutivo) al GN2.

Ad esempio:

… Coloro che tramontano (GN2), io li (pronome = nominale sostitutivo) amo con tutto il mio amore: perché passano all'altra riva … …

( F. NIETZSCHE, Also sprach Zarathustra, Adelphi a.c. G. Colli, pag. 244 ) .

In questa frase il GN1 (=soggetto) è il pronome personale ‘io’.
Un pronome sostituisce un nome, ed è quindi un nominale sostitutivo.

La frase è una trasformazione della frase complessa:

Sono Zarathustra ed amo … coloro che tramontano … con tutto il mio amore … perché passano all'altra riva ( perché passano all’altra riva = frase subordinata – ESPANSIONE FRASE CAUSALE).

Il pronome relativo (indicatore di funzione) " CHE " collega due frasi subordinandone una:
quelli tramontano
quelli passano all'altra riva
Zarathustra ama
Io sono Zarathustra



Io amo quelli …. amo quelli che passano …. all'altra riva.
…. Amo quelli che tramontano …. Perché passano all’altra riva .
“ PERCHE’ ” è ‘CONGIUNZIONE’.
Indica una funzione causale.

E' un INDICATORE DI FUNZIONE e come tutte le "congiunzioni" subordinative, INTRODUCE UNA SUBORDINATA ( la ESPANSIONE FRASE corrisponde ad una ESPANSIONE "complemento" , ma CONTIENE - in più - UN VERBO ) .



Le ESPANSIONI COMPEMENTO sono introdotte da funzionali preposizioni e sono Gruppi Preposizionali .

Le ESPANSIONI FRASE sono introdotte da
CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE.
Le altre congiunzioni - quelle coordinative - servono a collegare tra loro frasi semplici (indipendenti, primarie, principali) o frasi\espansione (subordinate).
Tornando alla frase:

un cane salta un fosso….

GN1 GV
D+N


V GN2


D+N

** “ un cane “ è SOGGETTO.

Il significato della parola " cane ” è il
"protagonista" della frase, che fa da
“ teatro contestuale ”.


Proviamo a dire:
un fosso salta un cane ….

Suona strano ed assurdo.
Ma non in un contesto diverso.
In una fiaba, sarebbe "possibile". Non nella vita quotidiana.

*** In latino, o in greco si può mettere il GN2 (compl.oggetto)
prima del verbo.

Perché i casi permettevano di conservare il senso complessivo e lo dirigevano logicamente nella frase.
In latino posso dire:
Lupus hominem est / hominem lupus est / est hominem lupus.

Sarà sempre il lupo a nutrirsi, in questo tipo di indicazione.
(Fs=Frase semplice=GN+GV).

‘Est’, in latino, vale anche ‘divora, mangia’, non solo ‘è, esiste …’.

Era l’accusativo ‘hominem’ che diceva ai ‘latini’ quale dei due significati dare al verbo, in questo caso.

Il soggetto compie l'azione …. Questa non è una affermazione giusta.
Se dico: ….
L'uomo è mangiato dal lupo

- comprendo che "l'uomo" non compie, anzi, è "vittima" dell'altrui azione.

Sia permesso qui osservare che la retorica delle pecore ‘miti’, dei lupi ‘cattivi’ e dell’uomo sempre ‘vittima’, ma molto bene armata, ha portato in realtà all’estinzione del lupo, animale nobile, intelligente e socialmente elevato, nonché capace di linguaggio, ed al proliferare indiscriminato degli ovini e degli umani, frenato con sistemi che non è comunque da ‘homo gramaticus’ spiegare, anche per evitarne l’uòteriore diffusione.


***
Se dico: Don Abbondio è vile - Don. A. "compie".
Se dico: Don Abbondio fu minacciato - Don. A. non è "attore" del senso dell'azione. Lo è solo "grammaticalmente".

E' il protagonista , la "parola" (Nome proprio, qui), messa in rilievo, proposta dall'attenzione dell'ascoltatore/lettore/RICEVENTE (destinatario del MESSAGGIO).


Quindi diremo che il GNI (SOGGETTO, secondo la tradizione tassonomica grammaticale) è quella parola che viene MESSA IN RISALTO, in evidenza, quale PROTAGONISTA della frase ( ...’teatro contestuale’ ), e che concorda con il verbo.


Questo, ove il soggetto sia espresso.
Ossia quando la frase non sia imperniata su un verbo, o un'espressione, IMPERSONALE (piove …. è giusto fare così …. ) oppure quando il soggetto non sia sottinteso.
2) Le frasi: possiamo dividere ogni enunciato (periodo e discorso fra due punti) in parti corrispondenti ciascuna ad un GRUPPO VERBALE accompagnato da sintagmi (GRUPPI) NOMINALI e PREPOSIZIONALI SUBORDINATI (dipendenti) e comunque legati ad esso.

3) Chiamiamo FRASE ognuna di queste parti.

LE FRASI sono unite da

CONGIUNZIONI COORDINANTI

( INDICATORI DI FUNZIONE COORDINATA ), se unisco frasi semplici fra loro: di notte dormo e sogno (= due frasi semplici unite, coordinate = FRASE COMPOSTA…. ) o

SUBORDINANTI


se unisco uno o più SUBORDINATE (dipendenti, secondarie) a una FRASE SEMPLICE CHE FA DA REGGENTE / PRINCIPALE / INDIPENDENTE / PRIMARIA …. di notte dormo e sogno …. ‘Perché amo riposarmi pensando’.

“ Perché ” è un "indicatore di funzione", introduce una subordinata che arricchisce il "senso" della PRINCIPALE (di notte dormo) coordinata con l'altra frase semplice (anche "principale", ma aggiunta)….’e sogno’.


Le frasi sono unite da congiunzioni e separate da brevi pause segnate con virgole, in genere.
***
Nota:
*** Sono molto usate nel linguaggio parlato le “FRASI A SCHEMA MINORITARIO"
(ossia a schema abbreviato, perché s'intuiscono gli elementi sottintesi già precedentemente pronunciati o facilmente ricostruibili):… "pronto!…." - " al diavolo!…" - "povero me!" - (enunciati derivanti da trasformazioni esclamative di : ‘io sono pronto’….etc). Oppure: "Dove vai?" - "a Scuola !" (enunciati usati nelle risposte, ove si sottintendono gli elementi intuibili).

Anche i titoli, i cartelli pubblicitari, le insegne sono "a schema minoritario": ‘più facile, sarà difficile’… ‘così bianco che più bianco non si può’… ‘chi vespa mangia le mele’.
Così anche per enunciati emessi in momenti di fretta o di concitazione… "quella sciagurata!!…" …"un serpente!…"… et cetera.



4) COORDINAZIONE E SUBORDINAZIONE : Le frasi possono essere unite fra loro dunque dalle CONGIUNZIONI, per ‘polisindeto’ o da segni di punteggiatura, per ‘asindeto’.
Ad esempio:…’noi studiamo e voi giocate’; ‘noi studiamo. Voi giocate’.
LE CONGIUNZIONI (funzionali) COORDINANTI uniscono anche, oltre a frasi, GRUPPI NOMINALI E PREPOSIZIONALI.
Ad esempio….: ‘ho incontrato Carlo e suo fratello’ … ‘ non ho visto né tuo padre né tua madre’.

Le congiunzioni COORDINANTI o COORDINATIVE principali sono le:


- Copulative….: e, anche, pure; né; neanche, neppure, nemmeno.
- Disgiuntive…: o, oppure, ovvero.
- Avversative…: ma, però, anzi, invece, pure, peraltro, tuttavia.
- Dimostrative o dichiarative…..: cioè, infatti, difatti.
- Conclusive…: dunque, pertanto, perciò, quindi, sicché.
- Correlative…: e….e; sia…sia; tanto…. Quanto; così…. Come;


Occorre ricordare che : queste congiunzioni uniscono solo frasi o proposizioni principali , quando uniscono delle frasi.

Osserviamo ora quest'altra frase:
‘non uscimmo di casa per la pioggia’.

Il GRUPPO PREPOSIZIONALE "per la pioggia" è un "subordinato", una ESPANSIONE che "arricchisce" il senso della enunciato-base:


"( noi ) non uscimmo "
“di casa " è complemento di moto da luogo, ‘espansione’ del verbo.


Al posto dell'espansione "per la pioggia" possiamo immaginare una frase intera, che sarà anch'essa in un

RAPPORTO DI SUBORDINAZIONE

rispetto all'enunciato - base (o centrale).
In questo caso AVREMO UNA ESPANSIONE FORMATA NON DA UN SEMPLICE AVVERBIO o AGGETTIVO o GP, MA DA UNA FRASE VERA E PROPRIA, che chiameremo
PROPOSIZIONE SUBORDINATA ( ESPANSIONE frase )

***** La frase da cui dipende si chiamerà PROPOSIZIONE
PRINCIPALE o reggente, o in qualunque altro modo equisemantico


La frase : non uscimmo di casa per la pioggia…
(GRUPPO PREPOSIZIONALE \ COMPLEMENTO DI CAUSA)

Diventa : non uscimmo di casa perché pioveva
(ESPANSIONE FRASE CAUSALE)


Del GP (complemento) "per la pioggia"
Un altro esempio: …

Mario si alzò nonostante la febbre
GN ________________
N V ____GP ____



GV

Il GP "nonostante la febbre" può essere sostituito con una frase SUBORDINATA, previa l'aggiunta d'un VERBO:

Mario si alzò, nonostante la febbre …

Mario si alzò, sebbene avesse la febbre

MARIO SI ALZO' : proposizione principale \ frase semplice.
SEBBENE AVESSE LA FEBBRE: proposizione subordinata alla principale / Concessiva.

Il complesso della due frasi è una FRASE COMPLESSA ( = periodo).

***
Nota :


le FRASI o PROPOSIZIONI SUBORDINATE sono introdotte da parole "invariabili", senza indicare morfematici di genere, numero, tempo, modo e persona, che chiamiamo
CONGIUNZIONI SOBORDINATIVE

(indicatori di funzione subordinata), in quanto subordinano una frase, indicano un suo rapporto di

DIPENDENZA DA UN'ALTRA.




Le principali congiunzioni subordinative sono:
Finali……………...: affinché, acciocché, che, perché, per.
Consecutive……….: tanto da, talmente da, tanto che, cosicché, sicché.
Casuali…………….: perché, giacché, che, siccome.
Temporali……….…: quando, che, allorquando, finché, mentre, allorché,
dacché.
****
Concessive…….…...: sebbene, nonostante, benché, quantunque, allorché.
Dichiarative………..: che, di.
Interrogative e Dubitative: che, se, perché, quando, come.
Modali……………..: come, siccome, quasi, comunque.
Eccettuativa………..: fuorché
Comparativa……….: come, siccome, piuttosto che, più che, tanto che.










***
TERZA PARTE


A. LA PRODUZIONE LINGUISTICA:

1. LA FRASE E SUOI ELEMENTI:
quali sono gli elementi INDISPENSABILI per costruire una FRASE ?
Non basta mettere delle parole "insieme" per comporre una frase. Risulta perciò evidente che NON sono frasi le seguenti successioni di parole:
dico sette cani che lepri ricorrono le…zampino gatta la va tanto lascia lo ladro ci al che…


PER COMPORRE UNA FRASE CHE ABBIA SENSO COMPIUTO O ALMENO VEROSIMILE, O CHE COMUNQUE "SIGNIFICHI QUALCOSA", ANCHE A LIVELLO FANTASIOSO E IMMAGIANARIO, DEBBO COMBINARE LE PAROLE IN UNA DETERMINATA REALAZIONE, in un determinato ORDINE fra di loro, in modo che ne risulti un SENSO da un lato STILISTICAMENTE ACCETTABILE e dall’altro semanticamente e logicamente COMPRENSIBILE.


Perché si verifichi questa data condizione, è necessario che in una FRASE trovino posto ALMENO DUE ELEMENTI INDISPENSABILI,

il SOGGETTO \ GN(1) \ GRUPPO NOMINALE UNO \
ed il VERBO \ GRUPPO VERBALE (predicato VERBALE).

2 .SOGGETTO E PREDICATO: per definire questi due elementi consideriamo le seguenti frasi:

a. Luigi e Maddalena hanno letto su una rivista una poesia interessante.
b. I poeti, che strane creature, ogni volta che parlano è una truffa.


Le parole sottolineate sono, per ordine di successione,

SOGGETTO e PREDICATO VERBALE.
GN1 (Gruppo o sintagma nominale Uno e Verbo).

***
Del SOGGETTO, si è già detto che è quella parola qualsivoglia che indica il "protagonista" della frase: sia uomo, essere animato, cosa, concetto o altro.


IL PREDICATO è un'espressione VERBALE.
Nella frase: ‘a..’ è costituito dall'espressione "hanno letto".
Nella : ‘b.’ da "parlano".
La frase ‘b.’ (Francesco de Gregori - Le storie di ieri) contiene anche un anacoluto.

E' una trasformazione di :
ogni volta che i poeti parlano è una truffa:
quando i poeti parlano \ i pocti sono strane creature.


I pocti parlano - dicono parole / i poeti sono "strane creature"
le parole (di proprietà - di invenzione) dei poeti sono una truffa.


Si tratta di una FRASE COMPLESSA.


In questa frase, invece:
L'Italia è una repubblica


Il verbo (VR) ESSERE appare UNITO ad un NOME.
Chiamiamo l'espressione " è una repubblica " PREDICATO NOMINALE.



" E' ” (classica 3^ Pers.Sing.pres.Ind. - voce del verbo essere )
in questa frase qu è "copula", ossia "unione, legame” , senza un suo proprio e preciso significato o valore semantico
(come i verbi, detti appunto servili, potere, dovere, volere etc.).

"Una repubblica" è il
NOME DEL PREDICATO.



Lo stesso sarebbe se dicessimo:
l'Italia è bella.
E' = copula; bella = nome del predicato.
E' bella = predicato nominale, che meglio dovremmo chiamare:

modificante nominale.

***
*
Se invece dico:
l'Italia è "in crisi", uso il verbo ESSERE con il significato di trovarsi , essere situato/a:
l'Italia si trova in una seria crisi economica
Quindi il VERBO ESSERE può essere "copula" e reggere un predicato nominale, oppure verbo con il senso di "esistere, trovarsi, esser situato, situata", e di conseguenza unirsi ad un GP (complemento).

Il soggetto, quindi, è l'elemento che esprime la persona, il concetto,
la cosa messa in risalto.

Nella frase attiva spesso indica chi "compie" un'azione : Luigi legge.
Ma non sempre:

Luigi prese il raffreddore
o:
Matteo non partì

Luigi e Matteo, più che agire in senso prorpio, subiscono, vivono uno stato o un evento dinamico e non compiono una azione consapevole.

Nella frase passiva il soggetto finisce col subire l'azione.
Ad esempio:
Catullo fu abbandonato da Lesbia.

Ma nella frase:
Euridice fu rimpianta da Orfeo ….

Il piano grammaticale dice come "Euridice" subisca, mentre il senso ci fa intendere come Orfeo agisca spinto dalla costrizione e dal dolore.


Quindi per la "grammatica" in sé e per sé sono corrette ambedue le seguenti frasi:
a. l’uomo paziente mangia la cicoria
b. l'agnello feroce mangia il lupo


… Però per la frase:
a. siamo nella "normalità", mentre per la frase:
b. b. siamo sul piano dell'irreale, dell'incredibile.

***
Sono i piani del realismo e dell'assurdo,
dell'eccezionale e del quotidiano.


Quindi nelle definizioni, ma anche ordinariamente in qualsiasi sede, non dobbiamo mai confondere involontariamente e senza un motivo valido il "senso" con lo "stile".

*** Il soggetto (la parola in primo piano, " protagonista contestuale ") può essere accompagnato dal predicato nominale, in questo caso gli si attribuisce una qualità, uno stato particolare d'essere e di esistere.


* * Il predicato ha la funzione di dire,
di enunciare qualcosa del soggetto.

5) STRUTTURA DELLA FRASE: vediamo ora di individuare la STRUTTURA della FRASE, cioè di verificare la come nella frase SI RISPECCHI IL MODO PROPRIO CON CUI IL PENSIERO SI ORGANIZZA E SI OBIETTIVA NEL FATTO DEL LINGUAGGIO.


6) Esaminiamo la frase: il gatto di Luigi è bello.



Nella "struttura della frase" si può scoprire qualcosa che va al di là di una semplice successione di parole.
Nel contesto del discorso le parole sono prodotte a gruppi di due, tre, quattro, e più.
Fra questi gruppi esiste un legame particolare, determinato nel SENSO che VOGLIAMO dare alla frase.
Questi gruppi che si formano spontaneamente nella nostra mente e che sono collegati del SENSO sono:

"il gatto " - “di Luigi" - “è bello”.



Infatti l' ARTICOLO (DETERMINANTE GRAMMATICALE) si riferisce come un dito puntato alla parola - "gatto".

La PREPOSIZIONE (INDICATORE DI FUNZIONE) "di" è legata al nome "Luigi".

Il verbo (qui: copula) si lega all'aggettivo (DETERMINANTE LESSICALE o "modificante") "bello", formando un PREDICATO NOMINALE o modificante nominale (=VERBO ESSERE ((copula)) + nome del predicato ((nominale/determinante lessicale)) In definitiva il ‘predicato nominale’ può essere chiamato anche

gruppo verbale modificante … oppure
modificante nominale.


Si possono indicare i rapporti di dipendenza con questo sistema:

il gatto di Luigi è bello


GN GP GMN



GN (+GP) + GV



Fs

Questi GRUPPI DI PAROLE collegate dal SENSO si chiamano GRUPPI o SINTAGMI.
I sintagmi nominale e preposizionale - "il gatto" - "di Luigi" - sono collegati fra loro formando un sintagma PIU' GRANDE: "il gatto di Luigi" (GN+GP). Inoltre il sintagma o ‘gruppo verbale modificante nominale’ "è bello" si lega al grande sintagma (o GN+GP) "il gatto di Luigi", formando un unico blocco, cioè una frase.

Possiamo a questo punto stabilire di chiamare il sintagma più grande "il gatto di Luigi" GRUPPO NOMINALE (GN), in quanto le parole che lo compongono ruotano intorno al nome " gatto ".


***
*
Il sintagma verbale può indicarsi come gruppo verbale (GV), perché è costituito da una forma verbale , a cui si può aggiungere un elemento nominale.
Una FRASE è quindi composta da un GN e da un GV, come si può vedere dalla seguente formula:


Fs = GN + GV = Fs = frase semplice



4) STRUTTURA DEL PERIODO:
Esaminiamo ora quell' insieme di frasi che è il periodo.

Scriviamo un periodo:


" Una volta, allorchè da studente cambiai di alloggio, dovetti far tappezzare
a mie spese le pareti della stanza perché le avevo coperte di date "
( Italo Svevo )

Un periodo è composto di proposizioni (tutte contraddistinte da un soggettetto e da un predicato) fra loro collegate e che quindi, per intenderne la STRUTTURA, deve essere selezionato nelle varie proposizioni (o FRASI) che lo costituiscono..
***
Queste proposizioni non sono tutte dello stesso valore.
Alcune sono autonome, nel loro significato ( le principali ) e le altre sono dipendenti da quella autonoma, perché da sole non hanno un senso compiuto si chiamano anche

secondarie, oppure dipendenti o anche subordinate).

Le dipendenti del periodo preso in esame sono:

"allorché da studente cambiai alloggio"
… e
"perché le avevo coperte di date".

La principale che esprime il fatto centrale ed è il centro del periodo, ha significato autonomo. Essa è "Una volta dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza".

Rispetto a questa le due proposizioni secondarie sono delle ESPANSIONI, perché esprimono FATTI COLLATERALI E SECONDARI, in qualche modo connessi con il fatto o la sitazione idealmente posti in posizione centrale, espresso dalla principale.


Anche nel periodo quindi, oltre che nella frase, esiste una struttura ordinata, per cui le frasi sono ordinate e collegate fra loro da rapporti di dipendenza "sintattica".
SINTASSI appunto si chiama lo studio delle relazioni che le parole hanno nella frase.
La SINTASSI DEL PERIODO studia i rapporti e le relazioni fra proposizioni principali e secondarie.


**** Schema esplicativo:


PRINCIPALE
Una volta dovetti far tappezzare a mie spese le pareti della stanza

allorché da studente cambiai d’alloggio
= proposizione espansione frase secondaria temporale






perché le avevo coperte di date
= proposizione espansione frase secondaria causale



Nota:
le SECONDARIE ( o DIPENDENTI, o SUBORDINATE ) sono ESPANSIONI introdotte da CONGIUNZIONI SUBORDINATE.

****
6) IL VALORE E LA FUNZIONE DELLE PAROLE:

E’ paradossalmente arduo dare una definizione di quel che chiamiamo ‘parola‘.

*** Si potrebbe dire che è quell' insieme di suoni legati fra loro dal SENSO
complessivo e dalla FUNZIONE che hanno nel contesto del discorso.



Per esempio la parola MELA è costituita dalla sequenza dei fonemi (lettere dell'alfabeto come si pronunziano): ‘ m - e - l – a ’ .

Questi suoni, pronunciati in questo ordine, indicano quel particolare frutto così chiamato: ne sono, insomma, il SIGNIFICANTE.


Il "FONEMA" è l'unità minima fonetica, cioè ogni singolo suono di una lingua, indicato con determinate "lettere" (grafemi, dal greco = scrivo).
Ogni lingua alfabetica ha dei fonemi e dei grafemi particolari.


Vi sono parole che hanno un senso compiuto e altre che servono solo per indicare una FUNZIONE, ossia i rapporti fra le varie "parole" (MONEMI), come dei semplici cartellini segnaletici che suggeriscono al lettore un certo ' modo ' per interpretare le parole che seguono.
Prendiamo l'articolo (DETERMINANTE GRAMMATICALE) ‘ il '.
Si tratta di una parola senza un senso preciso.
Serve solo ad indicare e DETERMINARE la parola che segue. Quando dico 'il giardino', la paroletta 'il' serve per farci intendere che ‘il’ --GIARDINO-- da essa indicato non è ' un qualunque giardino', ma uno certo, determinato, distinto da altri.
E' diverso dire 'il giardino del sultano' da … "ho visto un bel giardino".
In questa ultima frase si vuole indicare in modo 'indeterminato' e vago 'un' giardino, perciò si usa il determinante " UN " (articolo ‘indeterminativo’). Queste 'parolette', e cioè gli 'articoli' (determinanti grammaticali) servono per indirizzare genericamente il SENSO di un'altra parola, restringendo o allargando il 'campo sematico e logico' di un termine .

Consideriamo ora la seguente frase:
‘l'automobile di Anna Maria è nuova’.

La paroletta 'di' indica un rapporto di appartenenza, in particolare l'appartenenza dell'automobile, che è 'di Anna Maria'.
Questa paroletta indica una FUNZIONE : 'Anna Maria' è in funzione di 'automobile.
Le PREPOSIZIONI perciò sono dette FUNZIONALI (o INDICATORI DI FUNZIONE).
Si è già osservato che ad un Gruppo Preposizionale (ESPANSIONE \ 'complemento') corrisponde, fatta la dovuta trasformazione, a una FRASE SUBORDINATA.
Le FRASI SUBORDINATE sono introdotte da CONGIUNZIONI SUBORDINANTI.
Le congiunzioni, quindi, sono anch'esse INDICATORI DI FUNZIONE.

Ad esempio:
non riuscii a scrivere la poesia ……… per mancanza d'ispirazione
proposizione principale espansione causale

non riuscii a scrivere la poesia …… perché mi mancava l'ispirazione
proposizione principale frase espansione causale
subordinata
Nel primo caso si ha una FRASE SEMPLICE.
Nel secondo una FRASE COMPLESSA.

FRASE COMPLESSA= Fs (PRINCIPALE) + X =SUBORDINATA


L'unione tra Fs e X è resa possibile dal
FUNZIONALE (CONGIUNZIONE SUBORDINATIVA)

Le CONGIUNZIONI COORDINATIVE uniscono frasi semplici tra loro, formando FARSI COMPOSTE.
Ad esempio:
Luigi parla +
Luigi cammina=
Luigi parla e cammina

FRASE COMPOSTA= Fs + Fs ( + Fs…..)


Esistono altre parole, poi, che hanno un SENSO AUTONOMO, come: albero, cielo, strada.

Questi monemi indicano un oggetto reale, una persona o un'idea astratta, un concetto.

Si tratta di NOMI e sostantivi.
Possiamo chiamarli NOMINALI .

I 'PRONOMI' possono 'sostituirli'.
Sono anch’essi dei NOMINALI.

Ad esempio:
Catullo vide Clodia e la salutò.

Gli AGGETTIVI sono monemi che si aggiungono ai NOMINALI (NOMI) per precisarne il SENSO.

Sono DETERMINATI LESSICALI, o LESSEMI MODIFICANTI in quanto apportano una modifica, una precisazione ad un nominale.

Il cielo può essere coperto, nuvoloso, celeste, arancione, 'azzurro', lontano….

Sono anche delle

ESPANSIONI,

come i 'complementi' , perché dirigono, fanno 'espandere' in una direzione il senso d'un nominale.

Un cane può essere ‘bello, feroce, mansueto’.

Può anche essere …: ‘di tipo belga, di Mario, da guardia' ….

Classificando le parole in base al loro valore e alla loro 'funzione' si è giunti a considerare le cosiddette PARTI DEL DISCORSO, che, per accennarle soltanto, sono le seguenti:

** ARTICOLO = NOME = PRONOME = AGGETTIVO = VERBO

… parti variabili, in quanto al LESSEMA (TEMA - RADICE) possiamo aggiungere dei MORFEMI (prefissi e suffissi) determinando ' genere, numero, tempo e modo', come ad una 'base' stereofonica possiamo aggiungere diversi accessori per ottenere sofisticati 'effetti'.

** AVVERBIO = PREPOSIZIONE = CONGIUNZIONE INTERIEZIONE

… parti invariabili, perché non sono ' modificabili' con aggiunte di prefissi e suffissi.
Possono, al massimo, agglutinarsi - o fondersi - con un'altra parola.

Ad esempio:
DETERMINANTE.+ FUNZIONE.GRAMMATICALE.= DETERMINANTE FUNZIONALE - DI + IL = DEL …. Le PARTI VARIABILI sono suscettibili, quindi, di 'modificazioni '.
In tal caso si parla di FLESSIONE per AGGETTIVI , NOMI , PRONOMI , e ARTICOLI.

Per i VERBI si parla di CONIUGAZIONE .
NOME :
a. – nome -lup-o (sing. M.)- lup-a (sing. F.) - lup-i (pl. M.) - lup-e (pl. F.):
b. – aggettivo - buon-o (sing. M.) - buon-a (sing. F.) - buon-i (pl. M.) - buon-e
(pl. F.).

c. – verbo :


pronome
singolare
pronome
Plurale

IO CANT- O NOI CANT- ATE
TU CANT- I VOI CANT- IAMO
EGLI CANT- A ESSI CANT-ANO

6 ) INVERSIONE DELLA FRASE :

la frase "il treno arriva" può presentarsi anche nella forma
arriva il treno

Diciamo allora che la frase ha subito una

TRASFORMAZIONE INVERSIONE (T.inv.)

Questa nuova 'struttura' (disposizione delle parole)
si ottiene ponendo il SOGGETTO dopo il predicato.



Es. a) cadono le foglie (GV + GN) / da : le foglie cadono (GN + GV).
Es. b) è arrivato mio zio (GV + GN) / da : mio zio è arrivato (GN + GV).


****
Questa struttura, che è meglio usare solo se nelle frasi è presente solo il GNI (soggetto), a mano che non si usi un ANACOLUTO (come prima detto), è FREQUENTE NELLE FRASI INTERROGATIVE .

Ad esempio …. : è necessaria questa spesa ? (GV + GN). ….
La struttura 'normale' (GN + GV) è detta 'DIRETTA'.


6. LA COORDINAZIONE :



7) LA 'SOMMA' DELLE FRASI: si pensi ad un periodo di questo tipo:

Lucio studia.
Lucio è diligente.

Sommando le due frasi ELIMINIAMO LA RIPETIZIONE DEL SOGGETTO ed otteniamo una FRASE COMPOSTA: ….

Lucio studia ed è diligente.


Abbiamo COORDINATO le due FRASI o PROPOSIZIONI PRINCIPALI.

Chiamiamo …. PRINCIPALI le due frasi perché possono essere separate da una forte pausa (' punto' o 'punti e virgola') e quindi sono AUTONOME.

La congiunzione che coordina le due frasi è la ‘ e ‘ , che fa parte delle CONGIUNZIONI COORDINATIVE .


8) SI TENGA PRESENTE IL SEGUENTE SPECCHIETTO:


a) FRASE SEMPLICE …. :
GN + GV=(D+N) + V +(GN2) =
D + N + V + D + N
****
b) FRASE COMPOSTA :
SOMMA PER COORDINAZIONE DI
DUE O PIÙ' FRASI SEMPLICI.

= Fs+Fs = (GN + GV) + ….



c) FRASE COMPLESSA:

unione di una \ o più \ Fs 'principale\i' con una \ o più \ 'subordinata\e'.

L'unione avviene per mezzo di
FUNZIONALI SUBORDINANTI
o CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE = Fs + X (+ X + …. ) .



X è il simbolo della espansione frase subordinata o dipendente


- Catullo scrive poesie ………………………. FRASE SEMPLICE

- Catullo è un poeta ………………………… FRASE SEMPLICE

- Catullo scrive poesie ed è un poeta ………….. FRASE COMPOSTA


- Catullo è un poeta e scrive poesie ……….….. FRASE COMPOSTA

- Catullo scrive poesie perché è un poeta …… FRASE COMPLESSA


- Catullo è un poeta perché scrive poesie …... FRASE COMPLESSA


Così sono complesse le frasi del tipo …

Catullo è un poeta quando \ se scrive poesie

= una proposizione principale unita ad una subordinata da una
congiunzione ( funzionale) subordinativa .



Le FRASI COMPOSTE e COMPLESSE hanno ALMENO DUE PREDICATI.



Es. a) Paul e John cantano.

Es. b) Paul scrive le parole e John compone la musica.



SOLO la SECONDA FRASE è' COMPOSTA, perché HA DUE PREDICATI (VERBALI, in questo caso). La prima frase è SEMPLICE perché LA CONGIUNZIONE unisce non DUE FRASI ma DUE NOMI. Il verbo della frase è uno ("cantano"), quindi la FRASE è UNA SOLA.
Sarebbe una frase SEMPLICE ANCHE SE DICESSIMO:

Paul, cantante dei beatles, e John, appartenente allo stesso "gruppo", cantano?
"Cantante" è participio presente.

Come "appartenente".
Quindi le due ESPANSIONI FRASI in cui si trovano i participi possono considerarsi RELATIVI (cantante = che canta - appartenete = che appartiene).

La frase, invece:

Paul giovane di Liverpool, e John, suo concittadino, cantano

- è SEMPLICE, perché "giovane" e "concittadino" sono due ESPANSIONI che fungono da apposizione/attributo.

Non sono verbi.

Quindi, le ESPANSIONI rendono complessa la frase solo se sono a loro volta dei VERBALI.

"Cantante" e "appartenente" possono anche essere considerati "participi sostantivati". In questo caso, sarebbe SEMPLICE ANCHE LA PRIMA FRASE ANALIZZATA.

Ma il fatto che almeno uno dei due participi possa essere "trasformato" ci consiglia di considerarla COMPLESSA.



9)
GLI " ALBERI " o STEMMI
(PHRASE MARKERS = INDICATORI DI FRASE) :

Esaminiamo queste due frasi.

a) Paolo e Maria leggono (GN + GN + GV) = Fs (frase semplice)
b) Marco studia ed è diligente (GN + GV + GV) (il 2° GV è V Aus. + P. vo
(“Predicativo = Nome del Predicato”)
= *’predicato nominale’) = Frase composta.

Schema n. 6
_________________Frase semplice (a)

GN GV


N F N V
Paolo e Maria leggono

_________________ Frase composta (b )



GN GV
N
G V2



V F V determinante o

modificante nominale

Marco studia ed è diligente

Nella frase (b) analizzata nel phraso marker (= indicatore di frase, perché rende visibile la struttura delle frasi e i rapporti logici grammaticali intercorrenti fra le "parole" ) il GV contiene due verbi:


un Predicato Verbale propriamente detto e un Determinante (o Modificante) Nominale, come si propone di denominarlo, chiamato anche ‘predicato nominale’.


Nella frase (a) la congiunzione (F=funzionale) ‘ e ’ lega due NOMI, che formano così un soggetto unico, composto.
Nella frase (b) la congiunzione ‘ e ’ lega due VERBI, quindi potenzialmente due FRASI, poiché due verbi indicano la presenza di due frasi, coordinate fra loro: risulta un verbo unico, ma COMPOSTO e DOPPIO.
9) LA SUBORDINAZIONE: la FRASE COMPLESSA:
Osserviamo il seguente enunciato:

mentre osservavo le stelle, non mi accorgevo di un gruppo di amici che passava .

Si tratta di una frase complessa, formata da tre enunciati, fusi o uniti tra loro:

- Mentre osservavo le stelle
- Non mi accorgevo di un gruppo di amici
- che passava


I concetti espressi dai tre enunciati sono collegati fra loro. Diciamo dunque che in una frase COMPLESSA ogni enunciato è rappresentato e sostenuto dal verbo, così che nel su interno l’insieme degli enunciati si relazioni in un rapporto di subordinazione alla frase principale.

La PREPOSIZIONE PRINCIPALE è detta anche "Reggente" perché è NECESSARIA per la completezza della frase intera. La SUBORDINATA è detta anche "Dipendente", perché si appoggia alla principale o da essa dipende (è una sua ESPANSIONE FRASE).
Se infatti dicessimo:
mentre osservavo le stelle
(Espansione Frase Temporale),

fermandoci qui, non avremmo una frase di senso compiuto: si tratta di una frase subordinata che si "appoggia" alla principale e la colloca in un determinato spazio temporale.
La Frase Principale (che se fosse sola sarebbe una Frase Semplice) è:
non mi accorgevo di un gruppo di amici …

Questa Frase Semplice (da sola) ha un SENSO COMPIUTO , e potrebbe stare anche da sola , senza l'altra ESPANSIONE FRASE che l'accompagna e l'arricchisce.
IL RAPPORTO DI SUBORDINAZIONE è stabilito da INDICATORI DI FUNZIONE GRAMMATICALE (congiunzioni subordinate).
Le CONGIUNZIONI SUBORDINATIVE, come si è già accennato, hanno quindi una funzione diversa da quelle COORDINATIVE.
Se dico, infatti:

piove - e - sono triste

I due concetti formano una FRASE COMPOSTA. ……Se dico, invece……

sono triste - perché- piove

I due enunciati formano una FRASE COMPLESSA, perché l'enunciato "perché piove" dipende dall'enunciato sono triste : è una ESPANSIONE, una ESPANSIONE FRASE, una proposizione subordinata (x) .
L'Indicatore di funzione che unisce questi due enunciati è, quindi, un SUBORDINATORE.


Prendiamo due enunciati: cammino…. sto bene….
Posso coordinare i due enunciati: …cammino e sto bene…

Formando così una frase composta.



Posso inoltre, introducendo un subordinatore, formare una
FRASE COMPLESSA,
in cui un enunciato (frase, proposizione) dipenda dall'altro in rapporti diversi (di fine, di causa, di tempo, etc…).

- cammino per stare bene/ mangio affinché stia bene/ mangio perché sto bene/ mangio quando sto bene….
-
LE FRASI SUBORDINATE, QUINDI, INTRODUCONO UN'IDEA CHE CONDIZIONA ARRICCHISCE, SPIEGA QUELLA DELLA FRASE PRINCIPALE.

Schema n. 7 FRASE COMPLESSA



Fs = PRINCIPALE o reggente
FRASE X = ESPANSIONE
FRASE SUBORDINATA



GN F GV

GN V
N
V
V
(io) leggo affinché (io) impari
“ “ per “ imparare
frase espansione finale_________________________
“ leggo perché “ imparo
“ “ giacché “ “
“ “ siccome “ “
frase espansione causale________________________
“ “ quando “ imparo
“ “ finché “ “ \ i
frase espansione temporale______________________
“ “ tanto \ così da “ imparare
“ “ in modo tale che “ impari
frase espansione consecutiva____________________
“ “ se “ imparo
“ “ a patto che “ impari
frase espansione condizionale___________________




Chiamando ‘X’ la frase espansione condizionale possiamo scrivere la seguente formula:

Frase complessa =GN+GV+X(+X+X…)

Nota:
la ‘frase espansione‘ può essere implicita se ha il verbo all’infinito, al participio o al gerundio, esplicita se ha invece il verbo all’indicativo, al congiuntivo o al condizionale.


SINTASSI DEL PERIODO:

LA FRASE SEMPLICE (Fs) può essere rappresentata con la formula :

Fs = GN + G V


Il GN è un insieme di parole che si appoggiano alla ‘parola centro’, a quella che indica il ‘protagonista’ della frase, il ‘soggetto’, mentre il GV è un insieme di parole che dipendono dal verbo.
Per esempio:

il cappotto di Antonino è molto bello

GN ESP V +Modificante Nominale
GN GV


La FRASE COMPLESSA è invece costituita da un enunciato principale e da uno dipendente (o subordinato), che rappresenteremo con una ' X '.
Ripetiamo la 'formula' della F. COMPLESSA = Fs + X.
Ricaviamone una frase complessa:

. . . . il portiere si lanciò sull'avversario per fermarlo

F complessa … … = ( Fs ) + ( . . X )

GN = il portiere
GV = si lanciò sull'avversario
Fs = GN + GV

Per fermarlo: frase espansione finale implicita
_ per = indicatore di funzione
_ fermare = verbale
_ lo = (quello) = GN = nominale
. . . . . e ancora:
• oggi non esco perché piove.
_ io = GN
_ oggi non esco = X (frase principale negativa)
_ perché piove = espansione frase causale esplicita (subordinata)
Nota: la SUBORDINATA può anche trovarsi prima della principale:
. . . quando piove, mi sento triste . . .

Frase complessa = X + GN + GV




*** Talora la FRASE ESPANSIONE SUBORDINATA
si trova inserita fra GN e GV:



. . . l'attore, per essere più chiaro, ripeté la battuta . . .



F. compl. = GN + X + GV



RIASSUMENDO :
Abbiamo tre tipi fondamentali di frase:
a) frase semplice: è detta anche 'indipendente', perché ha senso compiuto
Fs = GN + GV = . . . Luigi legge . . .
b) frase composta: è formata da più frasi semplici fra loro coordinate.
Fc = GN + GV + FUNZ. + GN + GV = . . . Luigi scrive e legge c) frase complessa: è formata da una proposizione principale (Fs) e da una espansione frase ( proposizione subordinata ).

Fc = GN + GV + X = . . . Mara legge il giornale mentre Luigi dipinge . . .
Fc = X + GN + GV = . . . Mentre Luigi dipinge, Mara legge il giornale . . .
Fc = GN + X + GV = . . . Mara, mentre Luigi dipinge, legge il giornale . . .

I tipi più frequenti di SUBORDINATE
(FRASE ESPANSIONE)
sono i seguenti:


FRASE ESPANSIONE SOGGETTIVA, FINALE, CAUSALE,, CONCESSIVA, TEMPORALE, INTERROGATIVA, CONSECUTIVA, CONDIZIONALE, COMPARATIVA, RELATIVA.


In genere la FRASE ESPANSIONE SUBORDINATA prende il nome dalla congiunzione indicatore di funzione (FUNZIONALE ) che la introduce.


*** LE TRASFORMAZIONI :


scriviamo una frase semplice


…. Gli uomini amano la giustizia ….

È' una frase "DICHIARATIVA".
Enuncia un fatto che può essere o non essere vero e tuttavia viene presentato come un dato di fatto.
In questa FRASE BASE, frase di partenza, possiamo applicare le seguenti TRASFORMAZIONI:

INTERROGATIVA (NEGATIVA)
* DICHIARATIVA
ESCLAMATIVA (PASSIVA)
o ESPOSITIVA
IMPERATIVA (ENFATICA)

Lo specchietto indica che posso rendere la frase base:

* Interrogativa: Gli uomini amano la giustizia?
* Esclamativa: Gli uomini amano la giustizia!
* Imperativa: Gli uomini amino la giustizia!- Uomini! Amate la giustizia!


Ognuna di queste "trasformazioni" può essere resa:
** negativa:
*** Gli uomini non amano la giustizia.
(Forse che ) gli uomini non amano la giustizia?
gli uomini non amano la giustizia!
gli uomini non amino la giustizia! (uomini! Non amate la giustizia!)


… *** passiva:

*** la giustizia non è amata (oppure: è amata) dagli uomini
(forse che) la giustizia è amata (o: non è amata) dagli uomini ?
La giustizia non (o: è) è amata dagli uomini !
La giustizia non sia (o: sia) amata dagli uomini !

…. *** enfatica:

**** la giustizia, gli uomini la amano ( o: non la amano )
la giustizia, la amano gli uomini? ( o: non la amano gli uomini?)
la giustizia, gli uomini non la amano! (o:la amano!)
la giustizia, la (o:non la) amino gli uomini!
Quindi le trasformazioni ‘interrogativa, esclamativa e imperativa’ operano su di una frase\base dichiarativa. A queste poi si aggiungono, con innumerevoli combinazioni possibili, le trasformazioni ‘negativa, passiva e enfatica’.

Grosseto, 8 02 2006_____

Gennaro di Jacovo
Τετάρτη, 8 Φεβρουαρίου 2006
